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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

Il Quarto Capitalismo alla sfida d’Oltreoceano Di Giuseppe Turani Il fenomeno di inizio gennaio è quello di medie aziende italiane che vanno dal loro consulente di fiducia con una richiesta precisa: scovare un’aziendina americana da portare a casa con pochi soldi

Il Quarto Capitalismo alla sfida d’Oltreoceano Di Giuseppe Turani Il fenomeno di inizio gennaio è quello di medie aziende italiane che vanno dal loro consulente di fiducia con una richiesta precisa: scovare un’aziendina americana da portare a casa con pochi soldi. Non è difficile capire perché. La prima spiegazione è che verso gennaio si è capito che la Grande Depressione non ci sarebbe stata, e che nel giro di qualche mese la ripresa sarebbe arrivata. Ma non solo, si era anche capito che la ripresa sarebbe arrivata prima in America e solo più tardi in Europa. Quella americana, inoltre, sarebbe stata più forte e più intensa. In effetti, contro un’Europa che non andrà più su del 2 per cento all’anno, e contro un’Italia che starà sotto l’1,5 per cento, avremo il 7-8 per cento in Estremo Oriente e un buon 3 per cento negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti ci sarebbero moltissime aziende americane medie (meccanica, alimentari e hi-tech) che hanno picchiato male sulla crisi perché ci sono arrivate coperte da debiti che si sono rivelati quasi mortali nell’impatto con la stretta del credito operata dalle banche. Molte di queste sarebbero con l’acqua alla gola e si pensa che possano venire via per pochi soldi. Basta rilevare impianti e dipendenti. Ma non sono pessimi affari? «No ”spiega un consulente aziendale- perché queste imprese, di solito, dispongono di buona tecnologia, di buoni marchi e anche di buone quote di mercato negli Stati Uniti e all’estero. E quindi chi le compra, di fatto compra un mercato, e si piazza in modo strategico per la ripresa». Per di più, si trova a lavorare sul mercato americano con un’etichetta già nota e che risulta familiare al pubblico di quel paese. «La cosa buffa ”spiega un banchiere d’affari- è che quando riusciamo a individuare una di queste aziende e cerchiamo notizie, il più delle volte scopriamo che sono già arrivate medie aziende francesi e tedesche. Di fatto c’è una sorta di onda che porta queste imprese al di là dell’Atlantico». Un altro dato: a causa della crisi di questi mesi l’America si trova ad avere serissimi problemi di occupazione e la Casa Bianca è inevitabile che finisca con il favorire chi fa le cose in America piuttosto che chi sbarca prodotti da una nave container e poi cerca di venderli su quel mercato. Infine: oggi l’euro è forte rispetto al dollaro e, secondo le previsioni, lo sarà ancora di più in futuro. In queste condizioni comprare in America può essere molto vantaggioso. Con questo cambio dollaro-euro è un po’ complicato vendere prodotti italiani ed europei negli Stati Uniti, ma lo stesso cambio si trasforma in un vantaggio se bisogna comperare azioni. E la Casa Bianca non è affatto contraria all’arrivo delle imprese europee e italiane se questo sbarco serve a risolvere un po’ di guai e a mantenere posti di lavoro. Solo così, ad esempio, si spiega il favore con cui Obama ha salutato l’avvio dell’operazione Fiat-Chrysler. D’altra parte qualcosa di simile si era già visto mesi fa nel settore dei lettori dei codici a barre o dei freni per auto. Si tratta, in gran parte, di imprese di nicchia, ma questo è appunto dove noi siamo forti e dove disponiamo di qualche buon imprenditore coraggioso e da tempo proiettato su scala non più nazionale. Cinquanta acquisizioni negli ultimi due anni Di Luigi Dell’Olio Uno studio realizzato da Kpmg Corporate Finance offre un quadro dell’evoluzione in atto: se nel 2004 la campagna acquisti di aziende italiane negli Usa aveva messo a segno 4 colpi, nel 2005 il numero è salito a 6 e nel 2006 a 11. Il boom si è avuto nel 2007, con 23 acquisizioni, seguite da 21 nel 2008 (la Francia si è fermata a 16, l’Inghilterra e la Germania a 9, la Spagna a 7). Lo shopping è proseguito anche nei primi mesi del nuovo anno, con tre acquisizioni, tra cui quella di Wild Turkey, che la Campari ha rilevato dalla Pernod Ricard sborsando 430 milioni di euro. Per la Campari si tratta della quarta acquisizione in terra americana, dopo Sky Vodka (2002), Cabo Wabo (2007) e X-Rated (2007). Quello che colpisce di più è la varietà dei business interessati da queste operazioni. Nel 2006 l’operazione più importante ha visto protagonista Lottomatica, che ha sborsato 3,78 miliardi di euro per acquisire il 100% di Gtech, uno dei principali fornitori di soluzioni tecnologiche per lotterie e per giochi a livello mondiale. Nel 2007 è toccato all’Eni acquistare per 3,6 miliardi le attività upstream della Dominion, una delle maggiori compagnie energetiche americane. Lo scorso anno, invece, l’operazione più importante ha riguardato Finmeccanica, che ha pagato 2,9 miliardi per la totalità di Drs.