Michele Smargiassi, la Repubblica, 4 maggio 2009, 4 maggio 2009
La spesa di plastica Di Michele Smargiassi Sembrava tutto già deciso con un comma (il numero 1130) della Finanziaria 2007, la prima dell’ultimo governo Prodi, che prevedeva di «giungere dal definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto di merci», rispettando la scadenza suggerita dalla direttiva comunitaria EN 13432
La spesa di plastica Di Michele Smargiassi Sembrava tutto già deciso con un comma (il numero 1130) della Finanziaria 2007, la prima dell’ultimo governo Prodi, che prevedeva di «giungere dal definitivo divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto di merci», rispettando la scadenza suggerita dalla direttiva comunitaria EN 13432. Tutto inutile: la norma c’è ma non c’è, visto che i decreti attuativi per definirne i modi ancora non sono stati emanati. Non è nemmeno partito quel «programma sperimentale per la progressiva riduzione della commercializzazione» delle buste di plastica previsto come percorso di avvicinamento e come condizione del divieto. La scelta di ammazzare il sacchetto di plastica per il momento è lasciata alla coscienza ecologica e alle valutazioni di convenienza delle singole catene commerciali. I francesi di Auchan sono stati i primi a saltare l’ostacolo: dopo l’esperimento di Antegnate (Bg), dal 22 marzo primo market shopper-free in Italia, a partire da luglio tutti i cinquanta negozi del loro circuito italiano offriranno ai clienti la scelta fra il sacchetto in mater-bi (la pellicola biodegradabile che si ricava dal mais, dall’olio di girasole, dalla patata o dagli scarti di pomodoro) a 10 centesimi, quello di carta a 18, o i contenitori riutilizzabili di plastica o cartone a 99. La sperimentazione sembra essere incoraggiante. Anche la Coop scommette sullo scrupolo di coscienza ”verde” dei clienti, lanciando la nuova ”collezione” di eleganti sportine offerte alle casse: cinque riutilizzabili, una usa-e-getta biodegradabile. Ma le altre catene della grande distribuzione sono più prudenti. Crai, Esselunga, Despar, non hanno deciso cosa fare, tuttavia offrono già alternative riciclabili o riutilizzabili allo shopper di plastica (Esselunga addirittura in 19 modelli diversi). Carrefour e Conad, invece, continueranno a lasciare al consumatore la scelta, per la difficoltà di cambiare abitudini consolidate. Siamo arrivati a consumare due miliardi di sacchetti al mese, 400 a testa in un anno, un quarto di quelli che si producono in tutta Europa. Per fabbricarli consumiamo petrolio come 160 mila automobili. Meno di tre su dieci vengono riciclati. Per smaltire il resto riversiamo nell’atmosfera 200 mila tonnellate di anidride carbonica. Tecnicamente è un capolavoro di ingegneria: un colpo solo di fustella e uno di termo fusione, e da un tubo di polietilene nasce questo packaging perfetto, che non si spezza sotto il peso di dieci, quindici chili di scintillante consumismo. La sua vita come oggetto utile dura circa 12 minuti, il tempo medio tra la cassa e il frigo. La sua vita come oggetto inutile e ingombrante, invece, va da 20 a 200 anni. A Seattle sarà un referendum a decidere della sua sopravvivenza. E se si facesse in Italia? «Nell’urna forse prevarrebbe il no. Ma il giorno dopo, in negozio, tutti vorrebbero la sportina di plastica», afferma il direttore generale della Federazione Gommaplastica di Confindustria, Angelo Bonsignori. E sulla nostra ambigua coscienza che punterà la controffensiva dei produttori, titolari di un business da 500 milioni di euro l’anno. Una campagna di convinzione verso i consumatori che si annuncia forte, pervasiva, insinuante. Primo: vantare i meriti della sportina indistruttibile (tutti le riusano come sacco da rifiuti, se si vietassero dovremmo acquistare due prodotti). Secondo: screditare le alternative (siamo sicuri che i costi ambientali diminuiranno? La carta pesa e quindi il trasporto costa di più. La bioplastica è meno resistente e per produrla bisogna sottrarre ettari di terra all’agricoltura). Terzo: non avremmo un ambiente più pulito (biodegradabile non significa idrosolubile, per smaltire la bioplastica serve un impianto di compostaggio). Un’altra cosa bisogna dire: che se le sportine prodotte ogni anno in Italia pesano 260 mila tonnellate, tutto il resto del packaging di plastica pesa 16 milioni di tonnellate.