Luca Piana, L’Espresso, 14 maggio 2009, 14 maggio 2009
LUCA PIANA PER L’ESPRESSO 14 MAGGIO 2009
Che flop la Robin Tax Eni ha risparmiato mezzo miliardo di euro. Erg ha fatto un utile record. Saras ha distribuito dividendi come l’anno prima. E l’imposta del ministro Giulio Tremonti sui petrolieri si è rivelata una delusione
Tasseremo i petrolieri per dare più burro, pane e pasta alla gente povera... Era il 3 giugno scorso quando il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, lanciava così la Robin Hood Tax. Undici mesi più tardi, il bilancio annuale appena approvato dall’Eni, la principale compagnia petrolifera italiana controllata dal Tesoro, racconta però che il tentativo tremontiano si è rivelato, almeno in parte, un bluff.
Nel 2008 le aziende italiane dell’Eni hanno contabilizzato imposte correnti sul reddito per 1,91 miliardi di euro, mezzo miliardo in meno rispetto al 2007. Senza la Robin Tax, dice il bilancio, ne avrebbero pagate ancora meno; ma l’aumento relativo non può consolare Tremonti, per due diversi motivi.
Il primo è che sull’incremento del gettito fiscale previsto grazie alla Robin Tax il ministero dell’Economia contava non poco per rimpinguare i conti pubblici. Il secondo è un paradosso che il bilancio dell’Eni fa emergere con chiarezza: con buona pace della "tassa etica" di Tremonti, della "punizione inflitta dal popolo sovrano allo sceriffo di Nottingham", ovvero i petrolieri colpevoli di aver guadagnato troppo con il boom dei prezzi del greggio, per il 2008 l’Eni pagherà all’estero tasse correnti sul reddito per 10,1 miliardi, tre in più del 2007. A guadagnarci, con le imposte dell’Eni, saranno soprattutto i governi stranieri, non quello italiano.
La Robin Tax ha debuttato ufficialmente con un decreto del 25 giugno scorso che, dai petrolieri dell’ipotesi iniziale, ha aumentato le imposte sul reddito anche alle società elettriche e alle banche, nonché per importi minori alle assicurazioni e alle cooperative (vedi scheda nella pagina a fianco). La stretta avrebbe dovuto far affluire nelle casse dello Stato un gettito aggiuntivo che, dai 2,2 miliardi del 2008, era previsto salire quest’anno a un picco di 4,6 miliardi, per poi planare progressivamente ai 3,5 miliardi previsti nel 2011. Una misura non da poco, dunque, se si considera che l’abolizione dell’Ici sulla prima casa dei cittadini più ricchi - varata contestualmente - è costata al fisco 2,2 miliardi in termini di minori entrate.
Se è presto per una valutazione completa della Robin Tax, la lettura dei primi bilanci depositati dalle aziende coinvolte fornisce alcune indicazioni per capire chi è stato davvero colpito dalla stretta tremontiana.
PETROLIERI FELICI Al di là dell’Eni, anche i magnati privati del petrolio sembrano aver assorbito il colpo senza traumi. Lo scorso anno, quando la Robin Tax era uscita da poco, la Saras della famiglia Moratti aveva calcolato che la rivalutazione obbligatoria delle scorte - tassata con un’aliquota sostitutiva del 16 per cento - avrebbe comportato un esborso di ben 50 milioni. Il successivo crollo del greggio, evidentemente non previsto da Tremonti, ha però ridotto il costo di questa voce, scesa a soli 5 milioni: poco o nulla, per un gruppo da 8,6 miliardi di ricavi. E se, complessivamente, la Saras ha contabilizzato imposte correnti per 147 milioni (43 in più rispetto al 2007), la mini-stretta non ha impedito la distribuzione ai Moratti di un dividendo di 100 milioni, gli stessi dell’anno scorso.
