Varie, 7 maggio 2009
OPEL PER VOCE ARANCIO
La Opel fu fondata nel 1862 da Adam Opel per produrre macchine da cucire in un’epoca in cui la domanda era fortemente cresciuta per la necessità di fornire uniformi all’esercito prussiano. Alla sua morte, nel 1895, quando la compagnia passò sotto la gestione della moglie Sophie Scheller (da cui aveva avuto cinque figli), il business principale era diventato quello delle biciclette. La prima auto, un modello ”System Lutzmann”, uscì dallo stabilimento di Rüsselsheim (in Assia, 600 chilometri da Berlino) nel 1899: in pratica si trattava di una carrozza senza cavalli, parte della produzione era affidata all’impresa francese Darracq, sulla vettura comparivano entrambi i marchi.
Attorno al 1900 sorsero a Rüsselsheim i primi quartieri operai costituiti da casette rosse a un piano con due camere e cucina. Dopo ripetuti successi nelle competizioni sportive in cui venivano sperimentate le nuove tecnologie, nel 1924 venne lanciato un progetto da un milione di marchi d’oro che portò, prendendo a modello la Citroën, alla produzione in catena di montaggio. Fu a quell’epoca che arrivò sul mercato la 4/12PS: economico modello torpedo, cofano lungo e tettuccio apribile (in pratica l’equivalente tedesco della Ford T americana), per via del colore verde fu subito ribattezzata ”ranocchio”. Grazie alla discesa del prezzo dagli iniziali 4.500 a 1.900 marchi, in sette anni ne furono venduti 120.000 mila esemplari.
Ormai divenuta il primo costruttore tedesco, quota di mercato pari al 37,5%, nel 1929 l’80% delle azioni fu ceduto alla General Motors per 26 milioni di dollari. L’industria americana nata nel 1908 dalla fusione di Buick, Cadillac, Oakland e Oldsmobile era diretta dal 1923 da Alfred P. Sloan, inventore del management moderno che deciso ad espandere la società mirava a comprare aziende con marchi affermati (nel 1925 era toccato all’inglese Vauxhall). Sostituito il ”ranocchio” con l’Olympia, nel 1930 fu iniziata in Brandeburgo anche la produzione di autocarri. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, il successo della berlina di lusso Kapitan valse alla Opel il primo posto nella classifica dei costruttori europei.
Con l’inizio del conflitto e la decisione di Hitler di limitare la produzione ai soli veicoli militari, gli stabilimenti Opel divennero un primario obiettivo bellico finché, nel 1944, i bombardamenti americani distrussero lo l’impianto del Brandeburgo e danneggiarono severamenta quello di Rüsselsheim. Attività tornata alla normalità nel 1947, nel 1956 fu prodotto l’esemplare numero due milioni (una Kapitan). Negli anni seguenti la Opel dovette fare i conti con una crisi da cui si salvò una sola vettura, la Kadett. Negli anni Settanta i tedeschi puntarono senza successo sulle vetture di alta gamma (Commodore, Senator, Monza), negli anni Ottanta ci fu il ritorno alle medio-piccole.
Nel 1986 la berlina Omega conquistò il titolo di auto dell’anno, quindi arrivarono la Vectra (erede della Kadett) e l’Astra. Nel 1990 la General Motors inglobò la casa automobilistica svedese Saab, nel decennio successivo si impose la Zafira. Precipitata in una grave crisi finanziaria, nel 2004 la Opel fu tolta dalla Borsa (delisting) e fu avviato un piano di risanamento con forti tagli del personale e la trasformazione in srl. Sembrava che il peggio fosse passato, ma la crisi economica e il crollo delle vendite degli ultimi mesi l’hanno nuovamente portata sull’orlo del fallimento. Alla fine d’aprile il settimanale tedesco Der Spiegel ha parlato per primo di un possibile interessamento della Fiat, in quel momento impegnata nelle trattative con la Chrysler.
Portata a termine l’alleanza con gli americani, Marchionne & c. sono tornati alla carica. L’amministratore delegato della Fiat è convinto che in futuro sopravviveranno solo i gruppi in grado di vendere oltre sei milioni di auto l’anno, Chrysler sta poco sotto i 2 milioni, Fiat poco sopra, Opel/Vauxhall si aggira sulla stessa cifra cui vanno sommate le 60-70.000 vetture Saab, tutte insieme farebbero un gruppo secondo solo ai giapponesi della Toyota con 12 marchi presenti in tutti i mercati mondiali del settore. Il 24 aprile le dichiarazioni del commissario europeo all’industria, il socialdemocratico tedesco Günter Verheugen («mi chiedo dove questa società altamente indebitata trovi i mezzi per portare avanti allo stesso tempo due operazioni di questo genere») hanno causato un mezzo incidente diplomatico.
