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 2009  maggio 08 Venerdì calendario

First, maggio 2009 Memore dell’assoluzione laica che un arsenalotto impartiva al frate domenicano Giordano Bruno nell’omonimo film di Liliana Cavani («Bruno, ascolta! I pecati de mona, Dio li perdona!»), per festeggiare i suoi 76 anni Tinto Brass aveva organizzato un romantico week-end all’ombra della chiesa romanica di Torcello, nella natia Venezia, insieme con la sua nuova musa, Caterina Varzi, prosperosa protagonista di Ziva, l’isola che non c’è

First, maggio 2009 Memore dell’assoluzione laica che un arsenalotto impartiva al frate domenicano Giordano Bruno nell’omonimo film di Liliana Cavani («Bruno, ascolta! I pecati de mona, Dio li perdona!»), per festeggiare i suoi 76 anni Tinto Brass aveva organizzato un romantico week-end all’ombra della chiesa romanica di Torcello, nella natia Venezia, insieme con la sua nuova musa, Caterina Varzi, prosperosa protagonista di Ziva, l’isola che non c’è. La Locanda Cipriani dove Ernest Hemingway scrisse Di là dal fiume e tra gli alberi, aperta nel 1934 dal suocero Giuseppe Cipriani, il fondatore dell’Harry’s bar, gestita fino alla morte dalla moglie Carla detta Tinta e ora affidata al figlio Bonifacio Brass, resta l’alcova preferita del regista. Le camere s’affacciano sullo svettante campanile che domina la più pittoresca isola della laguna, un monumento veneto-bizantino che risale al 700 dopo Cristo, attualmente foderato di impalcature, bisognoso com’è di restauri, una perfetta rappresentazione della virilità del maestro, messa a dura prova dall’età. «Un casso! A me tira ancora. A parte l’erezione aurorale urinatoria, ho le 10 o 12 turgidità canoniche al giorno, e senza bisogno di Viagra». Complimenti. E tuttavia, che spreco. Perché lei, la rossa Caterina, all’ultimo momento gli ha dato buca. « un po’ matta. La aspettavo negli stabilimenti Technicolor di Roma per visionare insieme le pizze di Hotel Courbet, in cui è protagonista, primo cortometraggio d’una serie intitolata Il favoloso mondo di Tinto Brass che dovrebbe essere trasmessa da Sky o da Fox. Non s’è fatta vedere. L’ho cercata più volte. Niente, telefoni sempre staccati. Quando alla fine mi ha chiamato, le ho detto: cara, devi imparare a renderti reperibile. E l’ho mandata a cagliare» (uso l’incongruo verbo caseario al solo scopo di non giocarmi già nell’incipit lo score di 20 parolacce che la direzione, in via del tutto eccezionale, mi ha messo a disposizione). Così ora Tinto Brass è qui tutto solo, da mercoledì a domenica. E soffre. Da dove è saltata fuori Caterina? « un’avvocata, calabrese di Soverato, in preda a quello che i francesi chiamano le démon du midi: coglie le quarantenni quando intravedono la fine della loro femminilità. Lavora in uno studio legale di Roma. Venne a farmi firmare il contratto per un Dvd. Siccome è anche psicanalista junghiana, allieva di Aldo Carotenuto, s’è messa a fare domande. Voleva cercarmi l’anima. A me! Che, se mai l’ho avuta, l’ho venduta tanti anni fa. La Tinta mi diceva che sulle donne ho un effetto zoccoling. Le parti si sono subito invertite: sono stato io a tirare fuori il suo eros». Non credo che il marito sarà contento del paragone con le zoccole. «Non è suo marito. Convivono da 10 anni. E comunque lui è d’accordo. Mi sono riservato la civilissima funzione che nella Repubblica veneta era svolta dal cicisbeo. Mi prendo cura della signora, la porto a teatro, al cinema, al ristorante e anche a letto, perché questo serve a rendere più sereni i loro rapporti. Dopo, lei è più calma e più calda». Non posso crederci. «Eh, lo so, anche i vari Byron, Goethe e Flaubert, quando venivano in Italia per il grand tour, rimanevano scandalizzati». A che età s’è scoperto erotomane? «I primi amori ancillari li ho avuti ad Asolo, dov’eravamo sfollati per la guerra. Avevo 12 anni. Non mi ricordo se era il culo della Emilietta o di un’altra delle tre donne di servizio, tutte bellissime. Le infilavo una mano nelle mutande mentre mi puliva le scarpe. ”Ma no, signorino, cosa fa?”