Varie, 8 maggio 2009
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Khan Natasha
• Wembley (Gran Bretagna) 25 ottobre 1979. Cantante. Dei Bat for Lashes • «’Sono entrata nella musica dalla porta più stretta. Non faccio canzonette. Poi all’improvviso si accende un riflettore. I Radiohead dicono: ”Bat For Lashes sono il nostro gruppo preferito, li vorremmo in tournée con noi’”. [...] Inquietante e seducente. Strega e fata. [...] ”La cantastorie del nuovo millennio” [...] ”Scrivevo cose e le mettevo da parte, senza veramente concentrarmi sul disco finito. Per un po’ ho lasciato l’Inghilterra e ho vissuto qui a New York. Poi a un certo punto ho avuto la certezza di avere tra le mani qualcosa di buono, ho incominciato ad accelerare i ritmi, a sperimentare con i sintetizzatori, a creare atmosfere con gli strumenti elettronici. E soprattutto a spingere la mia voce al di là delle mie stesse possibilità” [...] figlia di un’inglese e di un giocatore di squash pakistano, Natasha Khan è sempre stata intrigata dalle possibilità della musica applicata alle arti visive. Thom Yorke rimase fulminato dal video di What’s a girl to do (dall’album Fur and gold del 2006), un omaggio al film Donnie Darko. Sul sito dei Radiohead scrisse: ”Amo quella voce da spettro sessuale, ci sento qualcosa di Kate Bush e delle fiabe dei fratelli Grimm”. ”Hounds of love di Kate Bush e il primo album di Björk sono i dischi che più mi hanno influenzato”, conferma lei [...] ”Insieme ai libri di Jack Kerouac e Berlin di Lou Reed. Ma anche ai vecchi album di mia madre: Joni Mitchell, Carole King e James Taylor. Il momento più difficile è stato quello in cui ho cercato di trovare una mia identità, per esprimere una musica che riflettesse la mia anima e non assomigliasse a quella di nessun altro; conciliare il mio amore per le grandi cantautrici con la passione per il rock aggressivo e a volte distruttivo, Nirvana, Courtney Love…”. Ora Björk è una sua fan [...] ”La musica nasce dalle mie visioni [...] fragile, non catalogabile. Per un artista, le visioni sono il salvagente nell’oceano in tempesta, il riparo dalle mediocrità, la spiaggia in cui naufraga l’inquietudine. Una volta pensavo che tutto questo arrivasse dall’esterno: dagli amici folli, da una notte scatenata, da una passione travolgente. Poi ho capito che è qualcosa che viene da dentro. L’artista deve essere aperto e pronto a… tradurre in musica o immagini quel che riceve. A volte è doloroso, altre volte liberatorio… ma sempre diverso. Anche sul palco. Puoi sentirti estremamente motivato, in perfetta comunione con l’energia che circola nel teatro. Oppure, in preda alla timidezza, diventi sospettoso e incominci a nasconderti, come se fosse impudico svelare la tua anima a chi ti sta di fronte. Ma in certe notti speciali possono arrivare strane vibrazioni, e allora ti senti come uno sciamano, ti lasci andare alla musica, al pubblico, … a tutto”. Non parla molto di suo padre, che è tornato a vivere in Pakistan quando lei era ancora bambina, ma racconta volentieri i particolari dei suoi viaggi e lo stupore che ha provato ascoltando la musica religiosa dei sufi. ”Sacralità e trance sono gli elementi che più mi hanno colpito nella musica dei paesi islamici. Anche se la mia formazione è decisamente britannica. A undici anni prendevo lezioni di piano, a dodici già suonavo la chitarra e dipingevo. Scrivevo canzoncine molto private, una sorta di diario in musica. Non confidai mai a nessuno di voler fare la musicista fino a diciotto anni. Mia madre non nascose la sua delusione quando le svelai il mio segreto. La prima reazione fu: ”Perché invece non ti cerchi un lavoro decente?’. Per non deluderla ho terminato gli studi. Se non ce l’avessi fatta sarei stata una brava insegnante. [...]”» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 8/5/2009).