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 2009  maggio 08 Venerdì calendario

ECCO LA NOSTRA RICETTA CONTRO LA RECESSIONE"


La grande crisi nasce dall’aver lasciato fare alla grande finanza quasi tutto quello che voleva; ma alla radice sta la crescente disuguaglianza sociale degli ultimi 25 anni. Così concordano i 25 esperti mondiali riuniti dall’università Luiss «Guido Carli» di Roma e dalla Columbia di New York; è un «G-ombra» di economisti, alti funzionari, rappresentanti di organizzazioni non governative, costruito per offrire consigli ai governanti del G-7, del G-8 e del G-20.
 una interpretazione nuova, quella riassunta al pubblico dai due coordinatori, il premio Nobel Joseph Stiglitz e Jean-Paul Fitoussi, uno dei più ascoltati economisti francesi. Ha un sapore, per schematizzare, alquanto di sinistra. Il dissesto della finanza sregolata, supportato da una dottrina sbagliata (il fondamentalismo liberista), ha avuto conseguenze così devastanti perché «alla radice» c’è la disuguaglianza sociale, che provoca «una carenza di domanda a livello mondiale».
In parole povere il divario tra ricchi e poveri si è allargato a causa di una «globalizzazione squilibrata» («i movimenti di capitale sono stati liberalizzati assai più dei mercati del lavoro») e del «logorarsi dei principi egualitari affermatisi dopo la seconda guerra mondiale», si legge nel documento conclusivo. Poiché i ricchi rispetto ai poveri spendono una quota inferiore di quello che guadagnano, mancano ora sufficienti stimoli alla ripresa.
Negli Stati Uniti, ha spiegato Stiglitz, «la compressione dei redditi bassi è stata compensata dalla riduzione del risparmio e dal crescente indebitamento delle famiglie, che aveva permesso di tenere quasi immutati i comportamenti di spesa». Intanto, per evitare la disoccupazione, il governo spendeva in deficit; si sono dunque accresciuti insieme il debito privato e il debito pubblico.
L’Europa ha preso una strada diversa: «la redistribuzione a favore dei redditi alti ha portato a maggiori risparmi e a una crescita più lenta»; mentre «un settore finanziario meno incline all’innovazione limitava l’indebitamento dei consumatori». Nello stesso tempo gli alti risparmi dell’Asia e dei paesi petroliferi del Medio Oriente contribuivano sempre più a finanziare il debito americano.
Per questo è così difficile tirarsi fuori dalla recessione, «perché il vecchio motore della crescita si è rotto - si infervora Stiglitz - e non potrà tornare più come prima». L’economista americano non crede molto ai segnali di ripresa che i governanti del suo paese dicono di intravedere: «Nella loro posizione è comprensibile che cerchino di infondere ottimismo». Il calo dell’attività economica rallenta, ma questo non deve essere confuso con una ripresa vera e propria».
Più ancora, aggiunge, «mi pare che ci sia qualcuno intento a pregare che la ripresa arrivi abbastanza presto da non dover rivelare tutte le perdite ancora nascoste nelle banche». Fitoussi, che insegna alla Luiss oltre che a Parigi, è d’accordo. Il loro documento si apre con un appello ai capi di governo dei vari «G»: l’alternativa che hanno davanti è tra uscire dalla crisi «con un futuro di crescita più sostenibile, più amica dell’ambiente, e dai frutti distribuiti in modo più equo», oppure essere giudicati per «aver mancato al loro dovere», «benché le circostanze eccezionali offrano uno spazio di manovra molto maggiore».
Di qui i suggerimenti, che in tutto sono una trentina. Si critica l’Unione europea, perché le sue misure anticrisi «restano ben al di sotto del contributo da dare in ragione delle dimensioni dell’economia e dell’alto livello di risparmi». E se il problema di fondo è la disguaglianza, occorre «accrescere la progressività del sistema fiscale» in modo coordinato tra i vari paesi, nonché restituire ai sistemi pensionistici un ruolo di perequazione.
Fitoussi insiste sugli aiuti ai paesi poveri; un altro dei membri del «G-ombra» il Lord inglese di origine indiana Meghnad Desai, appoggia la proposta cinese di sostituire al dollaro, come valuta internazionale, un paniere di valute sotto l’autorità del Fondo monetario.10