Giuseppe Salvaggiulo, La stampa 7/5/2009, 7 maggio 2009
«VOLEVAMO DIMOSTRARE DI NON ESSERE IL PAESE DELLE BANANE: E’ UNA PUGNALATA»
Nella notte tra domenica e lunedì, sono stati arrestati i vertici della Cassa di risparmio di San Marino, principale istituto della piccola Repubblica: il presidente Gilberto Ghiotti, l’ad Mario Fantini, il direttore generale Luca Simoni e Paola Stanzani e Gianluca Ghini, amministratori di società controllate. Secondo la Procura di Forlì, la Cassa sammarinese riciclava denaro proveniente dall’Italia e derivante da evasione fiscale e altri reati. Inoltre aveva creato una banca operante in Italia illecitamente.
Sì, davvero questa volta rischia di saltare il sistema San Marino». Che parli uno dei cinquemila impiegati pubblici (su 30 mila abitanti) o un ministro (qui si chiamano segretari di Stato, come in America), un barista o un bancario, i sospiri si rincorrono, le smorfie si somigliano, la paura contagia. «Questa volta» gli odiati magistrati italiani non si sono accontentati di cassieri malandrini o maneggioni a spasso sulla frontiera, come quelli presi un anno fa che dicevano per telefono «Mettiti i soldi nelle mutande». Hanno arrestato i vertici della Cassa di risparmio di San Marino e, decapitando la principale istituzione della Repubblica-enclave, ne hanno colpito il cuore. «Perché la Cassa di risparmio è San Marino», ripetono tutti: raccoglie i depositi di due terzi della popolazione, ha una proprietà diffusa (retaggio delle società di mutuo soccorso ottocentesche) e distribuisce a pioggia cinque milioni di euro l’anno tramite una fondazione. Insomma è il vero potere forte di San Marino e allora si capisce perché perfino un uomo prudente come Gabriele Gatti, ministro delle Finanze, per 16 anni agli Esteri - uno che sorride alla definizione di «Andreotti sammarinese» - arrivi ad ammettere che «sì, ci stanno mettendo in mezzo».
Il più grande scandalo della storia di San Marino covava da mesi sotto migliaia di documenti bancari e intercettazioni telefoniche. Conversazioni semplici tipo: «Sono Tizio, preparate centomila euro», «Venga a prenderli la prossima settimana». A insospettire il pm Fabio Di Vizio era stato un furgone portavalori blindato fermato un anno fa dalla polizia tra Forlì e San Marino. A bordo 2,6 milioni di euro in contanti destinati alla Cassa di risparmio di San Marino e provenienti da un conto della stessa Cassa, ma aperto in Italia presso una filiale del Montepaschi. Perché il denaro veniva trasferito in quel modo? Da lì è cominciata la caccia all’oro di San Marino, che gli inquirenti ritengono di aver trovato alla Cassa di risparmio. Dove avrebbe operato «un’articolata associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite: delitti fiscali, truffe, appropriazione indebita, abusiva attività di raccolta di risparmio, bancaria e finanziaria».
Dietro il catalogo dei reati, c’è la tesi dell’accusa: la Cassa di risparmio raccoglieva denaro in Italia (garantendo anonimato ai depositanti, a San Marino è consentito) e fungeva da gigantesca «lavatrice» dell’evasione fiscale (a San Marino non è reato). Nel viavai di soldi, il conto al Montepaschi serviva da colossale «bancomat»: in 4 anni è stato prelevato oltre un miliardo di euro a fronte di versamenti per soli 91 milioni. Infine i soldi, trasportati a San Marino sui furgoni, tornavano a disposizione degli italiani (i depositanti iniziali) completamente «ripuliti». Bastava una telefonata: «Pronto? Mi servono centomila euro...».
Con un’aggravante. Secondo gli investigatori, il denaro era anche frutto di altri e più gravi reati. Fino a sospettarne la provenienza dalla criminalità organizzata (camorra e ”ndrangheta), tanto che le carte sono ora in mano all’Antimafia.
E poi? Che faceva la Cassa di risparmio con tutta questa liquidità? Secondo la Procura, qui si svela l’altra faccia del «sistema», quella più spregiudicata e inedita: il tentativo di «sprovincializzare» la cassaforte finanziaria di San Marino. Dal 2007, la Cassa di risparmio operava in tutta Italia con una struttura parallela di banca, servizi finanziari e credito al consumo, il Gruppo Delta, cresciuto a ritmi vorticosi: 2,4 miliardi erogati in un anno ai consumatori, 13° posto in Italia. San Marino ufficialmente ne deteneva una quota minoritaria, ma in realtà lo controllava all’84%, come confermato da un’ispezione di Bankitalia. Tutto illegale.
San Marino alla conquista (finanziaria) dell’Italia, questo era il vero progetto del «sistema» secondo la ricostruzione agli atti dell’inchiesta, che conta per ora cinque arrestati e trentadue indagati. Tra questi ci sarebbe anche il vertice della fondazione che controlla la Cassa e viene nominato direttamente dal governo. Anche per questo l’affare è di Stato. San Marino trema. La Cassa decapitata teme la fuga dei capitali e rassicura i depositanti. I partiti fanno quadrato. «Siamo nella bufera», si sente ripetere nei palazzi governativi, già alle prese con gli ultimatum del Consiglio d’Europa e dell’Ocse, che ha inserito la piccola repubblica nella «lista grigia» dei paradisi fiscali. « una pugnalata», ripete il superministro delle Finanze, «proprio ora che vogliamo dimostrare di non essere il Paese delle banane». Il suo ufficio domina la valle. «La vista è splendida, ma oggi c’è foschia». Di questi tempi, non può essere solo una variabile atmosferica.