Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 05 Domenica calendario

Il Giornale, domenica 5 aprile 2009 Poi dicono che nel bosco si fanno brutti incontri. Franco Puttin, scultore, viandante ed eremita, è un bellissimo incontro, invece

Il Giornale, domenica 5 aprile 2009 Poi dicono che nel bosco si fanno brutti incontri. Franco Puttin, scultore, viandante ed eremita, è un bellissimo incontro, invece. Eppure vive nei boschi del Mugello, dopo aver attraversato quelli di mezza Italia. Un elfo buono. Anche se a prima vista, con quel viso affilato che si prolunga in una barbetta caprina, potresti scambiarlo per un ex tossicomane, non ha mai avuto nulla a che fare con la droga. Ha solo perso di colpo 28 denti per un incidente stradale e altri due se li è strappati con la pinza. Gliene restano un paio, gli ultimi, non ho osato indagare quali siano. Nei boschi Puttin scolpisce e modella. Pietra serena, marmo, legno, creta, ceramica. Avesse i soldi, porterebbe le sue opere in fonderia e le consegnerebbe all’eternità del bronzo. Invece l’artista errante è costretto a seppellirle, come se fossero persone che a un certo punto muoiono. «Non ho altra scelta. Come faccio a portarmele appresso? Mica posso infilarle nello zaino». In dieci anni ha prodotto 387 sculture - statue e busti di Leonardo, Michelangelo, Bernini, Dante, Gesù Cristo, Maria Immacolata, San Biagio, San Sebastiano, Santa Rita da Cascia, Prometeo, Mussolini, Totò - e molte sono finite sotto terra, perché certi clienti prima gliele commissionano e poi si defilano oppure si rifiutano di pagare il giusto. Dal monte Rosa alla Rocca di Radicofani, ci sono una cinquantina di sculture che attendono solo d’essere riportate alla luce. Ne ha inumate a Piedimulera in Valle Anzasca, a Boarezzo e ad Alpe Tedesco in Valganna, ad Albizzate, a Suzzara nel letto del Po, a Firenzuola, al Passo della Futa, a Fresciano, a Saltino, a Laiano vicino a Pisa, a Empoli e nel Grossetano. Uno straordinario cimitero lungo 600 chilometri e largo 350, di cui soltanto lui conosce le coordinate. Quando Alessandro Zanobetti, proprietario con lo zio Marcello dell’agriturismo Casa degli Ulivi, 85 ettari di paradiso naturale in località Pimonte di Barberino del Mugello, ha lavorato di pala e piccone due ore buone per aiutare Puttin a esumare uno di questi cadaveri eccellenti, non credeva ai propri occhi: dalla fossa è affiorato un San Girolamo di 12 quintali, alto 2 metri e 80 e largo uno. Zanobetti, una pasta d’uomo, produttore di un olio extravergine che è finito sulle mense di Papa Wojtyla e di George Bush e che viene prenotato con anni d’anticipo da clienti come Ennio Doris e Sergio Loro Piana, incontrò Puttin nel 2006. Decise di comprare una delle sculture che il girovago offriva per strada. «Quel busto no, non te lo posso dare, non è in vendita: è il mio autoritratto, eseguito con la tecnica dei tre specchi», si sentì rispondere. Alla fine raggiunsero un singolare accordo: il mecenate pagava la scultura solo per tenersela in casa propria qualche tempo, ma s’impegnava a restituirla all’autore. Già, ma come ritrovare Puttin? «Cammina per 40 minuti a piedi nel bosco di Fresciano», fu l’indicazione. Si rividero parecchie settimane dopo. Zanobetti portò l’artista nell’agriturismo. E scoprì che da sei mesi l’eremita non mangiava un piatto caldo. Da allora si può dire che lo abbia adottato. Puttin, 42 anni, originario di Varese, vive in una capanna che s’è costruito con le proprie mani. Si lava nel torrente Stura oppure nei rii. Al posto del sapone, usa la cenere, «altrimenti rovino le falde