Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 09 Sabato calendario

Giuliano Ferrara fece una volta, si dice così?, da chierichetto a don Gianni. Erano gli anni della sospensione «a divinis», la Chiesa non mandava giù che un sacerdote si fosse candidato coi socialisti (garofano rosso sull’abito talare) al Parlamento europeo

Giuliano Ferrara fece una volta, si dice così?, da chierichetto a don Gianni. Erano gli anni della sospensione «a divinis», la Chiesa non mandava giù che un sacerdote si fosse candidato coi socialisti (garofano rosso sull’abito talare) al Parlamento europeo. Poteva ancora dir messa, Baget Bozzo. Però solo a certe suorine di una chiesetta genovese, oppure in privato, massimo due persone. «E fu allora», ricorda il direttore del Foglio, «che mi chiese il favore di assisterlo». Ma dove, proprio lì a Strasburgo? «Sì, nel suo loculo da europarlamentare. Moquette orrenda, divanetto da ufficio, ambientazione assurda, un po’ fantozziana. Gli chiesi: dal punto di vista liturgico quello che stai facendo è regolare?». E lui? «Regolarissimo. Aprì una valigetta, tirò fuori un kit da messa, dentro c’era tutto. L’ostia, naturalmente, la prese solo don Gianni». E lei, Ferrara? «Con grande rispetto mi alzavo quando era necessario. Così lo ascoltai dire messa». Un prete-prete... «Sacerdote fino alla cima dei capelli. Vocazione molto tardiva, quando aveva passato i 40 anni (al seminario minore non era andato perché la mamma non voleva). Però pure profondamente laico, e libero». Contraddittorio? «Un dissidio vivente. Gli piaceva l’uomo immerso nella storia. Amava partecipare, militare, magari sbagliare, comunque esserci. Anche per via di un ego fortissimo». Era il suo difetto peggiore? «Un uomo così candido, così bisognoso di guida e così intelligente, per me non ha difetti. Condonati all’origine». A proposito di candore. Proprio al suo giornale qualche anno fa rilasciò un’intervista-scandalo... «Sull’omoerotismo casto. Molto simpaticamente, ammise di avere questo genere di pensieri». Personaggio scomodo? «Al contrario, utilissimo». Per cosa? «Per i progetti in cui volta a volta credette». Partì da sinistra... «Era un dossettiano. Poi ci fu la svolta pro-Siri». Il cardinale di Genova, un bel reazionarione. «Rispetto alla direzione di marcia dell’Italia Anni Settanta, certo». Altra tappa: caso Moro e innamoramento con Craxi, durato fino alla fine. «Per poco non arrivammo a litigare. Dopo il crollo del Muro, secondo me Bettino avrebbe dovuto cavalcare l’onda referendaria, seguire fino in fondo la strategia delle mani libere che era stata all’origine della sua grandezza. Don Gianni, invece, gli consigliò il contrario: chiuditi nel fortino del pentapartito, con Andreotti, con Forlani...». Craxi gli diede retta? «Scelse effettivamente quella linea, che lo rese impreparato a quanto successivamente accadde». Beh, allora come suggeritore Baget Bozzo non fu granché... «Più che dare consigli, lui illustrava il carattere provvidenziale delle leadership. Era il cantore delle grandi avventure politiche. Con molto rigore, diede dignità intellettuale prima al craxismo e quindi al berlusconismo. Sapeva raggiungere vette ineguagliate di lirismo». Come quando disse che Bettino aveva per sé l’eterno? «Nel suo ultimo articolo, l’altro giorno, scriveva che Veronica non ha amato Silvio abbastanza... Si considerava il prevosto di casa Berlusconi. Del resto, per lui la politica è stata sempre una questione spirituale. Religiosa. Sacrale. Non faceva parte degli avventizi, di quelli che negoziano posti e poi magari se ne vanno». Lei che l’ha conosciuto meglio di tanti: quand’è che don Gianni «scoprì» Berlusconi? «Sul finire della sua avventura europea. Era nella fase terzomondista, scriveva articoli su ”Repubblica”, divorava ”Le Monde diplomatique” e io lo prendevo in giro. Devi leggere l’”Economist”, lo stuzzicavo. Quando mi diede retta, si trovò nel mezzo dell’avventura di Forza Italia e di Berlusconi». Adesso che è morto? «Verrà studiato, ricordato, amato. Da me in particolare, che ho avuto con lui amicizia e, se posso dire, un percorso quasi gemello». Stampa Articolo