Gianmaria Pica, il Riformista 6/5/2009, 6 maggio 2009
ALITALIA: L’ESTATE A RISCHIO
Quest’estate l’Alitalia rischia di rimanere a terra. L’alta stagione è alle porte e i coefficienti di riempimento degli aeromobili non premiano la Cai. Ma un’altra tempesta si sta per abbattere sulla compagnia aerea.
La media dei tassi di riempimento degli aerei, registrata nei primi cento giorni di Cai, è al 54 per cento rispetto a un obiettivo del 62-63 per cento. Più pesante è il dato relativo ai ritardi, la media dei primi quattro mesi del 2009 è stata del 70,8 per cento: «Questo significa - ha detto il presidente dell’Enac, Vito Riggio - che un volo su quattro o cinque arriva o parte in ritardo».
Ora si è aggiunta un’altra grana. L’Alitalia non sta più revisionando le turbine degli aerei. L’Ams (Alitalia Maintenance Systems) - la società controllata da Alitalia Servizi che si occupa della manutenzione dei motori degli aerei - è ferma, in attesa di conoscere il nuovo proprietario. Ma prima di vedere chi potrebbe essere il futuro acquirente e capire perché Alitalia rischia un black out nel pieno dell’alta stagione (periodo che va da giugno a settembre), dobbiamo fare un passo indietro.
Ams è una società privata controllata al 60 per cento da Alitalia Servizi e al 40 per cento dalla tedesca Lufthansa Technik. La ”grande officina motori” del vettore italiano è un’azienda sana, conti in attivo e bilancio economico positivo: dall’ultimo bilancio disponibile, quello relativo al 2007, nonostante la crisi nera per l’Alitalia pubblica, Ams ha chiuso i conti in sostanziale pareggio con un fatturato di 110 milioni di euro. Ma oggi questa azienda rischia la chiusura.
Lo scorso anno, per salvare la compagnia e la maggioranza dei dipendenti, mantenendo l’italianità della società, il ministero dell’Economia (l’azionista di riferimento) ha dato mandato al commissario straordinario Augusto Fantozzi di trovare un acquirente per la vecchia compagnia di bandiera. Affinché andasse in porto l’operazione, Fantozzi scelse di spezzettare Alitalia: sono stati messi in vendita gli asset produttivi della società (poi rilevati dalla Cai, la cordata di imprenditori guidata da Rocco Sabelli e Roberto Colaninno); mentre per tutti i debiti e le divisioni in perdita è stata costituita una bad company. In questa società ”in perdita” è finita anche l’Alitalia Servizi e le sue controllate, quindi anche l’Ams.
Lo scorso 30 aprile è scaduto il bando di gara pubblico di vendita dell’Alitalia Maintenance Systems. Secondo una nota del commissario straordinario, sono state presentate cinque manifestazioni per l’acquisto della partecipazione di Ams. Tra queste ci dovrebbe essere anche quella di Avio, l’azienda aerospaziale con sede a Torino controllata all’85 per cento dal fondo di investimento britannico Cinven e al 15 per cento da Finmeccanica. La preoccupazione per i dipendenti dell’Ams è che l’unico interesse dei nuovi proprietari siano soltanto economico-speculativi, privi di alcun interesse di valorizzazione della società Ams che tra le qualità vanta il primato italiano per questo tipo di manutenzione ed è certificata ai più alti livelli internazionali (Easa e Faa, Caac part 145).
Che una compagnia aerea riesca a volare senza sottoporre a manutenzione e a revisione i suoi motori, è inimmaginabile. Dal 12 gennaio, il giorno del passaggio formale dell’Alitalia pubblica a Cai, sono stati mandati in manutenzione solo quattro motori. Secondo alcuni osservatori vicini alla compagnia di bandiera, la scelta dei manager Cai è priva di obiettivi: «I motori - raccontano al Riformista - vengono rimossi dalle ali e parcheggiati, senza essere minimamente revisionati, in un hangar». Per Cai non è così: «Questa non è la realtà - fanno sapere dall’azienda - non si può fare il reffronto con la vecchia Alitalia. Da quando è nata Cai, mandiamo in manutenzione all’Ams lo stesso numero di pezzi».