acquifere». Col medesimo detergente fa il bucato. Per nutrirsi, s’arrangia come può. A Pietramala, il paese dei fuochi perenni vicino al Passo della Raticosa dove Alessandro Volta nel 1778 studiò le emissioni di metano dal sottosuolo che venivano scambiate per fiamme dell’inferno, non c’è negozio che non rechi all’esterno una targa in ceramica creata da Puttin in cambio di qualche spicciolo. Nella vicina Firenzuola il vagabondo ha scolpito in legno di castagno lo stemma municipale, «il sindaco se l’è cavata con 60 euro, ha detto che il Comune era senza soldi e io avevo molta fame». Per anni l’errabondo ha consegnato a un salumiere di Cirignano sacchi da 50 chili di funghi porcini raccolti nei boschi, ricavandone un po’ di scatolame e qualche pacchetto di sigarette. Poi per fortuna alla festa internazionale della ceramica di Montelupo Fiorentino s’è imbattuto in un munifico dentista delle sue parti, il dottor Lucio Angelo Malnati, che s’è offerto di rifargli la bocca nel proprio ambulatorio di Castelseprio, «un’implantologia endossea che mi costerebbe come minimo 16.000 euro», cioè un sogno impossibile, visto che in tasca ha appena 60 euro. Per sdebitarsi, regalerà al medico dieci teste di cavallo intagliate nel legno. Che mestiere faceva in precedenza? «Il saldatore, come mio padre». Mi parli della sua infanzia. «Bellissima. Sempre in giro nei boschi con papà. Da giugno a settembre in colonia a Boarezzo. lì che ho imparato a costruire le capanne». Negli ultimi dieci anni non ha mai avuto una casa? «Solo rifugi provvisori: mulini abbandonati, casolari diroccati, stalle, ovili. Ho dormito anche nei porcili. Una volta a Mangona avevo occupato una casa di villeggiatura in disfacimento, priva di luce, acqua e gas, ma dopo qualche tempo ho scoperto che era di proprietà della Curia di Firenze. I preti mi hanno mandato a chiamare. Figurarsi, volevano 250 euro al mese di affitto... E dire che avevo realizzato anche il busto dell’arcivescovo, il cardinale Ennio Antonelli. Vennero i carabinieri col fabbro e cambiarono la serratura». Perché ha scelto di fare questa vita? «Colpa della moto da cross, la mia grande passione. La prima mi fu regalata a 4 anni. Il 17 febbraio 1998 mi capitò un incidente con la Kawasaki 250. Stavo oltrepassando il fiume Tenore, in provincia di Varese, 15 metri di salto. Nell’atterrare, il piede sinistro si impigliò in un albero e il ginocchio si girò di 90 gradi. Rovinai a terra. Addio denti, menischi, legamenti crociati, nervi rotulei. Malleolo e tibia fratturati. Un macello. Credevo di cavarmela come le altre volte: in fin dei conti avevo già 78 punti di sutura sul corpo». Invece? «Sei mesi immobile a letto, con la prospettiva di non camminare più. Siccome non sono il tipo da star fermo, chiesi a Daniela, che da otto anni era la mia fidanzata, di procurarmi un pacco di creta per ingannare il tempo. Un invito a nozze, per lei, visto che studiava in una scuola per stilisti di moda. Cominciai a modellare una figura umana con la tecnica del colombino. Alla fine mi ritrovai ai piedi del letto un Obelix alto un metro e 20». Era nato un artista. «Mi ero innamorato dell’argilla come persona. Non potevo più soffocare questo sentimento. Dopo essermi ristabilito, provai a tornare al lavoro. Ma piangevo tutti i giorni, sbagliavo le saldature come quando avevo 15 anni. Confidai a Daniela che intendevo fare lo scultore. Lei mi rispose: ”Non voglio mettere su famiglia con uno che non ha un lavoro fisso”. E mi lasciò. Un lunedì, agli inizi del ”99, mi licenziai e me ne andai». Dove? «A Piedimulera, verso Macugnaga, in