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 2009  maggio 11 Lunedì calendario

LE ULTIME FAMIGLIE DEL CAPITALISMO


Sembra che uno degli effetti imprevisti, e del tutto imprevedibili, della Grande crisi sia il Ritorno delle Famiglie alla testa delle aziende che magari portano il loro nome o che hanno contribuito a fondare. E’ accaduto per i Ford in America. E Henry Ford è stato quello che ha di fatto "inventato", se non proprio l’automobile, il modo moderno di farla: catena di montaggio e bassi costi. La Ford T potete averla di qualunque colore purché nera. Ma è successo anche per la famiglia Toyoda, che è poi quella della Toyota. La famiglia Murdoch è saldamente al potere del più grande network mediatico del mondo, e non pare che abbia intenzione di cambiare. E così via. C’è già chi fa degli elenchi delle famiglie rimaste alla guida dei loro imperi. In Italia, per venire a fenomeni a noi più vicini, si parla della famiglia Berlusconi per i problemi di successione. Ma si parla anche degli Agnelli perché la Fiat è al centro di un’operazione di portata planetaria. Insomma, tornano le Grandi Famiglie. Dopo anni di discorsi e libri sul capitalismo manageriale, sembra di veder spuntare fuori dal cilindro della crisi quella che era considerata una sorta di anomalia italiana, e cioè il capitalismo famigliare. Capitalismo che adesso viene indicato da più parti come "la" soluzione a tutti i disastri che sono recentemente successi.
Ma è davvero così? La mia risposta è che bisogna andarci piano. Questo è un momento di grandi sconvolgimenti, e sta succedendo un po’ di tutto. Anche cose improprie di cui fra un anno non sentiremo più parlare. Semmai per quanto riguarda noi, le cose sembrano andare nella direzione contraria. Il caso Agnelli è tipico. Gli Agnelli sono riusciti per oltre cento anni a rimanere saldamente alla testa della Fiat. C’è chi sostiene che il prezzo pagato per questa scelta è stata una mancata crescita planetaria. Può essere. Dirà la ricerca storica come sono andate le cose. Quel che è certo è che se Marchionne andrà avanti con il suo disegno di costruzione di un grande gruppo mondiale, aggregando vari pezzi in vari continenti, alla fine gli Agnelli difficilmente potranno conservare il controllo di tutto ciò. Sarà inevitabile far entrare nel capitale altri soggetti, fondi pensioni, private equity, fondi sovrani, forse anche qualche Stato. Ma a conti fatti, meglio avere una quota piccola di un grande gruppo mondiale, aperto alle sfide del futuro, che una quota grande in una società chiusa in se stessa e sempre in pericolo a causa del ridotto perimetro operativo. Gli Agnelli, che in Italia sono il simbolo e il cuore di un certo capitalismo famigliare potrebbero essere proprio sul punto di venire ridimensionati.
Discorsi non diversi si possono fare sul gruppo Berlusconi. Mediaset gode di buona salute. Ma basta dare un’occhiata ai bilanci per capire che, se domani volesse tentare un’avventura planetaria sul tipo di quella di Murdoch, dovrebbe aprirsi al capitale "straniero" (non familiare) e ridurre la quota di controllo. D’altra parte, la progressiva dissoluzione è tipica del capitalismo familiare italiano. Nel dopoguerra credo che le famiglie "industriali" scomparse siano almeno 6070, e non si trattava certo di roba piccola: Pirelli, Motta, Alemagna, Olivetti, Bianchi, Falck. Questo non dimostra che c’è una naturale inferiorità del capitalismo famigliare rispetto a altre forme di capitalismo. Dice solo che le cose si evolvono e che certi protagonisti devono uscire di scena. Pirelli e Falck, per citare solo due nomi, sono all’origine della nascita dell’industria italiana, eppure oggi non ci sono più. In qualche caso, Pirelli, l’eredità è stata raccolta da altri e va avanti, sia pure in forme diverse. In altri, è proprio scomparso tutto.
Nessuno di noi oggi sa come si vorrà organizzare il capitalismo postcrisi. Se, però, come vedo, si va verso la costruzione di corporation a livello planetario (ci si concentra, insomma), allora penso che il capitalismo famigliare, oggi così tanto di moda, vivrà solo una breve stagione. Poi verrà il tempo delle megacorporations (tre o quattro nell’auto, ad esempio) e nessuno di noi sa come saranno organizzate. Probabilmente avranno milioni di azionisti e ci sarà qualche sistema per identificare i vertici, ma non si tratterà certamente dei legami familiari. Eppure l’Italia continuerà a essere il paese del capitalismo familiare. Forse verranno anche dall’estero a studiarlo (come negli anni ”50 facevano con l’Iri).
Perché dico questo? Ma perché in Italia gli Agnelli (e, in fondo, anche i Berlusconi) sono un’eccezione. L’Italia, oggi, ha la sua grande spina dorsale produttiva in quello che per semplicità viene chiamato il Quarto Capitalismo. In realtà, questo universo di imprese è fatto da 4600 aziende di medie dimensioni e da 600700 aziende un po’ più grandi. Ebbene, se si va a vedere nel gruppo più numeroso, quelle delle 4600 (concentrate in buona parte nel NordNord Est), la proprietà è quasi esclusivamente di tipo familiare. I fondi di private equity hanno in mano una quota insignificante del capitale di queste imprese, e non contano nulla. Non si tratta di poca roba. Se si tiene conto anche dell’indotto, intorno al Quarto Capitalismo, gira circa metà del valore aggiunto dell’intero comparto manifatturiero italiano. Queste imprese non hanno nessuna voglia di modificare assetto. E nemmeno di diventare tanto grandi. La loro forza sta nell’essere di tipo medio, quindi agili e flessibili e di avere una proprietà "familiare" che può prendere decisioni molto in fretta. In qualche caso ci sono dei manager addetti alle decisioni operative, ma la strategia rimane saldamente in mano alle famiglie. Quasi tutte, per quel che ne so io, hanno già preso le loro determinazioni per quanto riguarda la successione all’interno del nucleo familiare. E tutto procede.
Insisto nel dire che qui le cose non cambieranno. E non cambieranno perché si comincia a capire oggi che questa del Quarto Capitalismo (la media impresa) è esattamente la nostra dimensione più tipica. Verrebbe voglia di dire che, dentro un paese disastrato da sempre, ci si muove meglio con una barca di non grandi dimensioni. Ma, probabilmente, c’è anche qualche legame più sottile e più colto con l’Italia dei grandi artigiani del Cinquecento e dell’Italia dei comuni. Senza dimenticare, comunque, che per avere dei giganti industriali bisogna poter disporre anche di una competitività generale che oggi non abbiamo. La Germania ha sempre avuto tre grandi aziende chimiche mondiali, noi non siamo mai riusciti a averne una. E qui la differenza sta nel tipo di paese e nel tipo di scuola che siamo riusciti a mettere insieme. Comunque sia, questa è oggi la nostra dimensione. E devo fare anche una piccola aggiunta. Dentro il mondo del Quarto Capitalismo circola una battuta. Il capitalismo familiare è meglio perché per un medio imprenditore (e la sua famiglia) l’impresa è un progetto di vita. Per un manager, invece, è soltanto un’occasione di carriera e di guadagni. E qui si sente tutta l’eco di un’Italia lontana (e importante). Quella appunto del Cinquecento, quando ogni cosa bella fatta in Europa arrivava dall’Italia e solo dall’Italia.