Daniele Mastrogiacomo, la Repubblica 7/5/2009, 7 maggio 2009
LA STELLA DEL CALCIO AFRICANO CHE VIVE IN UNA BIDONVILLE
"I miei aguzzini mi scaraventarono mezzo morto giù da un ponte sui binari della ferrovia alla periferia della capitale Kinshasa"
Dopo una fuga avventurosa approda infine a Cape Towne dove inizia il suo calvario. Da mito dello sport a paria
«Guardi, guardi cosa mi hanno fatto», si agita improvvisamente Ndayé Mulamba, 61 anni. Con uno sforzo più dell´animo che fisico, si alza i pantaloni sulla gamba sinistra e ci mostra il polpaccio. E´ un arto deforme, con macchie scure di sangue rappreso attorno a due cicatrici che dopo 14 anni sembrano ancora fresche. Gli occhi vispi, su un viso piccolo, in un corpo minuto ma ancora sportivo, luccicano di emozione e di rabbia.
Scuote la testa: «Per un calciatore è tutto. E´ finita. Significa ucciderlo». Gli sgherri che gli sono entrati in casa una notte del 1994 erano convinti di averlo ammazzato. Soldati del governo: lo scuotono con la canna dell´Ak-47 mentre sta dormendo a letto con sua moglie. «Dacci i soldi», intimano. Mulamba pensa velocemente, cerca di prendere tempo. «La medaglia, dacci la medaglia», e premono ancora con la canna del kalashnikov. «Non ce l´ho. Sta al ministero». I soldati reagiscono con due colpi in rapida successione. Alla gamba. Lo afferrano, lo portano via, lo chiudono nel bagagliaio di un´auto e poi lo buttano giù, di sotto, da un ponte, sulla ferrovia che passa proprio lì, alla periferia di Kinshasa.
Ndayé Mulamba sembra morto. Ma in realtà il campione dei Léopards, la mitica nazionale dell´allora Zaire di Sesé Mobutu, è solo svenuto. Adesso, seduto su una poltrona logora nella stanzetta che divide con la nuova moglie e altri due figli in un quartiere di Cape Town, accarezza la medaglia che lo ha distrutto e consacrato goleador della Coppa d´Africa 1974-75. Un primato tuttora inviolato: 9 gol, di cui uno nella finale contro l´Egitto a Tunisi, quella che traghettò i Léopards dello Zaire, la prima squadra africana, ai Mondiali. Si lascia andare ai ricordi. «Avevo fatto un volo di dieci metri», commenta senza togliere lo sguardo dalla medaglia che continua ad accarezzare, «ma in quell´incubo ho avuto la fortuna di cadere sulla massicciata, vicino e non sopra le rotaie». Il campione si salva dal treno dell´alba e resta mezzo morto tra sassi, immondizia e sterpi. Lo trovano dei ragazzini, lo portano in ospedale. Tre complicate operazioni, la gamba però è andata. Anche Mulamba il goleador è andato. Gli consigliano di cambiare aria, di lasciare direttamente il paese. Ha molti nemici, troppa notorietà. E´ una star. Del calcio. Lo era. In pochi minuti è precipitato nel pozzo delle disgrazie.
Nessuno sa di lui. Il Congo lo dichiara morto con tanto di necrologi. E´ morto per gli amici e la famiglia che organizzano una messa in suffragio. Per il calcio africano che osserva sui campi di gioco un minuto di silenzio. Mulamba è già lontano. Camion, minibus, carri merci, a piedi. Fugge verso sud, attraversa foreste, fiumi, strade, villaggi. Approda a Città del Capo, tra decine di migliaia di immigrati irregolari. Per tre anni dorme per terra con un pastore evangelico nella baraccopoli di Philippi. Diventa tossico: crack e colla. Alcolizzato: beve, si nutre con i rifiuti. Lo scopre Anne, la donna meticcia dal viso dolce che adesso prepara il tè sul cucinino. E´ manager della Cwb, l´ong locale che si occupa di rifugiati, i diseredati delle Township. Anne lo aiuta. L´ascesa e il declino. Si sposano, gli restituisce un´identità, la vita. «In Europa si dimenticano di te», sussurra, «in Africa ti seppelliscono».
La storia di Ndayé Mulamba non è a lieto fine. Perché di lieto non c´è nulla. E´ l´esempio più eclatante di quel popolo di irregolari che invadono ogni giorno il Sudafrica e con cui deve fare i conti Jacob Zuma, il nuovo presidente del paese che proprio ieri si è insediato. In Sudafrica ce ne sono 4 milioni. Ma si pensa che siano 6. Sono sopportati a fatica, accettano lavori in nero, sotto pagati.
Mulamba si tocca la gamba deforme. «Quando piove non mi dà tregua», dice con una smorfia. Sulle quattro pareti della stanza campeggiano i ricordi. Foto di coppe, di trofei, premiazioni, riconoscimenti. C´è anche quella del giorno della consegna della medaglia, con il ministro dello Sport che lo affianca. Il migliore goleador di tutti i tempi. Joseph Blatter, presidente della Fifa, gliela appunta sul suo impeccabile completo blu. «Il ministro - ci spiega - voleva portarla lui al presidente Mobutu. Mi sono rifiutato. La cosa era finita sui giornali, è scattata la vendetta. Due anni fa un giornalista scopre chi sono: "Mulamba è vivo", scrive. Da Kinshasa non mi hanno nemmeno chiamato. Per loro era meglio che fossi morto. Il governo sudafricano mi ha detto di stare tranquillo. Se non ci fosse stata Anne, sarei finito».
Tira fuori da una busta di plastica un biglietto che conserva come una reliquia. «E´ per una partita dei Mondiali a Cape Town del prossimo anno». Sorride, per la prima volta, gli incisivi ancora spaccati per il volo dal ponte. «Sì, il vecchio goleador torna allo stadio».