Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 09 Sabato calendario

Il successo di una lingua è determinato dal numero di persone che la parlano, e il primato dell´inglese, in questo campo, è indiscutibile: da internet all´aviazione, dalla diplomazia alla scienza, dal turismo all´accademia, è diventato il linguaggio del mondo, il mezzo assolutamente necessario per comunicare nell´era della globalizzazione

Il successo di una lingua è determinato dal numero di persone che la parlano, e il primato dell´inglese, in questo campo, è indiscutibile: da internet all´aviazione, dalla diplomazia alla scienza, dal turismo all´accademia, è diventato il linguaggio del mondo, il mezzo assolutamente necessario per comunicare nell´era della globalizzazione. Ma il successo di una lingua dipende anche dall´ampiezza del suo vocabolario, e in questo campo l´idioma di Shakespeare si appresta a stabilire un nuovo record: tra circa un mese, per la precisione alle 10 e 20 del mattino del prossimo 10 giugno, la milionesima parola inglese entrerà ufficialmente a far parte dei dizionari. Se un milione di parole vi sembran poche, o non vi sembrano poi così tante, pensate che sono il doppio di quelle che compongono la seconda lingua con più parole sul nostro pianeta: il cinese cantonese. E che, al confronto, le altre lingue più diffuse sono dei nanerottoli, l´Italiano che pure ha 300mila parole, lo spagnolo 250 mila, il francese appena 100 mila. A snocciolare la classifica delle lingue per numero di parole, e ad annunciare che l´inglese sta per varcare il traguardo del milione, è un istituto chiamato Global Language Monitor, con base in Texas, dove per la verità non tutti gli inglesi, perlomeno quelli annoverati tra i sudditi di Sua Maestà britannica, giurerebbero di riconoscere la parlata del posto. Secondo gli esperti in materia, del resto, la supremazia dell´inglese dipende proprio dalla facilità con cui si lascia invadere, storpiare, corrompere, come ci rammenta la celebre battuta del principe Carlo d´Inghilterra, quando notò che la lingua più diffusa del pianeta non è il Queen´s English, l´inglese forbito parlato dalla regina, bensì il «broken English», l´inglese scorretto, sgrammaticato, parlato da immigrati e da miliardi di stranieri, per i quali non è la madre lingua. «Una lingua si arricchisce grazie a coloro che la usano, e la prova sta nella continua assimilazione di parole dall´hip-hop, da Bollywood, dal web», osserva Paul Payack, lessicologo del Global Language Monitor. «E comunque c´è più gente che parla inglese in Cina di quanta lo parli nei paesi dell´ex-Commonwealth britannico». Concorda David Crystal, docente di linguistica alla Bangor University: «Nessuna lingua moderna si è evoluta allo stesso modo dell´inglese, e ciò ha contribuito a darle più parole delle altre. Sulla base celtica e poi latina, l´inglese è sbocciato un migliaio di anni fa in bocca agli Anglo-Sassoni, con una radice germanica, poi dal 1066 sono arrivati i Normanni, e vi hanno aggiunto una spruzzata di francese, quindi si è mescolato con gli influssi del Rinascimento e poi con quelli delle colonie del British Empire». Crollato l´impero, alcuni pensavano che pure l´inglese sarebbe andato in declino, senza capire che era e sarebbe stato sempre di più il linguaggio delle nuove tecnologie e dell´intrattenimento. «Oggi non puoi navigare su internet o prendere un aereo senza sapere almeno un po´ d´inglese», conclude il professor Crystal. D´accordo, okay, all right, ma perché oltre a essere più parlato ha più parole delle altre lingue? Be´, intanto proprio grazie alle influenze straniere. Il francese, ossessionato dallo sciovinismo, cerca di tenere fuori dai propri confini la terminologia forestiera: l´inglese invece la adotta, come ha fatto per esempio con «shampoo» e «bungalow», per tacere di «jihad», «tsunami», «schadenfraude» e «bolognese», inteso come sugo per spaghetti o maccheroni. Poi ci sono gli slang, i