. Tasi, tasi, continua a lustrare». Precocissimo. «A 16 anni ho scoperto le prostitute. A Venezia c’erano 33 cinema e 33 casini. Passavo regolarmente dal buio della sala all’antro scuro della puttana. Quanti trucchi ho imparato in casino». Per esempio? «La posizione dell’orologio». Non mi pare che sia fra le 64 del kamasutra. «Io steso sul letto, con lei accoccolata a compiere un giro di 360 gradi sul mio membro». Ma così glielo storceva. «Storcere che? Duro come el gera? Carla l’ha rievocato fino all’ultimo: ”Ma ti ricordi quando mi portavi nelle camere a ore delle modiste o delle sartine? Per sfruttare tutto il tempo lo facevamo cinque volte”. Poi a Padova hanno cominciato a chiudere i casini, così mi sono trasferito all’Università di Ferrara, dove invece resistevano. A 18 anni fui cacciato di casa». Che aveva fatto? «Avevo scoperto i segreti del sesso, mi ero messo al pari di mio padre. Una sera, tornando nella casa di San Trovaso, trovai la serratura cambiata». Un padre all’antica, Alessandro Brass. «Aveva partecipato alla Marcia su Roma. Era un grande penalista, aveva esordito nello studio di Francesco Carnelutti. Nonostante fossi mezzo diseredato, andavo a sentire di nascosto le sue arringhe in Corte d’assise, ammaliato dall’ars oratoria». Lei è stato aiuto regista di Roberto Rossellini sul set del Generale Della Rovere tratto da un racconto di Indro Montanelli, ha firmato film impegnati come Chi lavora è perduto, ha diretto Alberto Sordi, Silvana Mangano e Monica Vitti. Per quale motivo ha poi deciso di buttarsi sul pecoreccio? «Tutto nasce da una forte delusione politica dopo il mio primo film, a ira. Ero condizionato da Albert Camus, sognavo la nascita dell’uomo nuovo. Ma ho capito che le rivoluzioni sfociano solo in grandi bagni di sangue, con la sostituzione di un potere a un altro potere. Le ho rinnegate tutte. A eccezione della rivoluzione sessuale». Ha accettato una particina nel film Impotenti esistenziali, uscito in questi giorni, a fianco di Alvaro Vitali, alias Pierino. E pensare che trent’anni fa dirigeva Peter O’Toole e Malcolm McDowell... «Mi divertiva il personaggio dell’editore De Fortis, che è all’opposto di quello che sono. Mi sono soltanto riservato di toccare il culo alla segretaria per sbertucciare i conformisti». Che differenza c’è fra erotismo e pornografia? «L’erotismo sta alla pornografia come la fellatio sta al pompino. una questione semantica, di linguaggio, non di lingua. Due modi diversi, uno mediato e uno esplicito, per raccontare la stessa cosa».  una leggenda metropolitana oppure c’è del vero nell’indiscrezione secondo cui sul set si farebbe guidare dal suo termometro erettile? «Ho gli occhi nei polpastrelli. Tocco per vedere meglio. Alla fine nasce sempre un transfert fra la protagonista e il regista». Raccontano che talvolta, mentre gira le scene più eccitanti, arrivi a concedersi qualche polluzione più o meno involontaria. «Diciamo che è falso. Ho solo delle erezioni». Aldo Grasso: «Tinto Brass, il De Mita del didietro». Si riconosce nella definizione? «Non la capisco. Semmai Re Mida del culo. Basta con questi sinonimi idioti! Sono stufo di sentir parlare del lato B. Io sono un regista di kulossal». Nell’Elogio del culo (Pironti) lei scrive: «Sul piano etico è più onesto della faccia, non inganna, non è una maschera ipocrita ». Quindi se le do della faccia da culo le faccio un complimento, ho capito bene? «Esatto. La vera offesa è faccia di merda. Donde il mio sillogismo aristotelico: tesi, il culo è lo specchio dell’anima; antitesi, ognuno ha il culo che si merita; sintesi, mostrami il culo e ti dirò chi sei. Il culo è un invito alla gioia, al tradimento. Invece la figa è una trappola, come scrive Salvador Dalí nella sua autobiografia. Il culo è un anticoncezionale naturale, meglio del metodo Ogino-Knaus, dovrebbe essere d’accordo anche la Chiesa». (Si mette a declamare D’Annunzio: «Forma che così pura t’arrotondi, / dove s’inserta l’arco delle reni / e nella man che ti ricerca, abbondi»). Le interessa anche quello degli uomini? «No. Di quello s’incaricava Tinta. Fu lei a scritturare il culo di Gabriel Garko». La sua predilezione per il fondoschiena è solo estetica oppure connota anche una preferenza coitale? «Entrambe le cose. Di fronte al bivio del satiro, punto su Sodoma non su Gomorra». Serena Grandi, Francesca Dellera, Deborah Caprioglio, Claudia Koll, Anna Ammirati, Raffaella Baracchi, Anna Jimskaia, Yuliya Mayarchuk, Katarina Vasilissa: non ce n’è una, fra le attrici lanciate da lei, che abbia avuto un successo duraturo. «Un po’ le capisco. Erano perfette per il mio progetto artistico, io le trattavo da regine, dipendevo da loro. Quelli che le hanno cercate dopo di me volevano che recitassero in film simili. E come facevano ad aver successo? In quel genere io sono il massimo. Ricordo che la Koll era sconvolta: ”Mi ha chiamata Bigas Luna, mi ha chiesto di quelle cose...”». Adesso s’è convertita, ha fondato l’associazione onlus Le Opere del Padre: «Dalle macerie della mia vita prostrata e sola ho gridato al Signore e Lui nella sua infinita bontà mi ha risposto». «Ah, no’ so gnente, mi de fede no’ capisso un casso! Claudia è un mistero. E pensare che lo faceva così bene, le piaceva proprio. Invece quando nel 2003 è finita a recitare nel film tv Maria Goretti so che ha chiesto di cacciare dal set uno dei miei operatori di ripresa perché le ricordava il passato». Se il sesso cinematografico è così appagante, come mai tutti gli attori di film porno sentono prima o poi il bisogno di cambiare vita? Eva Henger, Luce Caponegro in arte Selen, Rocco Siffredi, Luana Borgia che ha annunciato di volersi ritirare in convento. «Dimentica Linda Lovelace di Gola profonda. Non c’è grande sentimento nell’erotismo. Cercano l’amore che si esprime nel linguaggio del sesso. Non si vive di solo linguaggio». Ha avuto delle storie con tutte le sue attrici? «Nulla di imposto. Per essere chiari: non affido la parte a chi me la dà. Scatta una reciproca seduzione». Chi ricorda con più nostalgia? «Stefania Sandrelli, molto sensuale. E Vanessa Redgrave. Nel girare le scene di sesso con Franco Nero era così eccitata che le si gonfiavano le labbra». Quali? «Superiori. Indizio inequivocabile della tumescenza di quelle inferiori». Sua moglie non era gelosa quando copulava con le attrici? «Eh, eh, copulavo... No, l’unica cosa che mi diceva quando rincasavo era: ”Ti sei lavato le mani?”. Era gelosa del sentimento. Non avrebbe tollerato che passassi dieci sere con la stessa donna. Ma a dieci sere con dieci donne diverse non faceva caso». E se la Tinta si fosse innamorata di un attore, lei sarebbe stato geloso? «Curioso, più che geloso. C’era grande complicità fra noi, ma una lealtà di fondo. stata l’unica storia vera della mia vita. Con lei ho fatto l’amore per 50 anni, l’ultima volta dieci giorni prima che morisse, quand’era già consumata dal tumore. Con le altre c’è stato solo sesso». Dove la conobbe? «Qui a Torcello. Ero un ottimo vogatore alla valesana, con i due remi incrociati. Lei stava al banco della locanda. Aveva le occhiaie disegnate con due graffi neri, oci sboróni come diciamo a Venezia. M’invitò al cinema San Marco. Proiettavano Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin. Prese i biglietti di galleria, per pomiciare. Ma io, tutto preso dal film, me gò desmentegà. Ci siamo rifatti col secondo spettacolo». Devono esserci limiti nell’esercizio della sessualità? «No, nessun limite». Allora va ammessa anche la zoofilia? «Che cosa vada ammesso non lo so. Ma se i pastori, poaréti, s’accontentano delle pecore...». E la pedofilia? «Eh, là il discorso è diverso, riguarda l’altro. Non deve esserci sopraffazione. Ma se al putèlo di 16 anni ghe piase, lo faccia». Del sesso telematico che cosa pensa? «Non lo pratico. Xe virtuale. Io invece sono vizioso. Non ho Internet, non navigo. Mi hanno mostrato che cosa si trova in Rete. stata una mortificazione. Fotocopie di vagine. Al massimo ti danno erezioni, non emozioni. Una leva meccanica». «Detesto quando l’eros è combinato a thanatos». E lo dice proprio lei che inaugurò con Salon Kitty il filone erotico-nazista incurante dei 6 milioni di ebrei uccisi da Hitler? «Momento: io ho sempre ammesso eros ”e” thanatos, congiunzione. Adesso invece va di moda l’eros ”è” thanatos, verbo. Film di morte. Non ti dicono più che è proibito mangiare la mela. Però ti dicono: attenzione, la mela è marcia, poi starete male, morirete. Col cazzo! Questo è un messaggio deviante, che non accetto». Che cosa pensa della prostituzione? « pro istituzione. Una cosa buona. Tiene in piedi lo Stato e le famiglie. Non approvo i magnaccia. Se mia figlia mi avesse detto che voleva fare la puttana, le avrei risposto: fallo, ma preparati a essere giudicata male dalla società ipocrita». La Convenzione dell’Onu approvata nel 1951 vieta «la prostituzione e il male che l’accompagna, cioè la tratta degli esseri umani». «Xe vecia. Va rivista». Franca Cuonzo, nipote della senatrice Lina Merlin, mi ha detto che lei è un gran porcone, «il più porcone di tutti». «All’epoca sua zia mi fece molto soffrire, chiudendo le case che erano già chiuse. Se gli operai vendono le braccia e i calciatori le gambe, perché impedire alle puttane di vendere la vagina? Una professione vale l’altra. Che differenza c’è? Siete peggio voi giornalisti che vendete il cervello». Uno dei suoi attori preferiti, Franco Branciaroli, pensa che quando in futuro si studieranno cinema e teatro di questi anni «bisognerà mettersi i guanti: escrementi e sperma non mancano mai». Si riferiva per caso a lei? «Non lo so. So che fa cinema solo con me, l’ha detto anche a Daria Bignardi. Sostiene che sono il più bravo. Per me è un attore-feticcio, mi identifico in lui, è quello che potrei essere io nei ruoli che gli assegno. Ho in serbo un nuovo film, per Branciaroli: Vertigini. La storia di un uomo della mia età che sbava per la nuora e scopre che la lussuria è l’unica cosa capace di tenerlo in vita. Alla fine chiederà l’eutanasia e lei lo soffocherà tra le chiappe in una clinica di Merano». Il testamento biologico di Brass. «Alcuni amici mi hanno obiettato che il finale è un po’ triste, per cui voglio aggiungerci la resurrezione della carne: uomini e donne nudi come in un