una capanna di legno che mi sono costruito con le mie mani. Facevo il boscaiolo per campare. Poi sono sceso nel Senese, a Radicofani, il paese di Ghino di Tacco, per avvicinarmi alla terra dell’argilla. Quindi a Montelupo, la capitale della ceramica. Abitavo sull’argine del fiume Pesa, sotto il ponte. Lì mi ha visto all’opera Guido Bitossi, proprietario del gruppo Colorobbia, che da solo fa l’80 per cento della produzione mondiale di creta, con 2.000 dipendenti e stabilimenti in Russia, Cina, Polonia, Indonesia e Messico. Mi ha dato il suo biglietto da visita e mi ha detto che potevo andare a prendermi l’argilla a Samminiatello e cuocere le mie opere nei suoi forni, tutto gratis». E i suoi genitori come reagirono? «Per sette anni non ci siamo più parlati. Sono tornato solo quando mia madre è stata male, ma si finiva sempre per litigare lo stesso. Loro sognano per me un posto col cedolino a fine mese. Tutto il resto è utopia». Ma non ha freddo a dormire in questa capanna? «No, fino a 20 sotto zero ci dormo bene. Non ho più avuto neanche un raffreddore, da quando faccio questa vita. Entro in mutande e maglietta nel telo termico, che all’interno mantiene il calore corporeo, 13 gradi costanti». E non fa mai brutti incontri nei boschi? «Ho questo». (Mostra un moschettone appeso alla cintura). «Qualche volta ho dormito appeso agli alberi con l’imbragatura». Per quale motivo? «I lupi. Sulla Futa, al Passo della Raticosa, ma anche a Mangona, ce ne sono tantissimi. Sbranano i vitelli. Pensi che in due anni, qui nel Mugello, ci sono state 276 denunce per attacchi al bestiame. Il comandante della Forestale di Firenzuola ha persino allevato un cucciolo di lupo, se lo tiene in caserma. Ma i peggiori sono i cervi in amore. Quelli sono grossi quattro volte. Ne ho incontrato uno sul sentiero. Mi ha lanciato un bramito da pelle d’oca». Non sente il peso della solitudine? «Solo quando mi è morto Spino, il mio bastardino cieco, il 13 maggio dell’anno scorso. Ma adesso ho Ego, un lagotto romagnolo». Non avverte il bisogno di scambiare quattro chiacchiere con qualcuno? «Sinceramente no. Più il tempo passa e meno voglio parlare. Ho tante cose per la testa. Sto bene da solo». Non le manca una donna al suo fianco? «Da 10 anni sono innamorato di Gesù ed è come essere innamorato di una donna. Se hai una fidanzata, non parli con un’altra». Gesù l’ha scoperto nei boschi? «Ero già credente, anche se mi sono fatto una religione tutta mia, senza parroci, senza messe, senza confessioni, senza comunioni. L’incidente, invece di allontanarmi da Lui, mi ha avvicinato. Per questo mi piace scolpire San Girolamo, che fu definito adulatore del crocefisso da Gian Lorenzo Bernini». Che cosa mangia? «Quello che raccatto. Per mesi mi sono nutrito solo di zucchine e patate alla brace. Ogni tanto faccio legna nel bosco e la porto a qualche trattoria in cambio di una bistecca o di una pizza». Ha patito tanta fame? «Avrei patito di più senza uno spazio dove scolpire». Quanto pesa? «Credo 67 chili». Sarebbe in grado di ritrovare le sculture che ha seppellito? «Certo. Da quando faccio questa vita tengo un diario quotidiano. Ho già riempito 11 agende. Un esercizio utilissimo, che consiglio a tutti. A me ha evitato la galera». In che senso? «Nel 2004 i carabinieri vennero in località Sartino a cercare una cassa di armi nel casolare dove mi ero rifugiato. Le chiavi me le aveva date un personaggio strano, che ogni tanto veniva lì accompagnato da un mago. Al processo per direttissima, a Pontassieve, fui scagionato perché nel mio diario era tutto raccontato, giorno per