modi di dire, le espressioni scientifiche che in un´altra lingua richiederebbero un giro di parole: vedi «syzyrgy» (l´allineamento di tre corpi celesti). Ma soprattutto c´è l´ubiquità di una lingua che si lascia plasmare, trasformare, moltiplicare. Quando William Shakespeare scrisse l´Amleto, l´inglese aveva poco più di 100 mila parole (e due milioni di persone che lo parlavano). Oggi lo parlano un miliardo e mezzo di terrestri, e bisogna raggiungere luoghi remoti e selvaggi per incontrare qualcuno che non ne abbia mai sentita nemmeno una parola. Che il prossimo 10 giugno, alle 10 e 20 del mattino, nasca la milionesima «English word», naturalmente, è un calcolo approssimato e opinabile. Il dizionario Meriam-Webster della lingua inglese contiene 450 mila parole. L´Oxford Dictionary la metà. E il vocabolario usato da un cittadino medio, in Inghilterra, si aggira intorno alle 14 mila parole: chi ne adopera 70 mila, affermano i linguisti, appartiene a una dotta minoranza. Ma gli analisti del Global Language Monitor seguono regole inflessibili: affinché una nuova parola entri nella lingua inglese, spiegano, deve essere compresa da almeno 100 milioni di persone ed essere apparsa almeno 25 mila volte nel chiacchiericcio globale di media, siti internet e altri mezzi di comunicazione. Una nuova parola inglese, in base a tali norme, viene creata da qualche parte sul pianeta ogni 98 minuti; e a questo ritmo l´inglese varcherà la soglia del milione tra un mesetto. Il dottor Payack ha già un trio di possibili candidate in mente: «defollow» e «defriend», parole usate dai navigatori di siti di socializzazione online come Facebook e Twitter per indicare quello che fanno a contatti con cui non vogliono avere più a che fare («l´ho defrendiato», si potrebbe tradurre, per rendere l´idea), oppure «noob», un termine derogatorio nei confronti di qualcuno che è l´ultimo arrivato di una comunità o di un gruppo. Il titolo di «milionesima parola» potrebbe andare a una di queste tre, se gli anglofoni di tutto il mondo continueranno a pronunciarla con crescente frequenza. Beninteso, sono parole di cui la maggioranza dei terrestri possono fare tranquillamente a meno, ma la soglia del milione preannunciata da Global Language Monitor non è un gioco: tanto è che vero che la stampa inglese, dai tabloid come il Daily Mirror, che titola «We are the word champ» (gioco di parole con «world champ», campioni del mondo, perché «word» e «world» si pronunciano quasi allo stesso modo), all´autorevole settimanale The Economist, la prende sul serio. E´ il sintomo, in effetti, della salute, della vivacità e della continua capacità di rinnovarsi di una lingua diventata non a caso la lingua del mondo. Paradossalmente, la notizia della imminente milionesima «English word» coincide con un´altra che può apparire di segno opposto: l´inglese non è la lingua madre di ben 900 mila studenti delle scuole statali del Regno Unito, scrivevano ieri i giornali. Più di uno scolaro su sette, nelle scuole elementari britanniche, quando va a casa al termine delle lezioni parla un´altra lingua. Ma questa invasione multietnica, o «barbarica» come la chiamerebbero gli xenofobi, è la linfa che cambia, evolve e rende sempre nuova la lingua di Shakespeare. «I bambini che parlano l´inglese come seconda lingua sono spesso fonte d´ispirazione per i nativi», dice John Dundorf, segretario generale della Association of School and College Leaders, «conosco molti insegnanti che li considerano un beneficio per la loro comunità scolastica». La chiave del successo, allora, è la mescolanza, il ricambio: già, perché mentre ne aggiunge di nuove per arrivare a quota un milione, l´inglese si disfa di quelle che non gli servono più, 47.156 sono diventate obsolete secondo l´Oxford Dictionary. Per dirla in due parole: essere o non essere, dentro al dizionario dell´inglese globale. To be or not to be, perché tante cose mutano e altre restano sempre le stesse.