Gianni Trovati, ཿIl Sole-24 Ore 11/5/2009;, 11 maggio 2009
TRE GRADINI DI MERITO PER GLI STATALI
Il bello arriva adesso. Di Pubblica amministrazione non si è mai parlato tanto come nell’ultimo anno, cadenzato dalle strette anti-fannulloni, dalle tabelle della trasparenza, dai protocolli d’intesa, dalle
emoticons per misurare la soddisfazione e dalle altre iniziative messe in campo quasi quotidianamente da un Ministro che senza dubbio sa come tener vivo il dibattito.
Per una coincidenza (voluta?) del calendario, però, la ventesima edizione del Forum Pa, da oggi a giovedì alla Fiera di Roma, arriva proprio al punto di svolta nell’azione del governo sulla Pubblica amministrazione. Le misure isolate o d’urgenza, gli annunci e le campagne singole devono infatti liberare il palcoscenico a un attore assai più ingombrante come la riforma complessiva («di sistema », si sarebbe detto una volta) del lavoro pubblico.
Il decreto unico chiamato ad attuare la «legge-Brunetta» di marzo è pronto, e ha superato venerdì scorso il primo esame del Consiglio dei ministri. Dentro, tradotte in norme, ci sono tutte le parole d’ordine che hanno animato in questi mesi le discussioni sulla pubblica amministrazione. A partire dal merito e dalla responsabilità.
Il nemico storico del merito sono i premi a pioggia, la produttività riconosciuta a tutti, le progressioni orizzontali o verticali che in certi comparti graziano 9 dipendenti su 10 ogni tre anni. Per fermare l’andazzo, il decreto chiederà a ogni amministrazione di dividere il proprio personale in tre famiglie: gli ottimi (uno su quattro), a cui riconoscere l’intero premio per la produttività individuale; gli intermedi (uno su due), che in busta paga troveranno un premio dimezzato; e gli ultimi (il restante 25%) dovranno rinunciarci e ritentare l’anno dopo, alla ricerca di una«performance individuale » in grado di far crescere il loro stipendio.
Il piazzamento di ciascuno in una delle tre fasce è il presupposto di tutto il sistema premiale. Chi riesce a entrare nel gruppo di testa, per esempio, potrà concorrere al «bonus annuale delle eccellenze», che toccherà al massimo al 5% del personale e potrà aumentare la retribuzione anche del 30%. Gli "abbonati" alla fascia alta, con tre piazzamenti consecutivi o cinque non consecutivi, potranno esibire un «titolo prioritario» per le progressioni economiche (le vecchie «orizzontali») o di carriera ( le «verticali»), che saranno invece una chimera per chi finisce troppo spesso in fondo.
Per far funzionare davvero un’architettura così articolata servono tre cose: parametri certi, oggettivi e trasparenti (a cui la bozza di decreto dedica molti articoli), organismi di valutazione indipendenti e una nuova autorevolezza data ai dirigenti.
Su questo terreno si gioca una delle prove più interessanti della riforma che, come mostrano molte indagini svolte negli ultimi anni, è attesa al varco da una classe di dirigenti pubblici in cerca di nuova autorevolezza. Il decreto punta proprio lì, attraverso due strade: quella della responsabilità, che impone di collegare ai risultati almeno il 30% dello stipendio e arriva a ipotizzare tagli in busta paga fino all’ 80% per chi non vigila sugli standard di qualità dei propri uffici e la responsabilità per danno erariale per chi non individua le eccedenze di personale. Sul piatto opposto, la riforma offre ai dirigenti un nuovo "status" fatto di compiti e attribuzioni pesanti: nelle loro mani, accanto a un potere organizzativo più rigidamente diviso dalle influenze politiche, il decreto pone la valutazione, e soprattutto la possibilità di proporre i profili professionali necessari al lavoro del loro ufficio. Un passo in avanti sostanziale, che aumenta il peso specifico dei dirigenti ed è indispensabile a renderli davvero responsabili dei risultati.
Tutto il cantiere, però, non guarda solo all’interno della Pa, ma trova il suo scopo reale nel miglioramento dei rapporti con gli utenti, su cui entra in gioco la Pa interattiva e multimediale di cui raccontiamo nelle pagine che seguono. Ora si tratta di passare all’azione, con una consapevolezza: il continuo parlare di Pa ha ipersensibilizzato i cittadini, che oggi si aspettano un tasso di innovazione pari almeno all’intensità del dibattito di questi mesi.