varie, 9 maggio 2009
NUOVA MONETA MONDIALE - PER VOCE ARANCIO
Vogliono togliere al dollaro il ruolo di valuta di riferimento del sistema monetario mondiale.
Zhou Xiaochuan, governatore della Banca centrale cinese, Arkady Dvorkovich, primo consigliere economico del Cremlino, e un gruppo di economisti dell’Onu lo hanno chiesto ufficialmente, prima del G20 di Londra di aprile. Anche il nostro ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e il presidente francese, Nicolas Sarkozy, avevano parlato di questa possibilità prima del vertice. Poi a Londra la cosa non è stata nemmeno discussa. Ma una piccola novità c’è stata: i grandi hanno portato da 250 a 750 i miliardi di dollari messi a disposizione del Fondo monetario internazionale, sottoscrivendo anche l’emissione di Diritti speciali di prelievo (Dsp) per un valore di 250 miliardi di dollari.
I Dsp sono una moneta virtuale, introdotta dal Fmi nel 1969: il loro valore si basa su un paniere di quattro valute – dollaro, yen, euro e sterlina – e vengono usati come unità di conto dalle organizzazioni internazionali. Proprio dei Dsp aveva parlato Xiaochuan in ”Riformare il sistema monetario mondiale”, il documento con cui il governatore è andato all’attacco del dollaro. La proposta è esplicita: le transazioni monetarie internazionali (oggi l’86% è in dollari) dovrebbero invece essere effettuate attraverso i Dsp, il cui paniere dovrebbe includere anche le monete delle economie emergenti: almeno lo yuan renminbi cinese e la rupia indiana. In questo modo si garantirebbe al sistema monetario globale più stabilità e ai governi maggiore libertà di movimento. Il Wall Street Journal chiama i Dsp, senza troppi fronzoli, ”funny money”, una moneta tipo quella del Monopoli o di ”Bananalandia”, ”pezzi di carta stampati in cantina dai funzionari del Fondo monetario”.
Il dollaro è al centro del sistema dal luglio del 1944. Cioè dalla conferenza di Bretton Woods: 730 delegati provenienti da 44 nazioni alleate si riunirono al Mount Washintgton Hotel di Bretton Woods (nel New Hampshire) per riformare il sistema monetario mondiale. Decisero che il prezzo del dollaro fosse fissato a un trentacinquesimo di un’oncia d’oro e stabilirono un cambio fisso con le altre valute. Il sistema resse per meno di 30 anni. La Federal Reserve e il Tesoro statunitense non riuscivano a gestire nello stesso tempo il rapporto fisso con l’oro e quello con le altre valute. L’equilibrio saltò, e nel 1971 il presidente Nixon ne prese atto: annunciò l’abbandono dell’aggancio tra dollaro e oro e introdusse un sistema di scambi flessibili con le monete estere. Novità che lasciò crescere altre valute (come il marco tedesco) ma che non intaccò il ruolo del dollaro come moneta di riferimento mondiale. E Washington continuò a gestire la volatilità del dollaro per compensare gli squilibri tra entrate e uscite.
Le riserve valutarie dei governi sono piene di dollari. Il Fondo monetario internazionale dice che alla fine del 2008 il valore delle riserve in valuta estera dei governi ammontava a 4.300 miliardi di dollari: 3mila erano in dollari, mille in euro, 300 in altre valute. La Cina ha riserve in valuta estera per un valore di 1.950 miliardi di dollari. Il 70% di quei soldi sono investiti in titoli denominati in dollari, come i buoni del Tesoro Usa. Il Giappone ha investito in obbligazioni americane 700 miliardi di dollari. Gli stati del Golfo hanno altri 125 miliardi di dollari.
Le politiche monetarie americane stanno costruendo le basi per un’ondata inflazionistica negli Stati Uniti, e quindi per una svalutazione del dollaro. Tendenza in corso da anni: il deficit americano, tra il 1990 e il 1996, era stato, in media, di 91 miliardi l’anno; tra il 1997 e il 1999 la media è salita a 176 miliardi; nel 2003 il passivo statale è arrivato a 539 miliardi ed è salito a 833 nel 2006. Il presidente Obama ha fatto approvare una finanziaria dove il deficit 2009 è di 1.750 miliardi di dollari, quello del 2010 di 1.170 miliardi. La Fed sta tenendo i tassi a zero, compra bond statali e privati.
Alla nascita dell’euro, il 1° gennaio 1999, la moneta unica valeva 1,1667 dollari. Il 2 dicembre 1999 l’euro scese fino alla parità, il 27 gennaio 2000 andò anche sotto. Il minimo storico è stato di 82,3 centesimi di dollaro per un euro, il 26 ottobre 2000. La parità è tornata il 15 luglio 2002. Nel 2006 si è avviata una rapida ascesa che ha portato l’euro fino al massimo storico di 1,59 dollari (il 7 luglio 2008), mentre oggi il cambio è attorno a 1,3 dollari per un euro.