Al momento la Fiat condivide con GM Europe, proprietaria del marchio Opel, la piattaforma (ossia il telaio) su cui sono costruite la Fiat Grande Punto e la Opel Corsa, residuo della vecchia alleanza con Generale Motors del 2000. Anche la tecnologia Multijet di Fiat (i motori diesel costruiti in Polonia) equipaggia le vetture GM. La nuova Astra in uscita nel 2010 potrebbe fare da base per la nuova Fiat Bravo, lanciando la sfida nel settore delle medie (4 milioni di auto l’anno) attualmente dominato dalla Volkswagen (Golf) e dalla Citroën (Picasso). La Opel Meriva in uscita quest’anno potrebbe fare da modello per il nuovo monovolume Fiat, la Panda 2010 potrebbe essere affiancata dalla Agiva prodotta dalla Opel con la Suzuki (etrambe potrebbero essere motorizzate con l’inedito propulsore bicilindrico da 900 centimetri cubi con tecnologia Multiair anche in versione ibrida, asso nella manica del Lingotto). La Opel potrebbe produrre sul telaio della 500 auto low cost equipaggiate col motore Fire e prestare la piattaforma della Insignia per le nuove berline destinate a sostituire Croma e Alfa 159.
Dieci stabilimenti distribuiti in sette paesi europei, la Opel ha 55.000 dipendenti. 24.400 dei quali in Germania: 15.000 a Rüsselsheim, 5.300 a Bochum, 2.300 a Kaiserslautern, 1.800 a Eisenach. In caso di fusione, qualche migliaio di questi lavoratori perderebbe il posto. In Germania Marchionne se la deve vedere con Klaus Franz, capo del sindacato interno, dal 2000 vicepresidente dell’organo di sorveglianza di Opel: in azienda dal 1975 (apprendista in verniciatura a Rüsselsheim), definito ”co-manager”, Franz ha sempre detto ben chiaro che il suo ruolo è di contribuire al risanamento del gruppo e infatti nel 2005 fu lui che fece accettare alle maestranze un taglio di 9 mila posti.
La Frankfurter Allgemeine Zeitung ha rivelato il contenuto di un rapporto di 103 pagine datato 3 aprile, definito ”piano strategico della Fiat”, in cui si prevederebbe la chiusura dei siti di produzione Fiat/Opel di Luton ed Ellesmere Port in Gran Bretagna, di Termini Imerese e Pomigliano in Italia, e di Anversa in Belgio. Il piano prevederebbe tra il 2011 e il 2016 anche la chiusura di reparti componenti e motori di Rüsselsheim, Kaiserslautern e Bochum e dello stabilimento di Aspern in Austria, per un totale di 18.000 esuberi. La Fiat ha smentito questo piano. Franz ha detto in un’intervista all’agenzia Reuters che il piano di Marchionne prevederebbe 10mila tagli: in Germania si dovrebbero salvare gli stabilimenti di Eisenach, Bochum e Rüsselsheim, dove nascono le auto Opel, ma non quello di Kaiserlautern, dove si costruiscono i motori.
La Opel in crisi non suscita l’interesse della sola Fiat. Il concorrente più agguerrito è Magna, produttore di componenti e assemblatore austro-canadese che si muove assieme al costruttore russo Gaz e alla banca russa Sberbank. Frank Stronach, numero uno di Magna, ha spiegato che la cordata non è interessata all’acquisizione di una quota di Opel ma vorrebbe aiutare il partner in difficoltà. In sostanza, Opel non passerebbe da un grande gruppo (Gm) a un altro (Fiat-Chrysler) ma si troverebbe quasi sola e sottodimensionata rispetto alle necessità della competizione globale. Ciononostante, Armin Schild, capo del distretto di Francoforte del potente sindacato metalmeccanico Ig Metall, ha subito mostrato una certa preferenza per quest’opzione, che a suo dire meglio tutelerebbe il marchio Opel.
Il problema è che in Germania l’immagine della Fiat è stata per decenni molto negativa. Ha spiegato Giovanni Di Lorenzo, direttore del quotidiano Die Zeit: «Primo, la brutta esperienza con alcuni modelli passati non è un’invenzione xenofoba. Secondo, la prima esperienza di collaborazione di Opel con Fiat non è stata proprio il massimo della fortuna. Terzo, la Fiat è indebitata. Quarto, i tedeschi si preoccupano che Fiat faccia chiudere impianti Opel e abbia interesse ai sussidi statali. Quinto, la gamma dei modelli delle due aziende ha molte sovrapposizioni». Per portare a termine l’operazione, la Fiat dovrà vincere anche lo scetticismo dei tedeschi verso i grandi progetti: le parole usate da Marchionne per descrivere l’operazione, «un matrimonio in paradiso», sono le stesse che nel 1998 usò Jürgen Schrempp per descrivere la fusione tra Daimler e Chrysler, finita poi in un disastro.
Alla fine sarà determinante il ruolo della politica. La ”Grosse Koalition” che sostiene l’esecutivo di Angela Merkel è spaccata, Cdu e Csu a favore del Lingotto, la Spd decisamente contraria. Il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, candidato socialdemocratico contro la Merkel alle prossime elezioni di settembre, ha subito preparato una lista di 14 condizioni alle quali deve rispondere chi entra in Opel, in testa il mantenimento del quartier generale in Germania. Nei colloqui delle ultime settimane, però, perfino il consiglio di fabbrica di Rüsselsheim, molto vicino all’Spd, ha chiesto ai politici di non strumentalizzare le sorti dell’azienda per fini elettorali. Oltre a quello del governo federale, sarà fondamentale l’atteggiamento delle regioni tedesche (Länder) che ospitano gli impianti: Hendrik Hering, ministro dell’Economia della Renania-Palatinato (la regione in cui ha sede lo stabilimento di Kaiserslautern) ha già definito «inaccettabile» la soluzione Fiat.