Pietro Del Re, la Repubblica 9/5/2009, 9 maggio 2009
Ma le nostre campagne sono davvero così inquinate di pesticidi e altri veleni da costringere alcune specie selvatiche a rifugiarsi in città? Lo sostiene un apicoltore francese, Nicolas Géant, che due giorni fa per provocazione ha montato sul tetto del Grand Palais di Parigi un arnia con un´ape regina e sessantamila operaie
Ma le nostre campagne sono davvero così inquinate di pesticidi e altri veleni da costringere alcune specie selvatiche a rifugiarsi in città? Lo sostiene un apicoltore francese, Nicolas Géant, che due giorni fa per provocazione ha montato sul tetto del Grand Palais di Parigi un arnia con un´ape regina e sessantamila operaie. L´esperimento è singolare, ma indicativo: Géant si dice convinto che il suo alveare cittadino produrrà 50 chili di miele contro 15 di uno campestre, anche grazie alla biodiversità botanica della Ville Lumière, che consiste in centinaia di alberi e piante, tra cui acacie, tigli, ippocastani e arbusti di lavanda. E da noi? Non serve essere Konrad Lorenz per concepire l´ipotesi che siano più numerosi quei mammiferi, uccelli e rettili che sopravvivono meglio nel traffico metropolitano che tra campi inondati di anticrittogamici. Prendete Roma, per esempio, dove negli ultimi anni le specie selvatiche - nutrie, gabbiani reali, chirotteri, barbagianni, rospi - si sono moltiplicate a dismisura. D´inverno, basta alzare lo sguardo al cielo per incrociare folti e compatti voli di storni. Per non parlare dei pappagalli, sempre più numerosi nei parchi delle città italiane così come sugli alberi dei nostri viali. Un paio d´anni fa una volpe entrò indisturbata nella redazione di un´agenzia di stampa a Trastevere. Più recentemente, vicino alla Grande Moschea di Villa Ada sono state avvistati perfino degli istrici. Enrico Alleva, accademico dei Lincei e biologo dell´Istituto nazionale di Sanità, spiega: «Le specie che abbandonano il loro ambiente naturale sono quelle che gli etologi classificano come "commensali", ossia che si nutrono delle immondizie umane». Un´altra caratteristica è la loro cosiddetta "distanza di fuga" dall´uomo. Ovviamente, più questa è alta, più le specie hanno difficoltà ad ambientarsi nelle città. «Ma esistono animali che, nel giro di due o tre generazioni, imparano a non temere l´uomo e a sfruttare quelle ore dell´alba o della domenica mattina in cui ci sono poche persone in giro», afferma Alleva. Ci sono poi uccelli, quali falchi e gufi, che s´avvicinano alle città per trovare luoghi dove nidificare, visto che nelle campagne spesso non ci sono più gli alberi per poterlo fare. La modernità sembra invece danneggiare i pipistrelli, poiché molte delle soffitte dove si fermavano a dormire durante le loro migrazioni sono state ristrutturate in eleganti mansarde. Quanto agli storni, che appartengono a una specie che dal nord Europa s´è negli anni assai meridionalizzata, hanno dovuto adattarsi alla scomparsa di un loro habitat naturale: le paludi, dove questi uccelli usavano dormire, da una parte perché i canneti e gli acquitrini li proteggevano dai predatori, dall´altra perché grazie alle erbe marcescenti l´inverno la temperatura notturna era meno rigida che altrove. «Bonificate le paludi, gli storni hanno scelto le città, luoghi senza predatori e più calde delle campagne», aggiunge Alleva. Ci sono poi fenomeni di malcostume, come il rilascio delle tartarughine tropicali che una volta cresciute diventano difficili da gestire e che finiscono per distruggere gran parte delle fauna locale. Dice ancora Alleva: «I cittadini dovrebbero imparare a convivere con queste nuove specie. Regalando, per esempio, un binocolo ai bambini per insegnare loro a osservare gli animali». E, osservandoli, ad amarli.