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 2009  maggio 07 Giovedì calendario

I GHEDINI, L’ATTACCO A TRE PUNTE DI SILVIO


La sede del più potente studio legale d’Italia, galleggia tra negozi d’abbigliamento e antiquariato in una via antica del centro di Padova. Ma non ha nulla di sfarzoso, lontanissimo dallo stile chiassoso del suo più importante cliente, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che qui infatti non vi ha mai messo piede, altrimenti vi avrebbe colto la storia di una saga famigliare ben diversa dalla sua. Si accede da due ingressi: il primo, il più piccolo, quasi anonimo, sul retro, «era quello del papà Giuseppe», assai noto e rispettato, figlio di Niccolò, penalista di fama in Veneto già nell’900, come il bisnonno Giuseppe (tramandarsi i nomi maschili è un vezzo di famiglia) che proseguì l’attività di uno studio che funziona ormai da 4 secoli. Il secondo ingresso invece, più recente, leggermente più visibile, è quello di Niccolò e delle sue sorelle maggiori, Ippolita e Nicoletta.
Chè il primo non esisterebbe se non ci fossero loro, «quelle brave di famiglia» come si premura di sottolineare l’algido Niccolò. Le sue numi tutelari, le donne che insieme alla madre Renata («bellissima») quando morì il padre e Niccolò si ritrovò senza un genitore a 13 anni, ancora giovani e fresche di laurea tennero aperto lo studio in attesa che lui, il predestinato, l’unico maschio di famiglia, potesse una volta cresciuto, riprendere in mano le redini dell’attività avita. «Eravamo rimaste con tre fascicoli in tutto: ripartimmo da zero», racconta Ippolita, detta "Ippi" la più riservata e sempre un po’ infastidita «da tutta questa notorietà». E lui, Niccolò, non le ha deluse: l’adolescenza non fu semplicissima («Nostra madre si svegliava presto al mattino per fargli ripassare la lezione») ma dopo la laurea, il futuro onorevole azzurro, mise il turbo. Grazie anche alla presenza in studio, e tutt’ora nella vita professionale, di Piero Longo, il "maestro" che avviò Ghedini sull’impervia strada del processo penale. Che Niccolò dovesse diventare un "principe" era già scritto nel cartiglio di famiglia, insignita del patriziato veneto nel 1600 «per particolari meriti resi alla Serenissima Repubblica» e iscritta perciò nell’albo d’oro della nobiltà veneta. Lo stemma rappresenta un orso arrabbiato con la spada sguainata: combattivo come il suo rampollo più noto. Ma il plantigrado, si sa, è anche molto pigro.
Così sono queste due signore ormai di mezza età, entrambe sposate e con figli, spiritose e intelligenti («una sa leggere, l’altra sa scrivere...») ad essere i due veri pretoriani del diritto civile in famiglia ed è per questo che adesso l’avvocato e consigliere giuridico di Silvio Berlusconi, ha deciso di schierarle come un sol uomo nella battaglia più spinosa della sua vita (del premier, s’intende): la separazione e - ci vorrà del tempo per saperlo - il divorzio dalla moglie Veronica. Cui va l’onere di aver aperto le ostilità a mezzo stampa ricevendone immediatamente una risposta rozza e aggressiva, con le foto scollacciate pubblicate da un quotidiano. Non certo farina del sacco dei Ghedini, che le origini patrizie e gli studi giurisprudenziali pongono ben al di sopra di queste meschine rivalse. Ma come si vede, i colpi bassi in questa storia che mescola il privato con il politico, il Cialis con le Veline, i soldi con i paradisi fiscali, non mancheranno. E gli esiti della battaglia sono talmente incerti che forse l’istinto del più influente consigliere giuridico del Premier, ha proceduto seguendo il vecchio adagio caro a Bettino Craxi e a Sandro Pertini: a brigante si risponde con un brigante e mezzo. Ovvero: davanti a due donne che hanno diseppellito l’ascia di guerra - Veronica e la sua temibile avvocatessa Cristina Morelli - anzichè schierare due uomini, Silvio e sè stesso, Ghedini ha scelto di rispondere con astuzia e femminilità, facendo scendere in campo le sue sorelle. Più lui, naturalmente, il «mezzo» delle due brigantesse. Certo a Ghedini sarebbe piaciuto arruolare anche la terza sorella, Elena Francesca («il top: bellissima, intelligentissima, bravissima») che però ha scelto di fare l’archeologa, assurgendo recentemente al Consiglio Superiore dei Beni Culturali: un curriculum lungo un chilometro che parte dalla direzione del dipartimento di archeologia dell’Università di Padova e finisce nell’European Association of Archeaeologists.
«E non si dica che Ghedini ha piazzato le sue sorelle, perchè nessuna di noi esiste grazie a lui». Semmai, ma questo le sorelle non lo direbbero nemmeno sotto tortura, il contrario. «Non è vero nemmeno questo: Niccolò si fa molto ben volere, ha tenerezze e attenzioni e un senso della famiglia altissimo». Un clan, quello dei Ghedini: «Si, ma fine a sè stesso. Pensi che nostro padre, prima di morire fece costruire un condominio di cinque piani per farci vivere tutti insieme con le nostre famiglie. E nostra madre lasciò un unico scritto: vogliatevi bene. Del potere qui non sappiamo che farcene». In realtà i Ghedini non vivono a Padova, ma appena fuori, in campagna, condividendo la proprietà di una antica fattoria agricola divisa in quattro lotti distinti.
«E’ venuto qui per uno studio antropologico sui Ghedini? Per sapere se viviamo in cattività?». Ippolita, la più giovane (Nicoletta è in viaggio in Libia) è spigolosa ma disponibile, a patto che non si parli della causa in questione: «Per noi difendere Berlusconi o un qualsiasi cittadino anche molto povero è esattamente la stessa cosa. Non prendiamo le difese in base alla fede politica...». Si dice addirittura che una delle due sia più di sinistra. «In famiglia siamo tutti dei moderati e Niccolò è l’unico che fa politica. Non ci piacciono i magistrati politicizzati e non ci piacciono le toghe rosse...». Ippolita però è sposata a un magistrato, l’attuale procuratore capo di Trieste, Michele Dalla Costa. Chissà che litigate con le leggi che propone Niccolò...«Beh, quando ci troviamo in famiglia, magari certi argomenti li evitiamo: non esiste soltanto la politica nè le questioni di magistratura di cui parlare».
Famiglia antica quella dei Ghedini e unitissima. Quasi un controsenso che si schieri a difendere invece uno "sfasciafamiglie" come Berlusconi. «Non c’è nessuna contraddizione: anzi proprio la nostra unità famigliare potrà esserci di aiuto per portare la causa a rientrare nei canoni normali di una convivenza civile. La funzione di un matrimonialista è quella di cercare di far litigare la coppia il meno possibile: è l’unico modo per farli arrivare a un equilibrio relazionale accettabile». Che piaccia o no, il destino famigliare di Silvio adesso è in mano a "Ippi".