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 2009  maggio 05 Martedì calendario

UN’ALTRA IPOTESI SUL CASO MATTEI


La fiction andata in onda domenica e lunedì su Rai Uno ha riproposto gli interrogativi sulla tragica fine di Enrico Mattei. In proposito lo sceneggiato non fornisce risposte certe ed è una scelta giusta. Vengono, però, ripresentate le diverse ipotesi che vennero fatte: incidente per un errore del pilota? Attentato ispirato dalle Sette sorelle del petrolio? Omicidio mirato da parte dei Servizi francesi, irritati per l´appoggio dato dall´Eni alla Resistenza algerina? Colpo della mafia che osteggiava lo sbarco del Cane a Sei zampe in Sicilia?
Su Repubblica di domenica, sono usciti, presentati da Filippo Ceccarelli, documenti riservati del Foreign Office che comprovano la preoccupata attenzione con cui l´Inghilterra seguiva le scorribande internazionali di Mattei nonché la sua crescente influenza sulla politica italiana. Fra tutti i documenti pubblicati, mi ha colpito particolarmente un rapporto di un importante personaggio che riferisce la seguente frase del capo dell´Eni, pronunciata a meno di tre mesi dalla morte: "Ci ho messo sette anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra. E posso dire che ce ne vorranno di meno per far uscire l´Italia dalla Nato e metterla alla testa dei paesi neutrali" (i non allineati, come si diceva allora).
Una frase che mi ha colpito perché esattamente corrispondente ad alcune mie deduzioni. Mattei, dopo avermi nominato dirigente dell´Eni e fornito di credenziali para diplomatiche, mi aveva inviato in Tunisia perché stabilissi dei rapporti permanenti con il movimento di liberazione algerino che faceva capo ad un Governo provvisorio in esilio appunto a Tunisi. La missione durata un anno e mezzo aveva dato buoni frutti. Al momento degli accordi di Evian, che portarono alla pace e all´indipendenza, i tecnici dell´Eni svolsero una intensa attività di consulenza in materia petrolifera presso i negoziatori algerini, raccomandando loro di non prendere posizioni estremiste ma di raggiungere una joint venture per gestire assieme ai francesi i pozzi e valorizzare, possibilmente in un secondo tempo con il nostro intervento, il potenziamento delle riserve di gas, allora inutilizzato.
Gli algerini così fecero e nacque l´Office des Petroles Sahariens, con un presidente algerino e un direttore generale francese. Questi era l´ambasciatore Claude Cheysson che era stato collaboratore di Mendès France e godeva la fiducia di De Gaulle. Nella visione avanzata di Cheysson un accordo con l´Eni era ben visto anche perché avrebbe stemperato le accuse di neo colonialismo della sinistra algerina contro gli ex occupanti.
Gli ambienti ufficiali e petroliferi francesi erano però nettamente contrari e fecero fuoco e fiamme quando chiedemmo di aprire una raffineria a Blida. A questo punto Cheysson corse a Parigi, chiese udienza al Generale e ottenne via libera all´accordo. Non solo, De Gaulle con la lungimiranza che lo contraddistingueva decise di fondere la Compagnie Francaise des Petroles che faceva parte delle 7 sorelle, con una piccola società pubblica, l´Erap e di dar vita all´Elf, facendone una grande società di Stato. Elf ed Eni avrebbero dovuto, nella sua visione strategica, allearsi per creare una struttura energetica abbastanza forte da contrastare le compagnie americane. Dopo il placet dell´Eliseo avemmo via libera in Algeria con grande soddisfazione anche di Ben Bella. Fu messo a punto un accordo che prevedeva la costruzione di un gasdotto dal Sahara fino a Genova, via Marocco, Spagna, Francia, Italia.
Mattei grandemente soddisfatto per la piega che avevano preso le cose mi disse che ormai potevo chiudere l´ufficio di Tunisi per aprirne uno a Parigi. Fu l´ultima volta che lo vidi, prima di Bascapé. Poi trasmisi al suo successore tutto il dossier. Cefis in un primo tempo lo accolse, poi da un giorno all´altro mandò tutto all´aria e si accordò con la Esso per acquistare il gas libico. Tutta la politica terzomondista dell´Eni finì dalla mattina alla sera. Ma questa è un´altra storia. L´ho ricordata per escludere ormai qualsivoglia interesse francese alla fine di Mattei.
Ma, per un altro verso, la stessa conclusione vale per i petrolieri Usa. Pochi giorni prima di morire Mattei volò in America. Qui l´atmosfera era mutata. L´amministrazione Kennedy guardava con interesse all´esperienza italiana nei rapporti con i paesi ex coloniali. Anche i petrolieri cominciavano a capire che occorreva qualche idea nuova.
Resta, però, in piedi un´altra eventualità. Non c´entra il petrolio, non c´entrano i francesi. Bisogna, invece, far attenzione alla data: 27 ottobre 1962, in piena crisi di Cuba, le navi sovietiche con i missili stanno navigando verso le sponde americane, da un´ora all´altra può scoppiare la terza guerra mondiale..... Ebbene, all´incirca all´epoca del documento inglese, vi è un rapporto alla Cia di un giornalista americano (che apparirà molti anni dopo, mi sembra su Panorama) in cui si traccia un quadro allarmato della situazione italiana: in caso di un aggravarsi della guerra fredda Mattei è l´unico personaggio in grado di agire perché il governo scivoli su posizioni neutraliste. Bisogna tener conto che il Psi e l´ala dossettiana della Dc erano allora neutralisti e avevano votato contro il Patto Atlantico.
Questo è un motivo più che valido, nell´interesse degli Usa e del mondo libero, per giustificare un attentato. La mano operativa può ben essere stata la mafia siculo-americana. Sempre che non sia stato un incidente.