Luisa Grion, la Repubblica 6/5/2009, 6 maggio 2009
MA LE PENSIONI DEL FUTURO SONO CONDANNATE A SVALUTARSI FINO A UN TERZO DEI SALARI
ROMA - Il temuto tracollo della spesa per la previdenza non ci sarà, perché vivremo di più, lavoreremo di più, saremo più produttivi e perché un esercito di immigrati - ronde permettendo - pagherà i contributi anche per noi. Ma detto questi i figli staranno peggio dei padri: se vorranno far sì che il loro assegno sia più o meno riconducibile a quello dei loro vecchi dovranno rassegnarsi ad andare in pensione più tardi. E comunque sia, senza un sostanzioso aiuto dalla previdenza integrativa, le loro rendite saranno via via più povere. Intersecando le linee della demografia, del Pil, dell´occupazione e della durata e qualità del lavoro un corposo studio voluto ed elaborato dal Cnel e dal Cer ci racconta come sarà la nostra previdenza da ora al 2050.
Un lasso di tempo lungo durante il quale - visto il pieno passaggio che intanto si realizzerà fra sistema retributivo e contributivo - la tenuta dei conti dovrebbe restare salda: messa in rapporto con il Pil continuerà a crescere fino al 2010, ma poi finirà per l´assestarsi fra il 13,6 e il 14 per cento. Ciò sarà possibile non solo grazie al fatto che lavoreremo e produrremo di più (lo studio dimostra, tra l´altro, che a titolo di studio più alto corrisponde una vita più lunga), ma soprattutto perché l´assegno previdenziale sarà drammaticamente più basso se riferito all´ultimo stipendio percepito. E messo in rapporto con la media dei salari il suo valore andrà affievolendosi. Per esempio: tenendo conto del fatto che chi può avvalersi a pieno del sistema retributivo va oggi in pensione con il 67 per cento dello stipendio, chi lascerà il lavoro fra il 2020 e il 2030 avrà un assegno tarato sul 62 per cento dell´ultima retribuzione (considerando un lavoratore dipendente). Chi lo farà nel decennio successivo partirà da una base del 55 per cento, chi ancora lascerà il lavoro fra il 2040 e il 2050 solo del 48. Ciò vorrà dire - per poter godere dello stesso livello di partenza dei padri - dovrà rispettivamente lavorare un anno in più, tre anni in più e cinque anni e mezzo in più (che si aggiungerebbero al 61 anni considerati età minima pensionabile). Non solo: visto che l´assegno e indicizzato alle pensioni, ma non al Pil diventeremo via via più poveri. Chi andrà in pensione nel 2024 (più o meno i quasi cinquantenni di oggi) potrà contare su un assegno che - rapportato alla media dei salari - varrà il 57 per cento. Ma vent´anni dopo la sua rendita corrisponderà solo al 37 per cento di quello che sarà il salario medio. Niente di inatteso in realtà: «Questo quadro nasce dalle riforme Amato e Dini» spiega Carlo Mazzaferro, professore di Scienza delle Finanze all´Università di Bolonga. Certo i giovani di adesso cominceranno a lavorare più tardi e vivranno di più, ma la loro pensione sarà a serio rischio povertà, integrazioni a parte.