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 2009  maggio 09 Sabato calendario

ROMA – Scontro sulla ri­forma del pubblico impiego. Ie­ri il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decre­to (83 articoli) che attua la leg­ge delega del 4 marzo, la cosid­detta riforma «antifannulloni» messa a punto dal ministro del­la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta

ROMA – Scontro sulla ri­forma del pubblico impiego. Ie­ri il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decre­to (83 articoli) che attua la leg­ge delega del 4 marzo, la cosid­detta riforma «antifannulloni» messa a punto dal ministro del­la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta. Una riforma, ha sottolineato in conferenza stampa il presidente del Consi­glio, «per introdurre la merito­crazia ». Ma subito dopo il lea­der della Cisl, Raffaele Bonan­ni, ha sparato a zero, chiaman­do in causa lo stesso premier: «O Berlusconi torna indietro o noi protesteremo fortemente contro questa iniziativa arbitra­ria ». Quindi, sul pubblico im­piego, rischia di consumarsi una rottura tra il governo e la Cisl, che finora è stato il sinda­cato più dialogante. Ma prote­stano anche le altre sigle (le Rappresentanze di base parla­no di sciopero generale), fon­damentalmente perché il nuo­vo sistema per la retribuzione accessoria, fa fuori il potere di contrattazione dei sindacati e affida i premi a giudizi di meri­to, «pagelle» per ciascun dipen­dente stilate da specifici orga­nismi di valutazione. Il segretario dell’Ugl, Rena­ta Polverini, parla di «fuga in avanti» e chiede al governo di aprire un tavolo. La Cgil è infuriata perché l’articolo 74 del decreto, «per consentire l’adeguamento dei meccani­smi di rilevazione della rap­presentatività sindacale», proroga per tre anni le attuali Rsu elette dai lavoratori, fa­cendo così saltare il rinnovo previsto quest’anno nella scuola e al 2010 nel resto del pubblico impiego. Prima delle proteste del sin­dacato, Brunetta aveva dovuto affrontare i rilievi sollevati da alcuni colleghi in Consiglio dei ministri. In particolare, il mini­stro dell’Economia, Giulio Tre­monti, ha preso di mira l’artico­lo 31 sulla class action che, nel testo presentato, dà diritto a «ogni interessato» di «agire in giudizio nei confronti delle am­ministrazioni e dei concessio­nari di servizi pubblici» in ca­so di «violazione di standard qualitativi ed economici». An­che se lo stesso articolo preci­sa che «l’azione non è diretta ad ottenere il risarcimento del danno», è stato osservato che si sarebbe comunque aperta la porta a un pericoloso conten­zioso, col rischio di indurre mi­gliaia di dirigenti, esposti al giudizio disciplinare e della Corte dei Conti, alla paralisi, mettendo così a repentaglio il funzionamento degli uffici. L’articolo sarà quindi corretto. Così come ci saranno modi­fiche per risolvere una que­stione sollevata dal ministro per le Pari opportunità, Mara Carfagna. Che ha osservato come il sistema di aumenti le­gati al merito proposto da Brunetta avrebbe finito per penalizzare le donne madri e ha chiesto che per queste, nel­le pagelle, si tenga conto, at­traverso un «congruo punteg­gio », del numero di figli mi­nori, e che l’assenza per ma­ternità non pesi ai fini della valutazione e del trattamento accessorio. Ma vediamo come dovreb­be funzionare il nuovo siste­ma meritocratico, definito una «rivoluzione copernica­na » da Brunetta. Ai fini del sa­lario accessorio (premi di pro­duttività e altro), che nel caso dei dirigenti sarà pari ad al­meno il 30% della retribuzio­ne complessiva, ci saranno tre fasce (articolo 19). Nella prima, dove potranno finire (in base alle pagelle indivi­duali) al massimo il 25% dei dipendenti, si avrà diritto al massimo del bonus previsto dal contratto, nella seconda, che avrà spazio fino al 50% del personale, il premio sarà dimezzato, mentre nell’ulti­ma fascia, riservata al 25% dei dipendenti, non verrà pagato alcun premio. In altre parole, un lavoratore pubblico su quattro non riceverà alcun in­centivo. Una vera novità ri­spetto ai premi a pioggia ai quali sono abituati tutti gli statali. A decidere chi premia­re e chi no saranno gli «orga­nismi indipendenti per la va­lutazione » coordinati da una Authority nazionale per la va­lutazione e la trasparenza. Enrico Marro ROMA – Sotto questo governo Berlusconi, la rottura sindacale tra la Cgil da una parte e la Cisl e la Uil dal­­l’altra è scattata, sette mesi fa, pro­prio dal pubblico impiego. Adesso, il decisionismo del ministro della Pub­blica amministrazione, Renato Bru­netta, potrebbe favorire un riavvici­namento tra le confederazioni sem­pre a partire dal settore pubblico. Forse, proprio per evitare questo sce­nario, ieri sera lo stesso ministro ha diffuso una nota per sottolineare che quella approvata ieri non è ancora la definitiva riforma, ma uno schema di decreto legislativo che può essere corretto anche alla luce delle osserva­zioni che faranno i sindacati. Era il 23 ottobre quando i leader della Cisl e della Uil, Raffaele Bonan­ni e Luigi Angeletti, firmarono l’ac­cordo con Brunetta sul rinnovo dei contratti (70 euro nel biennio 2008-2009) e