Ancora più curioso il caso dei Garrone, proprietari della Erg, un gruppo da 11,5 miliardi di ricavi. Nel bilancio la società calcola in una cinquantina di milioni l’impatto sulle imposte correnti causato dalla Robin Tax. Un importo che pare sopportabile, se si considera che quest’anno la Erg ha incassato una maxi plusvalenza di 892 milioni per la cessione alla russa Lukoil del 49 per cento degli impianti di Priolo, in Sicilia. Alcuni dettagli di quest’operazione stridono non poco con la retorica su Robin Hood: non solo la plusvalenza ha determinato un mega abbattimento dell’imponibile fiscale alla luce della cosiddetta ’Partecipation exemption’, norma voluta da Tremonti nel 2003, ma la Erg - per minimizzare l’impatto delle imposte - si è affidata allo studio di commercialisti fondato dal ministro. Risultato: il gruppo ha chiuso l’anno con un utile netto di 646 milioni, quattro volte quello del 2007.
IL CONTO FINISCE IN BOLLETTA Francesco Tundo, professore di diritto tributario a Bologna e titolare di uno studio di consulenza fiscale a Milano, ritiene che anche quest’anno gli effetti della Robin Tax sui conti dei petrolieri saranno "da verificare". Una possibile sorpresa riguarda la vendita delle scorte, rivalutate a prezzi 2008 rispetto ai bassissimi costi storici: una modifica che, se il greggio si manterrà su livelli vicini ai minimi, potrebbe tradursi in minori imposte sui margini di vendita. Tundo ritiene invece che il colpo maggiore verrà accusato dalle società di distribuzione energetica. Se l’Enel nel 2008 ha versato 290 milioni di imposte in più per effetto della Robin, per il tributarista "gli effetti più pesanti in termini relativi si riverseranno sulle ex municipalizzate".
Qualche accenno si può trarre già dai bilanci 2008: la milanese A2A ha visto le imposte correnti balzare da 97 a 261 milioni, la romana Acea da 115 a 155 milioni. "Gli effetti sono due: il primo riguarda il fatto che queste aziende potranno vedersi costrette a trasferire i maggiori oneri sulle bollette dei cittadini. D’altra parte, se si accontenteranno di margini inferiori, verseranno minori dividendi agli enti locali azionisti", osserva Tundo. E qui nasce il vero problema: mentre la Robin Tax ha evitato di colpire monopoli come le televisioni e le autostrade, rischia invece di penalizzare aziende che contribuiscono non poco a sostenere le finanze delle città, già private dell’Ici. "Non bisogna dimenticare, però, che sono proprio i comuni a fornire una serie di servizi pubblici essenziali, dagli asili all’assistenza agli anziani", dice Tundo.
LA BANCA SALVA Banche e assicurazioni sono l’altro settore nel mirino della Robin Tax. Anche in questo caso, però, gli effetti della manovra appaiono controversi. Se i tecnici di Tremonti si aspettavano un gettito aggiuntivo dalle Generali di Trieste, resteranno delusi. La compagnia nel 2008 ha contabilizzato in Italia imposte correnti per 90 milioni, a fronte dei 358 del 2007. Evidentemente le maggiori tasse da pagare sulle riserve non hanno compensato la frenata dei margini causata dalla crisi.
Più articolato il discorso sulle banche, per le quali è stata allargata la base del reddito imponibile, riducendo la possibilità di dedurre gli interessi pagati sul denaro preso in prestito e i fondi accantonati a garanzia dei crediti. Dopo la Robin Tax, tuttavia, Tremonti ha dovuto far fronte a un nuovo imprevisto, la tempesta d’autunno sulle banche. E nel decreto anticrisi di novembre, in cambio di un’aliquota leggermente inasprita, ha reso più rapidamente deducibili una serie di ammortamenti. I bilanci di Intesa Sanpaolo e Unicredit, i due maggiori istituti italiani, rendono bene l’idea degli effetti. Le imposte correnti sono aumentate di 866 milioni per il gruppo guidato da Corrado Passera e di 1,04 miliardi per quello di Alessandro Profumo. Allo stesso tempo, però, grazie alla norma anti-crisi Intesa ha potuto mettere a bilancio futuri benefici fiscali per 2,1 miliardi, Unicredit per 2,4. Alla fine, così, sono tutti contenti. Le banche hanno ricevuto un sostegno essenziale per non far sprofondare l’utile, mentre Tremonti può subito mettere in cassa un po’ di quattrini. Per il futuro, poi, si vedrà.