Nel novembre del 2007, quando l’euro valeva più o meno 1,4 dollari, la top model Gisele Bundchen chiese che le sue prestazioni fossero pagate in euro. Fece clamore anche il videoclip della canzone ”Blue Magic” del rapper americano Jay-Z, dove si vedeva il cantante in giro per le strade di New York su una Rolls Royce con una valigetta piena di banconote da 500 euro.
Alcuni governi, come la Svezia o gli Emirati, hanno deciso di cambiare da dollari a euro parte delle loro riserve valutarie. Il cartello petrolifero dell’Opec – anche sobillato dagli estremisti anti-Usa di Iran e Venezuela – ha iniziato a parlare seriamente di fissare direttamente in euro il prezzo del petrolio.
Chi vuole sostituire il dollaro con un’altra valuta cardine del sistema monetario mondiale sa però che, al momento, non ci sono alternative. L’euro è la moneta di un sistema di banche europee ancora troppo frammentato, per regole e autorità nazionali. L’Europa non ha poi una politica unitaria di bilancio, il che genera non poche incertezze sul valore della valuta. L’ingresso dell’Inghilterra nell’Unione monetaria potrebbe aiutare, ma Londra non ha intenzione di rinunciare alla sterlina (anche se un movimento pro-euro è in crescita). Lo yuan renminbi, peraltro parecchio manipolato da Pechino negli ultimi anni, potrà ambire al posto di perno del sistema solo fra decenni.
Così Xiaochuan si è giocato la carta dei Dsp. Ma ha citato anche Keynes. L’economista inglese si era presentato a Bretton Woods con una serie di proposte sull’economia globale. Una era il Bancor: una moneta unica mondiale inizialmente fissata in base al valore di 30 materie prime. Il Bancor non sostituiva le valute, ma era il metro per valutare le importazioni e le esportazioni planetarie. Ogni stato doveva essere in grado di avere un saldo zero tra entrate e uscite, perché un organismo centrale – chiamato International currency union – avrebbe tassato i surplus o i deficit della bilancia commerciale. L’obiettivo era incoraggiare i sistemi nazionali a cercare l’equilibrio commerciale ed evitare che ci fossero nazioni debitrici o creditrici.
A Bretton Woods la proposta di Keynes non passò. Passò la soluzione rivale dell’americano White, che metteva il dollaro al centro. Per Keynes la sconfitta fu pesante. L’inglese morì due anni dopo, il dispiacere dell’esito di Bretton Woods, dicono alcuni, contribuì.
L’idea di una moneta unica mondiale non è passata solo per la testa di Keynes. Venne in mente anche al mercante-banchiere-saggiatore reggiano Gasparo Scaruffi, nel ”500: la sua riforma monetaria era imperniata sull’Alitinonfo (dal greco ”vero volume”) come unità di misura delle monete del mondo. E nel 1916 ripropose l’idea della moneta mondiale (l’avrebbe chiamata Oro) l’economista americano Edwin Kremmer. Dopo Keynes, a proporre l’unificazione monetaria mondiale fu Pierre Werner, primo ministro del Lussemburgo e padre dell’euro. La sua valuta avrebbe dovuto chiamarsi Mondo.
Nomi bizzarri, ma la moneta mondiale non è solo faccenda da aneddotica. A fine 2000, il Fondo monetario tenne un Economic Forum dal titolo: ”One World, One Currency: Destination or Delusion?”. Nel 1998 l’Economist ha previsto l’avvento della moneta unica dei paesi ricchi entro il 2018, ma prima ”ci vorranno ancora parecchie tempeste valutarie, un altro po’ di crolli in borsa, e probabilmente un collasso economico o due”. Mentre Paul Volcker, ex governatore della Federal Reserve, dichiarò nel 2000: ”Se stiamo andando verso un’economia veramente globale, una valuta mondiale comune ha perfettamente senso”.
Per arrivare a una moneta unica serve molto tempo e diverse condizioni. C’è una teoria di ”area valutaria ottimale” elaborata dal premio Nobel canadese Robert Alexander Mundell. Le condizioni che devono essere soddisfatte perché le monete di due o più Paesi possano fondersi in una sola sono: i Paesi devono avere già un fitto intreccio di scambi, devono avere economie simili nella struttura e nella congiuntura, ci dev’essere una sufficiente omogeneità nel grado di sviluppo e nelle istituzioni, devono avere condizioni di finanza pubblica non dissimili e tassi d’inflazione e d’interesse non troppo diversi.
Per arrivare al dollaro unico gli Stati Uniti ci misero 147 anni: fino al 1934. Il processo fu complesso. La Costituzione del 1787 aveva stabilito che «tutti i debiti e gli impegni esistenti a carico degli Stati confederati prima dell’entrata in vigore della Costituzione saranno validi nei confronti degli Stati Uniti, nell’ambito della nuova Costituzione, come lo erano nell’ambito della precedente Confederazione». I singoli Stati rimasero molto autonomi, ognuno con la sua valuta. Il Maryland all’inizio dell’Ottocento pose una tassa del 2% sui dollari emessi dagli altri Stati. Bocciata nel 1819 dalla Corte suprema. La Banca centrale federale, la Federal Reserve, fu creata solo nel 1913. Un valore unico e definitivo del dollaro arriva solo nel 1934, con il ”Gold Reserve Act” del presidente Roosevelt.