giorno, comprese le raccomandazioni del trafficante: ”Non aprire quella cassa per nessun motivo”. Il giudice ha capito che non c’entravo nulla». Le mappe delle opere sepolte sono nelle agende? «Esatto. San Girolamo l’ho dovuto interrare a Fresciano nel 2006 per trasferirmi a Mangona: il proprietario del rudere mi aveva cacciato da un giorno all’altro. A Mangona invece ho nascosto un busto di Mussolini. Me l’aveva ordinato una maestra di Barberino, prezzo pattuito 400 euro. Ma quando sono andato a portarglielo, mi ha detto: ”Mio marito non vuole il Duce in casa”». Le sculture non si rovinano sotto terra? «Semmai si antichizzano. Alcune le avevo lasciate nel letto dei fiumi Stura, Diaterna e Santerno, ma poi sono affiorate dall’acqua e me le hanno rubate». Ma le seppellisce sperando di tornare a riprendersele? «Sì. Però se restano lì in eterno, non mi dispiace. Ho un sogno: organizzare una caccia al tesoro dal Piemonte alla Toscana. Chi le scova, se le tiene. Così come mi piacerebbe, avendone i mezzi, aprire una scuola estiva di scultura e di vita per gli adolescenti. Hanno bisogno d’imparare qualcosa di buono». Non crede che spaventerebbe i ragazzini? «No. Ho già tenuto lezioni a Varese e a Somma Lombarda, alle elementari e alle medie. Gli studenti hanno rinunciato a una gita in barca sul lago Maggiore pur di finire il mio corso». Non ha mai pensato di esporre le sue opere? «E i soldi per farlo dove li trovo? Nel 2007, su invito d’una critica di Reggio Emilia, ho partecipato alla Mostra internazionale d’arte contemporanea al Vittoriano di Roma. Mi hanno abbuonato i 1.800 euro d’iscrizione, ma in cambio ho dovuto lasciare agli organizzatori cinque sculture, un busto di Garibaldi in ceramica bronzato a freddo e uno di Leonardo da Vinci da regalare a un critico d’arte. Mi hanno comunicato che le mie opere erano esposte al museo del Risorgimento, presso l’Altare della patria, quando la mostra era già finita». Quanto le basta per vivere? «Trecento euro al mese». Segue le notizie sulla crisi economica? «Sì. Da dieci anni non vedo la Tv e non leggo i giornali, però ascolto la radio, non mi sono isolato del tutto». I crolli delle Borse su di lei che effetto hanno? «Nessuno. Mi dispiace solo per chi ha famiglia e figli. Se tutti vivessero nei boschi, sarebbe meglio». Ha mai chiesto la carità? «Mai. Ci sono altre strade prima di perdere la dignità. Quando nessuno mi compra le sculture, m’ingegno come imbianchino, fabbro, saldatore, oppure rifaccio le coperture dei tetti e spacco la legna». Secondo lei che cos’è la normalità? «La pazzia più grande. Non c’è niente di sicuro a questo mondo. Non il lavoro fisso, non la casa, non la vita». Si ritiene una persona normale? «Per me, sì. Per voi, no». Il momento più duro da quando fa l’artista viaggiatore qual è stato? «All’inizio. Sentivo la spinta a scolpire ma non ne ero capace. Nel 2002 ho speso tutto quello che avevo, 300 euro, per comprare un libro di anatomia comparata uomo-animale scritto da due medici tedeschi. Osservavo e copiavo. Ho rifatto tutti i disegni del volume e poi, guardando le proporzioni sul quaderno, li ho trasferiti nella creta». Questa è la sua prima intervista. Perché l’ha accettata? «Perché anch’io ho bisogno degli altri, come tutti. Grazie per aver scoperto che esisto». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 52 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. LORENZETTO Stefano. 52 anni, veronese. Assunto a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore del Giornale e autore Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo.