Marinella Venegoni, La Stampa 9/5/2009, 9 maggio 2009
Sarà di sera che dalle pagine appena sfogliate dall’inaugurazione della Fiera del Libro verrà fuori di nuovo la musica
Sarà di sera che dalle pagine appena sfogliate dall’inaugurazione della Fiera del Libro verrà fuori di nuovo la musica. E sarà come riprendere il filo della memoria, perché un tempo, a Torino, c’era anche il Salone della Musica, poi morì giovane. E allora giovedì sarà come ricominciare un discorso mai finito, perché Gino Paoli si muoverà tra pagine di poesia e fogli di partitura, a cantare e a raccontare a Ernesto Ferrero e a chi qui scrive, un percorso di vita dove la letteratura si è spogliata dei suoi panni più formali ma ne ha indossati altri, che la poesia oggi accoglie tra le sue pieghe con il rispetto che si deve all’ispirazione autentica. «Noi non possiamo non sentirci paolini», dice Ferrero e significa che la Fiera renderà omaggio ai 50 anni di carriera di un artista che dal ”59 ha rivoluzionato il modo di scrivere e cantare nella musica popolare italiana; e poiché l’uomo - questo scontroso genovese di Monfalcone - ama il profilo basso e si mette in guardia appena gli vuoi sottrarre una frase storica e soprattutto qualche memoria, ci assale il titolo Ti ricordi? No non mi ricordo, che impose alla non lontana celebrazione discografica del suo rapporto umano e artistico con Ornella Vanoni. Lui, non si ricorda. «Io, dei ricordi non ne voglio sapere, e di scrivere non ho voglia, almeno non in quel senso - dice Gino, bello nei suoi 75 anni come un dio baffuto, seduto insofferente nello stretto di un camerino -. Ma mio figlio Nicolò sta mettendo insieme qualcosa». Traduciamo: quel che il ventinovenne artista Nicolò sta mettendo amorosamente insieme sono fotografie di una vita, testi, storia, e lettere fra Paoli e Luigi Tenco mai pubblicate, fino a formare una biografia completa che prenderà forma e sostanza, verosimilmente la prossima estate, sotto l’amorosa supervisione di Ferrero, per esser pubblicata da una piccola e prestigiosa casa editrice, e presentata poi nel 2010 proprio qui in Fiera. Ma se Paoli si sottrae alle ricordanze, scatta sulla sedia appena gli si chiede se, la sera del 14, al Lingotto, quando sceglierà le canzoni da cantare tra i libri, prenderà suono pure Il pettirosso, la canzone da Storie che narra di un vecchio pedofilo e della sua morte, pietosamente assistita dalla giovane vittima. Ci furono polemiche furenti; Gino ora si fa perentorio: «Qualsiasi opera d’arte non si può giudicare eticamente. ”Etica" viene dal greco ”costume", ”estetica" da ”sensazione" o ”percezione". La canzone è un calcio in culo al tuo pensiero». La forma-canzone è diventata, in questi tempi amari di povertà di dibattiti, una merce scadente, impantanata in una logica da discount; ma con Gino, che ha modi spicci però efficaci, si corrono altri strade. Ed è inevitabile che si sfiori il rapporto fra musica e poesia: «I tedeschi, che son tedeschi, hanno riunito 5 mila giovani, li hanno indagati, ed è venuto fuori che amano la poesia e le domande esistenziali che pone. Però non gli piace leggerle, le poesie. Io allora ho fatto uno spettacolo con un libro appoggiato a un pianoforte e le leggevo, le poesie». Ha anche sviluppato una tecnica a metà fra la narrazione e la canzone, nei suoi concerti, Paoli: un percorso di fascinazione straordinaria, che ancora oggi fa riempire i teatri in cui si esibisce. «Anche i miei figli mostrano resistenza alla pagina scritta - riflette -. E pensare che io, quando avevo otto anni e mio padre mi mandava a dormire presto, leggevo sotto le lenzuola con una pila. Però sono anche curiosi, i figli: già, la scuola italiana è nozionistica, è una iattura. A chi gliene frega della data della morte del padre di Petrarca? Invece, insegnate l’educazione, il rispetto per le regole. Insegnate la Costituzione, perbacco», si infervora. Nell’angusto camerino, forse per distrazione prendono forma anche dei ricordi: «Torino, ah, Torino. Venivo qui a suonare, nel ”61-62. Le ragazze uscivano già da sole la sera, pensi. Il mio primo amore è stato di Torino: si chiamava Gina, l’avevo conosciuta in spiaggia a Pegli. Avevo 16 anni. Ho comprato una rosa, ho preso il treno e sono venuto a trovarla. Sono sceso a Porta Susa, ho preso Corso Francia, lei abitava dopo il numero mille, pensi. Ma io non mi sono preoccupato, perché a Genova le strade sono corte: invece, cammina cammina, c’era un caldo terribile. Ho suonato alla porta, mi ha aperto la mamma: ” di là col fidanzato", mi ha detto. Sono scappato, ho buttato via la rosa». Spuntano ricordi più lievi, e molto più allegri: «Sempre nei Sessanta, avevo conosciuto Micio, un comunista sfegatato. Una notte siamo andati a Cocconato, fra le colline: c’era una piazza grande, con in mezzo una fila di fontane; dopo aver mangiato e bevuto moltissimo andammo lì, appoggiammo alle fontane le bottiglie. Era notte e cantavamo. Poco per volta, come per magia, sono uscite dalle case varie persone, chi con una bottiglia di vino, chi con un salame. Si sono messi a cantare e mangiare con noi: si svegliò pure il campanaro, scese, poi salì e suonò Bandiera rossa con le campane». Ti ricordi? Ma si che mi ricordo...