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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

ENTI LOCALI, VIA UN TERZO DELLE «POLTRONE»


Alle ultime elezioni comunali di Reggio Calabria, nel 2007, si presentarono in 3.500: uno ogni 43 abitanti maggiorenni, in pratica, fu messo in lista per un posto da consigliere al Comune o in uno dei 15 consigli di quartiere della città.
Il caso-Reggio, comunque, è tutt’altro che eccezionale. Da Torino alla Sicilia, le amministrative raccolgono sempre eserciti imponenti di candidati ai 135mila posti da politico locale sparsi tra Comuni, Province e consigli circoscrizionali. La fase di attuazione della riforma federale ora punta proprio lì, e prova a cancellare dagli ordinamenti locali uno strapuntino su tre.
L’"attacco" agli eccessi di politica locale arriva dal disegno di legge preparato dal ministero della Semplificazione (si veda Il Sole 24 Ore del 28 aprile) per attuare la parte ordinamentale del federalismo. A Calderoli, è evidente, l’ambizione non manca, e in questa legislatura non gli fanno difetto nemmeno doti da mediatore prima insospettabili: ne avrà bisogno, per portare al traguardo questo secondo pilastro della riforma.
Perché a tradurre in numeri gli articoli delle bozze di Ddl circolate in questi giorni emergono cifre "rivoluzionarie". Nell’Italia federale, secondo il progetto calderoliano, i Comuni dovrebbero contare su 60.200 consiglieri comunali (35mila in meno degli attuali) e 20.450 assessori (oltre 3mila in meno rispetto a oggi), congedandosi da circa il 32% degli attuali politici da municipio. In tutto, tra Province, Comuni, circoscrizioni e Comunità montane dovrebbero saltare almeno 45.921 posti rispetto a quelli previsti oggi dalla legge: ma il conto reale vola almeno a quota 50mila, perché molti enti non hanno ancora effettuato i tagli (alle Giunte nelle grandi città e ai quartieri nelle piccole) introdotti con la Finanziaria 2008, e perché sulle Province si potrebbe affacciare qualche intervento ulteriore.
A Roma e Milano, per esempio, i consigli comunali dovrebbero perdere 20 dei 60 membri, mentre nei quasi 5mila micro-Comuni sotto i 3mila abitanti sei persone in consiglio dovrebbero bastare (oggi sono 10). Stesso discorso per le Giunte, chiamate ad alleggerirsi fino alla forma del trittico (due assessori più il sindaco) negli enti più piccoli.
In ogni amministrazione il taglio dovrebbe scattare insieme alle scadenze dei mandati, e lo stesso calendario è previsto per le cure ancora più drastiche pensate per i consigli circoscrizionali, nati sulla spinta della mega-ondata partecipativa degli anni 70 ma in gran parte naufragati alla prova delle competenze effettive. Nelle bozze circolate in questi giorni si legge anche della «soppressione» tout court delle circoscrizioni comunali, ma nelle città più grandi alcune forme di decentramento (per esempio i municipi di Roma) sembrano destinate a sopravvivere: ipotizzando che il taglio escluda del tutto le città sopra i 500mila abitanti, resisterebbero 65 dei 384 consigli oggi previsti (erano 612 prima della Finanziaria 2008), con 1.781 membri "superstiti" su 6.538.
Insomma, la partecipazione va bene ma non può essere pletorica, e soprattutto non può perdere di vista le funzioni reali che ogni livello di governo è chiamato a svolgere. Su questo, più che sui risparmi nelle indennità (una trentina di milioni l’anno, per i Comuni) si gioca la partita dell’efficienza. E a questi principi si ispira anche la revisione pensata per le Province, che alleggerisce consigli e Giunte come nei Comuni ma non si ferma lì.
L’abolizione totale non c’è (la Lega è contraria, e poi servirebbe una nuova legge costituzionale), ma può affacciarsi caso per caso, quando l’ente non risponde a una serie di criteri di efficacia basati su dimensioni, costi di gestione, efficacia delle funzioni svolte e dell’azione amministrativa.
Il taglio di Giunte e consigli, da solo, si porterebbe via un migliaio fra assessori e consiglieri, ma un’applicazione rigida dei parametri previsti dal disegno di legge, insieme alla soppressione delle Province dove c’è la Città metropolitana, potrebbe almeno raddoppiare il conto: già oggi, per esempio, sono 17 gli enti, da Biella a Crotone, da Verbania a Isernia fino alle quattro new entry sarde, che non raggiungono il limite minimo di 200mila abitanti.
La via più efficace per "difendere" le province dal dibattito continuo degli abolizionisti, però, passa attraverso l’arricchimento delle loro competenze. E qui l’idea di Calderoli si concentra. Nell’Italia del federalismo, secondo questo progetto, non c’è spazio per la folla di enti intermedi, dalle comunità montane (oggi sono 180, dopo il riordino regionale avviato con la Finanziaria 2008) ai consorzi, dagli ambiti territoriali ai bacini imbriferi fino ai 130 enti parco regionali, che non sono indicati nella Costituzione ma oggi affollano le amministrazioni locali. Via tutto, quindi, entro un anno dall’approvazione del Ddl, con passaggio di competenze alla Provincia di riferimento.