Antonella Rampino, La stampa 8/5/2009, 8 maggio 2009
LA GENTILEZZA CI STA UCCIDENDO"
Se conoscesse Dante Alighieri di sicuro Rebiya Kadeer farebbe proprio quel verso, «Amor che a nullo amato amar perdona...». Gli addetti al marketing la chiamano «La guerrigliera gentile», «il Dalai Lama degli Uiguri», come da titolo e sottotitolo della appassionante biografia appena data alle stampe per Corbaccio. Lei sorride serafica dei suoi sessantadue avventurosi anni in difesa della sua etnia, ride di una vita da oppressa, da contadina a miliardaria, e da miliardaria a perseguitata leader della resistenza in esilio a Fairfax, Virginia.
Sorride di quegli otto milioni di turcomanni «che Stalin a Yalta vendette alla Cina, facendo nascere lo Xinjang». «Siamo tutti guerrieri gentili, il carattere nazionale è dolce, sappiamo che dalla violenza nasce solo violenza, che solo la libertà produce libertà». Perfino l’Islam degli uiguri è il dolce Islam delle origini, «non c’è fondamentalismo da noi». Kadeer mandò a memoria le sura del Corano a dodici anni, poi a quattordici ebbe un marito, poi lo lasciò, poi se ne scelse un altro, e alla fine undici figli - perseguitati dal regime cinese, come lei. Mentre parla allunga le dita sottili, si scuote le tradizionali lunghe trecce brizzolate, ti tocca il viso, «lo vedi, tu gesticoli come me, hai la mia stessa pelle bianca: sei indoeuropea, vorresti essere oppressa da un comunista con la pelle gialla?».
Dice Kadeer che «i cinesi sono gentili, ma fintamente gentili, fingono anche di essere democratici: il mondo deve comprendere questo, la Cina finge, la Cina non è democratica, finché non riconoscerà i nostri diritti, parlare la nostra lingua, coltivare le nostre tradizioni, ed essere liberi di andare e venire col passaporto che oggi ci negano, nessun Paese al mondo sarà sicuro».
L’Onu, dice, «non basta: con noi uiguri, l’Onu è molto gentile, ma è la stessa gentilezza dei cinesi». E intanto, la Cina continua la sua politica di immigrazione forzata, continuano gli aborti di regime anche al nono mese, «e i cinesi non ci danno lavoro perché come dice un nostro detto ”con la pancia piena si pensa alla libertà”».
Sorride quando le parlano di «Uiguristan», secondo la nuova moda dei sapienti di geopolitica che in quell’inferno che va dal Caucaso alla Mongolia, non sapendo che pesci prendere, appioppano il suffisso «stan» a qualsiasi regione. «Siamo turcomanni, Turkestan orientale va benissimo: avremo uno Uiguristan solo quando i cinesi avranno riconosciuto la nostra libertà, noi non chiediamo l’indipendenza». E guai a paragonarla al Dalai Lama, «il mio modello è Gandhi che ha lottato partendo dal nulla, ha liberato l’India dagli inglesi, ha praticato la resistenza passiva». Il Dalai Lama no, il Dalai Lama è un re, «il rispetto tutti glielo devono, non se l’è dovuto conquistare».
Mentre invece Kadeer crede, come il Mahatma, che una testimonianza esemplare possa fare una rivoluzione, ed è proprio per questo che il suo nome gira da anni sulla ruota dei Nobel per la Pace. La sua vita, per esempio. Che ha avuto un obiettivo sorprendente: un centro commerciale. «Nato sfidando tutto e tutti, il regime e pure il mio amatissimo secondo marito, perché sapevo che avrebbe aiutato a riscrivere il destino del mio popolo». Come in un copione di una tipica, occidentale storia di successo fai-da-te, «a noi uiguri è proibito diventare ricchi e influenti». E poi un movimento di resistenza teleguidato via You tube, Internet e ogni possibile diavoleria della rete.
«I messaggi viaggiano per migliaia di chilometri, arrivano nella mia terra, vengono diffusi per campagne, valli e monti in forma di litania, di danza, di poesia. Sono canzoni in cui nessuno mi nomina mai, ma sono i messaggi della madre degli uiguri». Amor che a nullo amato amar perdona, appunto.