Elsa Muschella, Corriere della sera 5/5/2009, 5 maggio 2009
IL PIONIERE RIFORMISTA MICO DI LETTA E CASINI
Il funambolo del centro- centrosinistra ha vinto di nuovo. E, d’istinto, può levarsi lo sfizio di cedere a una modesta consapevolezza di merito: «Ce la caviamo, ce la siamo sempre cavata». Lorenzo Dellai ha appena dimostrato che il suo «modello Trentino» – costruito ormai da tempo su alleanze equilibriste rodate in area moderata – continua a funzionare. « uno schema politico che qui regge da molti anni, anche in un contesto nazionale attualmente molto difficile per il centrosinistra».
A Trento il Pd ha conquistato il primato con un quasi 30% impossibile da ignorare, ma i rapporti di forza interni alla coalizione vincente sono tutt’altro che granitici. Il bilanciere di un’intesa che ha fatto rieleggere il sindaco Andreatta con il 64,4% dei voti – e che tiene insieme democratici, socialisti, verdi ma soprattutto l’Udc di Pier Ferdinando Casini e l’Idv di Antonio Di Pietro – si chiama Upt, è la «creatura» del presidente della Provincia e ha portato a casa il 17%. L’Unione per il Trentino è nata per testardaggine, rivendicando il sogno di un partito di territorio apertissimo al centro e costruito sulla convivenza degli ex della Margherita, dei convertiti di Forza Italia e degli autonomisti locali. Nella visione strategica del governatore – in sostanza – quello che finora è stato un buon collaudo potrebbe diventare in futuro una vera e propria Lega di centrosinistra, riformista sì ma a vocazione centrista.
Ecco perché la sua analisi del voto di ieri supera i confini della Provincia: «Se il Pd vuole vincere deve seguire il nostro esempio. Noi non siamo poi così diversi dalle altre Regioni, in fondo. Gli elettori chiedono alleanze politiche che non suonino artificiose, aperte alle innovazioni ma che restino comunque radicate nel territorio. So che questa lettura lascia da parte qualsiasi tentazione bipartitica, ma ciò che io immagino per l’Italia è un disegno assolutamente plurale».
Non si possono comprendere le connotazioni né la portata reale del «laboratorio trentino di centrosinistra» se si trascurano le radici contadine e cattoliche della famiglia di Lorenzo Dellai e l’epoca della sua educazione politica. A 31 anni – nel 1990 – era il sindaco di Trento alle prese con una coalizione di democristiani, socialisti e verdi ma il periodo di formazione l’aveva trascorso crescendo nel gruppo di studenti che la sua città aveva intitolato a Don Lorenzo Milani. I suoi maestri di mestiere si chiamavano Bruno Kessler – costante difensore dell’autonomia – e Beniamino Andreatta, da sempre a sostegno di un allargamento delle basi democratiche del consenso, della riduzione del potere dei partiti e dell’incontro tra popolari e democratici. Quando nel ”95 viene rieletto primo cittadino con un’alleanza tra laici e cattolici ha già di fatto preceduto l’esperienza dell’Ulivo di Romano Prodi e tre anni dopo – battezzando la lista civica «Margherita » alle Regionali – realizza quell’idea di aggregazione tra forze popolari e riformiste che nel 2001 diventerà partito nazionale.
Il ricorso a queste prove tecniche di accordo lo vede da dieci anni alla guida della Provincia autonoma di Trento e durante l’ultima campagna elettorale – prima della riconferma di novembre – ha spinto il leader udc Casini ed Enrico Letta del Pd a stringersi la mano in nome di una comune battaglia in suo sostegno. In più, è proprio con Letta che il governatore condivide la medesima aspirazione al centro moderato e l’assoluta contrarietà al referendum sulla legge elettorale.
Adesso che le sue intuizioni si sono di nuovo trasformate in numeri dal peso politico specifico, il cinquantenne Dellai sorride del 17% e guarda già oltre: «Sono convinto che noi non possiamo dare lezioni a nessuno, né abbiamo formule magiche da esportare. Però le percentuali ci dicono che se si intercetta quella parte di elettorato progressista e democratico che non si riconosce nel Pd, la strada è sicura». Ciò che manca alla sinistra è «il coraggio di una presa di coscienza sincera del superamento dell’idea bipartitica: da solo il Pd non ce la fa a rappresentare l’intero popolo che guarda al centrosinistra. Non si può navigare dentro uno schema di autosufficienza: è profondamente sbagliato, come l’ultima follia di votare sì al referendum».
Lo sperimentatore che ama giocare d’anticipo si riserva un ultimo vaticinio a gittata nazionale: «Dovrà nascere un soggetto politico nuovo, una vasta area di matrice popolare e riformista che cambi anche nome. In Trentino la nostra alleanza ha i confini a sinistra, un centro riformatore, un’anima legata al territorio e l’ambizione a un centrosinistra europeo ed evoluto. Da queste parti è un meccanismo perfettamente avviato, se fuori funzionerà non mi è dato saperlo».