L’Europa ci mise molto meno. Nel 1988 il Consiglio europeo affidò al comitato dei governatori delle banche centrali delle Comunità Europee il compito di progettare l’Unione economica e monetaria. Nel 1990 si arrivò alla liberalizzazione dei flussi di capitale tra gli Stati membri e nel 1992 il trattato di Maastricht stabilì i parametri per aderire all’euro. La Banca centrale europea si insedia nel 1998, dal 1° gennaio 1999 sono fissati i cambi tra le valute dell’Unione. Dal 1° gennaio 2002 l’euro entra in circolazione.
Anche altrove ci stanno provando. Ad esempio in Africa. Il primo ad arrivare - deve debuttare il 1° dicembre - sarà l’Eco. la moneta della Zona Monetaria dell’Africa Occidentale, gruppo di cinque paesi (Gambia, Ghana, Guinea, Nigeria, Sierra Leone) che fanno parte della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, 16 Stati che, in tempi ancora da definire, potrebbero tutti adottare l’Eco. Monete uniche africane esistono già. C’è il Franco Cfa. Garantito in euro dal Tesoro francese, ha due versioni non intercambiabili: quella del Banco Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale e quella del Banco degli Stati dell’Africa Centrale. Circola in quattordici stati, tutti ex colonie francesi. La sigla Cfa stava per Colonie francesi africane, mentre oggi significa Comunità francese d’Africa in una versione e Cooperazione finanziaria dell’Africa Centrale in un’altra. E c’è l’Afro, elaborato dall’Unione africana come valuta ufficiale della Comunità economica africana che raggruppa tutto il continente nero, escluso il Marocco. Istituito con un trattato (quello di Abuja, del 3 giugno 1991) che è precedente a quello di Maastricht, l’Afro dovrebbe entrare in circolazione per il 2028. Ma ci sono stati come l’Egitto, lo Swaziland e il Lesotho, che hanno già chiesto un rinvio.
La Banca per lo sviluppo asiatico lavora all’Acu, una specie di moneta unica asiatica basata su un paniere di valute locali. Il progetto è ancora molto generico. Non si sa, soprattutto, se la Cina sarà mai disposta a farne parte, magari rischiando di subire l’egemonia dello yen giapponese.
In America Latina entrerà in vigore a gennaio 2010 il Sucre. Sarebbe una moneta virtuale condivisa da Bolivia, Venezuela, Nicaragua e Cuba, Dominica, Saint-Vincent e Granadine (già riuniti nell’Alternativa bolivariana per l’America) oltre all’Ecuador. In futuro potrebbe diventare una moneta reale. Intanto in Ecuador la moneta corrente sono i dollari americani. Nel Nordamerica è stato ipotizzato l’Amero, che potrebbe fare da moneta unica per Canada, Stati Uniti e Messico. Tre Stati che oggi condividono un’area di libero scambio (il Nafta) e un accordo di protezione reciproca (il Spp).
I sei paesi arabi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) nel 2001 avevano deciso di dar vita a un’unione monetaria fissando il lancio di una moneta comune, il Khaleeji (vuole dire ”del Golfo”), al 1° gennaio 2010. I Paesi erano Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. A seppellire il progetto, però, sono stati proprio gli Emirati, che non hanno gradito la decisione di assegnare la sede della futura banca centrale all’Arabia Saudita (si erano candidati loro per primi a ospitarla). «L’Unione monetaria - ha detto il 20 maggio scorso una fonte della banca centrale di Abu Dhabi - non ci interessa più se non possiamo avere nessuna voce in capitolo».
Oggi niente più dell’oro ha l’aspetto di una moneta unica mondiale. E si parla anche di tornare al ”gold standard”, quello abbandonato da Nixon nel ”71. I finanzieri si stanno scambiando e-mail su un saggio intitolato Oro e libertà economica. degli anni Sessanta, lo aveva scritto Alan Greenspan. «Sotto il regime di gold standard, il credito che una nazione può sostenere è determinato dagli asset tangibili dell’economia. Ma senza questo regime non c’è nessuno store value (bene rifugio, ndr). La spesa in deficit è semplicemente uno schema per la confisca della ricchezza. L’oro, in questo contesto, protegge il diritto di proprietà».
Tornare all’oro causerebbe uno choc. Ubs calcola che per reintrodurre il gold standard le riserve auree degli Usa sono così scarse che si dovrebbe quotare l’oro a 6.000 dollari l’oncia. Per implementare lo standard in Giappone, Cina e Stati Uniti il prezzo supererebbe i 9.000 dollari. Oggi un’oncia è quotata a 915 dollari.