quadro di Hieronymus Bosch». Che rapporto ha con i soldi? «Li spendo. Se xe tanti, me piase. Se xe pochi, no’ me ne frega un casso, li disprezzo. Non capisco quelli che non sanno come investirli. Ma quale materasso! Spendeteli, no? Seguite il consiglio di Wilhelm Reich: ”La vita ha un unico scopo: essere vissuta”». Il suo film Senso ”45 ottenne dallo Stato 2 milioni 788 mila euro e ne guadagnò nelle sale appena 500 mila. Non si vergogna? «Nemmeno per sogno! Se c’è una legge che prevede aiuti per il cinema nazionale, bravo il produttore che li riscuote. Altrimenti che facciamo? Solo Ficarra e Picone?». Ma davvero una volta, alla ricerca di un vecchietto arzillo per un suo film, contattò Gianni Agnelli, «che dalle foto sembrava dotato»? «Verissimo. Volevo scritturarlo per L’uomo che guarda, tratto da Moravia. La segretaria era molto divertita: ”L’Avvocato la ringrazia, ma è troppo impegnato”. Cercai di scritturare anche Monica Lewinsky, per difenderla dalle maîtresse à penser, tipo la Dacia Maraini, che le rovesciavano addosso ogni genere di offesa eppure avrebbero tanto voluto stare al suo posto nella Sala Orale della Casa Bianca». Lei considera il suo membro «perfetto, misure comprese», ma lo trova «un po’ ridicolo quando è a riposo». Immagino che faccia di tutto per mantenerlo serissimo. «L’importante è che resti conforme all’aurea regola che ho imparato nei casini». Vale a dire? «Non lungo che tocchi, non grosso che tappi, ma duro che duri». Dopo il coccolone di Umberto Bossi, ha raccolto il testimone del celodurista. «Non me ne sono mai vantato. Così come non frequento i locali per scambisti qui in Italia, dove appena entro mi chiedono l’autografo. Ci vado solo all’estero, soprattutto a Parigi». «Le uniche cose veramente importanti sono ciò che si ha nel piatto e ciò che si ha nel letto». dunque tutta qui la vita, maestro? Mangiare e trombare? «Ah sì. Sì, sì. Credo di sì». Il suo è un sesso più visto che fatto. E intanto la natalità decresce. «Sono un regista, non un demografo. Il sesso ha una funzione ricreativa più che procreativa. Il piacere massimo elargito dagli dei». L’Europa invecchia, le donne napoletane hanno ormai un tasso di fertilità inferiore alle svedesi, l’Islam incombe. Il poeta Andrea Zanzotto, suo conterraneo, ha usato un’immagine efficace: «L’Italia è sospesa tra un mare di catarro e uno di sperma». «Bellissima. Ma, checché ne pensino i sopracciò della cultura, ormai gli italiani fanno sesso come più gli piace. Curzio Malaparte diceva che il nostro vero vessillo non è il tricolore bensì il cazzo in erezione. Adottiamolo almeno come asta della bandiera». Quando i prolifici musulmani avranno espugnato l’Occidente, lei sarà decapitato in piazza. «E vabbè, oh... Me lo rimproverava anche mio padre: ”Non hai un grande senso sociale, farai una brutta fine”. Mi sono già scelto i due epitaffi per la tomba. Il primo l’ho rubato a un grande regista che frequentavo a Parigi, il figlio del pittore Pierre-Auguste Renoir». Sentiamo. «’Sarò Jean Renoir o niente. Missione compiuta”». E il secondo? « mio: ”Fu vera gloria? Ai posteriori l’ardua sentenza”». Stefano Lorenzetto LORENZETTO Stefano. 52 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. LORENZETTO Stefano. 52 anni, veronese. Assunto a L’Arena nel ”75. stato vicedirettore del Giornale e autore Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama, Monsieur e Quattroruote. Sei libri: Fatti in casa, Dimenticati, Italiani per bene, Tipi italiani, Dizionario del buon senso e Vita morte miracoli. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo.