Anna Zafesova, La stampa 8/5/2009, 8 maggio 2009
BYE-BYE PUTIN MEDVEDEV HA PRESO IL VOLO
Un anno fa Dmitry Medvedev ha giurato come presidente, e a Mosca si scherzava che dalle maniche della sua giacca Hugo Boss spuntavano, visibili, i fili con i quali Vladimir Putin lo manovrava come una marionetta. Decine di esperti, russi e occidentali, studiavano la biografia del nuovo inquilino del Cremlino: poco più che 40enne, mai nel Kgb, a scuola andava pazzo per i Deep Purple. Dettagli personali dai quali si cercava di disegnare un «liberale»: perché in Russia dopo otto anni di «verticale di potere» putiniana, le differenze caratteriali restavano l’unico fattore su cui contare.
Un anno dopo il presidente siede sempre davanti al suo padre politico, diventato premier, con l’aria rispettosa di figlio modello, ma con la sua voce pacata spesso lo contraddice. Ha respinto leggi, licenziato generali e governatori, incontrato dissidenti e Ong, fino all’aperta sfida di concedere la prima intervista in Russia alla Novaya Gazeta di Anna Politkovskaja. Infine ha fatto capire di volersi ricandidare nel 2012, invece di cedere il posto a Putin.
Non ancora un parricidio politico, ma mini-ribellioni che mostrano come il delfino marionetta fosse un sogno. La «verticale» russa trasforma in zar anche il più leale e meno ambizioso dei pupilli, offre un immenso potere che in un Paese che non ha mai conosciuto forme di Stato non piramidali, non può essere dato in custodia e non tollera dualismi. Il potere genera potere, e Putin diventato da improbabile delfino di un presidente in declino a idolo dei russi, lo dovrebbe sapere.
Una trasformazione che nel caso di Medvedev è accelerata dalla crisi. L’era del superbarile è coincisa con la presidenza Putin. Che però ha voluto restare premier, cioè colui che nella tradizione moscovita è responsabile dell’economia. Ora non può andarsene, rischiando di scomparire lasciando al suo delfino l’eventuale merito di risolvere la crisi. Non può restare, rischiando la sorte del capro espiatorio. Mosca non può più permettersi l’arroganza politica e militare, costretta ormai a scegliere tra i voli dei bombardieri nell’Atlantico e le pensioni. E quando il braccio di ferro con l’Occidente diventa un lusso, al giovane zar non resta che tagliare i fili dalla sua giacca. La generazione dei Medvedev non deve vendicare l’umiliazione dell’impero perduto dei Putin.