il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, no. Una rottura che fece scalpore perché avvenuta in un settore, quello degli statali, dove i tre sindacati non si erano mai divisi, e che annunciava una nuova stagio­ne di conflitto tra la Cgil, da sola in piazza come nel 2002, e il governo di centrodestra. Da allora Bonanni e An­geletti hanno tirato dritto, firmando prima l’accordo per la riforma qua­dro della contrattazione, lo scorso 22 gennaio, poi quello attuativo con la Confindustria e infine quello per il pubblico impiego con lo stesso Bru­netta. Sempre senza Epifani. E senza Carlo Podda, il combattivo capo del­la Funzione pubblica Cgil, che ha sca­tenato la sua organizzazione in ripe­tuti scioperi contro Brunetta, ma di fatto anche contro la Cisl e la Uil, col­pevoli di essersi accontentate di un «piatto di lenticchie». Stando così le cose, Bonanni, il lea­der del sindacato che non ha avuto paura di rompere con la Cgil, si aspet­tava ben altro trattamento dal gover­no. A dire il vero i rapporti tra il lea­der della Cisl e il ministro del Welfa­re, Maurizio Sacconi, figura centrale nella nuova stagione di relazioni sin­dacali, sono e restano ottimi. Ma poi c’è il «fattore Brunetta» che spiazza tutti. Il ministro della Pubblica ammi­nistrazione i sindacati li «consulta», ma poi decide lui. E questo, per Bo­nanni, che fa della concertazione (cioè il decidere insieme) la sua ra­gione di vita, è insopportabile. Il lea­der della Cisl già aveva storto il naso in occasione dell’accordo sulla rifor­ma della contrattazione, qualche set­timana fa. Brunetta non aveva fatto una vera e propria trattativa, ma in sostanza gli aveva mandato il testo da firmare. Poi ieri il colmo dei col­mi per Bonanni: una riforma radica­le del pubblico impiego, che abbatte il potere di contrattazione e interdi­zione del sindacato, non concertata con la Cisl. Roba da non credere per l’irruente sindacalista abruzzese, mentre Epifani si gode lo spettacolo. Enr. Ma. LUISA GRION su REPUBBLICA, stesso giorno LUISA GRION ROMA - Legare lo stipendio degli statali al merito: chi più e meglio fa, più guadagna. Niente premio a chi non produce. La guerra ai cosiddetti «fannulloni» dichiarata dal ministro Brunetta entra nella sua fase calda: ieri, il Consiglio dei ministri ha dato il primo via allo schema di decreto che stabilirà i criteri su chi dovrà essere premiato e chi no. Il testo parte da un presupposto: stop alle distribuzioni a pioggia, il popolo degli statali sarà diviso in tre fasce. A chi rientra nella prima - quella dei più «bravi» - sarà riconosciuto il cento per cento di quella parte di stipendio legata ai risultati (salario accessorio); ai dipendenti della seconda, i «bravini», spetterà solo il 50 per cento di quella voce in busta paga; a quelli della terza, gli «scarsi», non sarà riconosciuta alcuna voce accessoria. E per ognuna di queste tre fasce sarà fissato un tetto: ci sarà un 25 per cento di bravi (e fra questi un 5 per cento di «super» cui sarà riconosciuto un premio extra fino al 30 per cento dello stipendio), un 50 di «medi» e il restante 25 per cento sarà classificato nella fascia «somari». Le risorse liberate da questo schema andranno ad alimentare i premi di eccellenza. Ora la questione centrale è questa: chi deciderà chi merita e chi no? I criteri per stabilirlo saranno fissati da una autorità doc, ma all´interno di ogni singolo ufficio sarà il dirigente a decidere chi «sì» e chi «no» dando valutazioni destinate a pesare sulle carriere. Lo stesso dirigente, se non raggiunge gli obiettivi, sarà a sua volta penalizzato economicamente (non riceverà quella parte di stipendio legata al risultato) e potrà essere rimosso dall´incarico. Fra le novità che lo riguardano (per chi vincendo un concorso passerà alla prima fascia) ci sarà anche l´obbligo di maturare un´esperienza all´estero (in un paese europeo) lavorando per almeno sei mesi in un ufficio pubblico straniero o in un organismo internazionale. Un altro punto caratterizzante del testo è quello riguardante la possibilità, per i cittadini insoddisfatti, di avviare una class action contro la pubblica amministrazione: non otterrà alcun risarcimento, ma potrà far commissariare l´ente e far sì che ai dirigenti sia automaticamente tagliata una fetta dello stipendio. Ora il testo, fortemente voluto da Brunetta che ne ha fatto la «colonna sonora» della sua amministrazione, sarà trasmessa alle parti sociali - attraverso il Cnel - alla Conferenza unificata e alle commissioni parlamentari e che ritornerà poi a Palazzo Chigi per la definitiva approvazione. Ma è già guerra dichiarata. Se il premier Berlusconi vi vede, assieme alla digitalizzazione, la strada maestra per «rimediare a sprechi e inefficienze», per i sindacati - e non solo per la Cgil questa volta - non è così. «Questa è un´invasione di campo della politica che su una partita come quella del pubblico impiego se la canta e se la suona - tuona il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni - le riforme si fanno attraverso discussioni trasparenti tra governo e sindacato. O Berlusconi torna indietro o contro questa iniziativa arbitraria esploderà la protesta».