Comunque, anche se fosse così, quella seguita da Cai non sarebbe una politica per abbattere i costi. I prossimi due-tre mesi ci potrebbero essere seri problemi per la compagnia italiana. vero che una manutenzione di un motore costa, sia in tempo sia in denaro: una spesa di circa 2 milioni di euro che si effettua ogni 4-5 anni e richiede dai 65 ai 75 giorni di lavoro. Significa che se un motore arriva nelle officine Ams oggi, sarà riconsegnato a luglio-agosto.
Le turbine possono essere comprate. Ma a prezzi altissimi: 4-5 milioni di euro. C’è anche l’opzione del leasing, con costi che viaggiano sui 4 mila euro al giorno: una turbina presa in affitto per far volare un aereo un mese costa almeno 125 mila euro. Il leasing è un mercato quasi saturo e se l’Alitalia decidesse di persistere nella sua decisione di non mandare in manutenzione i motori rischierebbe seriamente di non volare quest’estate, quando, anche per il naturale aumento della domanda dovuto a effetti stagionali, le altre compagnie - per garantire la normalità di tutti i voli - potrebbero ricorrere all’affitto dei motori.
Oggi, nei 13.600 metri quadrati di officine Ams ci sono solo 6 motori, quando a regime ne lavorano 24 (80 motori all’anno). Il problema è che Cai ha ereditato il business plan presentato da Air France-Klm nella prima offerta d’interesse. L’intenzione del vettore franco-olandese era la dismissione totale di Ams e Atitech (la società gemella di Ams che si occupa della manutenzione della cellula dell’aeromobile) perché già dotata dei suoi servizi di manutenzione a Parigi e ad Amsterdam.
Cai non è Air France, e così il 12 aprile scorso, scaduto il contratto in house (ipotesi con cui l’appalto viene affidato a soggetti che siano parte della amministrazione stessa) con l’Ams, non è stato rinnovato. C’è stato qualche tentativo di esternalizzare i servizi, ma con scarsi risultati. Per esempio, alcuni mesi fa è stato mandato un aereo in manutenzione in Turchia: « tornato - raccontano alcuni dipendenti - con più problemi di prima. Abbiamo dovuto revisionarlo nuovamente in Italia». Delocalizzare il lavoro ha i suoi costi: per mandare in manutenzione un aereo o un motore all’estero, bisogna far viaggiare l’aeromobile vuoto, spendere per il carburante, occupare un intero equipaggio. Gli aerei McDonnell Douglas Md-80 (i cosiddetti Super 80) - il modello più vecchio, ma più diffuso nella flotta dell’Alitalia - vengono revisionati in Israele nell’industria aeronautica Bedek. Poi ci sono gli aerei nuovi, come il Boeing 777, la cui manutenzione avviene fuori dall’Europa: oltre un giorno di volo tra andata e ritorno, a cui bisogna aggiungere il tempo impiegato per la revisione e il costo del cherosene (150-180 mila litri). Insomma, forse non è così conveniente riparare gli aerei all’estero.
«Dal primo maggio, dopo un periodo di cassa integrazione a rotazione - racconta al Riformista Massimo Celletti, rappresentante Cgil dell’Ams - i 370 dipendenti della società di manutenzione sono in Cig continuativa. Forse riprenderanno a lavorare il 20 del mese, ma per ora siamo senza aspettative». L’Inps non paga i contributi ai cassintegrati Ams da gennaio e molti di questi dipendenti - che ogni mese si trovano alle prese con rate e mutui da pagare - sono finiti nelle black list delle banche.
Diciottomila e cinquecento giorni di cassa integrazione, il rapporto Cai-Ams non sarebbe dovuto arrivare a questo epilogo. Il 14 settembre 2008, l’esecutivo rappresentato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dai ministro Altero Matteoli e Maurizio Sacconi ha sottoscritto con le organizzazioni dei lavoratori di Alitalia un accordo con il quale Cai si impegnava a mantenere «la continuità delle attività di manutenzione pesante e della relativa occupazione, attraverso l’individuazione da parte del commissario delle migliori offerte di acquisto (…) e la stipula da parte di Cai di un contratto di fornitura di servizio a condizioni di mercato e la partecipazione della stessa Cai al capitale della società».
Da quanto risulta al Riformista, l’Ams ha tentato - in più di un’occasione - di incontrare i vertici Cai: non sono mai stati ricevuti.