6 maggio 2009
BREVE STORIA DELL’AZIENDA DI BICICLETTE FINITA A PRODURRE I CAMION DI HITLER
Nel 1929 il regno di Alfred P. Sloan alla General Motors è iniziato da sei anni. Prima della grande crisi le cose vanno bene e l’inventore del management moderno decide di espandersi: la sua filosofia è comprare marchi già affermati, aziende che funzionano e con un loro mercato, per non dover costruire da zero una nuova società. In Germania c’è un’azienda che sembra ideale per un’acquisizione, costa anche poco: 26 milioni di dollari.
L’ha fondata Adam Opel nel 1862, per produrre macchine da cucire, ma da allora è cambiata parecchio. Quando Opel muore nel 1895 e la compagnia passa alla moglie Sophie Scheller il business principale è già diventato quello delle biciclette, vera passione dei loro cinque figli. Nel 1899 arriva la prima auto, nello stabilimento che diventerà l’equivalente di Mirafiori per la Fiat, quello di Russelsheim, in Assia, a 600 chilometri da Berlino. Il primo modello, "System Lutzmann"; sembra ancora una carrozza, ma senza cavalli. All’azienda tedesca manca l’esperienza, quello che oggi si chiama know-how, quindi affida parte della produzione a Darracq, un’impresa francese, e i primi modelli prodotti insieme hanno entrambi i marchi. Quando arriva General Motors Opel ha imparato a costruire macchine. Le sue vetture vincono le competizioni sportive, dove si possono sperimentare le tecnologie innovative. Nel 1924 fa il salto con un progetto da un milione di marchi d’oro (non è ancora esplosa l’inflazione che distruggerà la repubblica di Weimar). I risultati sono all’altezza delle attese. La produzione a catena di montaggio, copiata più che dalla Ford dalla vicina Citroen, permette di diventare più rapidi ed efficienti, e di lanciare sul mercato la 4/12PS, più nota come "Ranocchio". Verde, economica, modello torpedo, con il cofano lungo e aggressivo e il tettuccio apribile, diventa l’equivalente tedesco della Ford T americana. Solo che è verde, non nera. In poco tempo il suo prezzo passa da 4500 marchi a 1990, premessa per una motorizzazione di massa (per gli standard dell’epoca: se ne vendono 120mila esemplari in sette anni). Quando nel 1929 General Motors compra l’80 per cento delle azioni, Opel è il primo costruttore tedesco con una quota di mercato del 37,5 per cento.
Nel 1930 Opel comincia a produrre autocarri in Brandeburgo, ma non abbandona le auto - ovviamente - e l’Olympia raccoglie l’eredità del Ranocchio, diventando nuova auto delle masse teutoniche. Quando arriva la guerra, Opel è il primo costruttore europeo, grazie anche al successo della nuovissima Kapitan (bombata berlina di lusso), ma nel 1940 Adolf Hitler decreta: d’ora in avanti dalle officine del Reich usciranno solo camion per supportare l’esercito.
Una fabbrica tecnicamente di General Motors, simbolo del capitalismo americano, produce i veicoli su cui vengono trasportate truppe e munizioni di Hitler. L’aviazione americana considera le fabbriche Opel un obiettivo strategico, tanto che nel 1944 bombarda e distrugge lo stabilimento in Brandeburgo e mutila quello di Russelsheim. Solo nel 1947 inizia il ritorno alla normalità, proprio là dove si era arrestata: dal sogno di benessere nelle linee morbide della Kapitan. Ed è proprio una Kapitan l’esemplare numero 2 milioni, nel 1956.
Poi Opel sembra perdere parte della propria spinta propulsiva, ripiegandosi sul mito del successo passato. L’unica eccezione è la Kadett, spigolosa e non particolarmente piacente, che completa il processo di motorizzazione di massa (oltre un milione di esemplari venduti). Negli anni settanta, dopo aver dato ai tedeschi auto di fascia media per decenni, Opel cerca di competere con i grandi marchi internazionali nel segmento più remunerativo, quello delle vetture di alta gamma, con la Commodore, la Senator e la Monza. Non va benissimo. Con l’arrivo degli anni Ottanta, quindi, si torna a puntare su quello che a Russelsheim sanno fare meglio: le auto medio-piccole, un po’ sportive, economiche ma non pauperistiche come certe Fiat dell’epoca. Nel 1982, quindi, iniza la produzione dell’Opel Corsa anche a Saragozza, in Spagna. Nel 1986 arriva una berlina di successo, l’Omega (auto dell’anno), poi la Vectra e l’erede della Kadett: l’Astra. Modelli che continueranno a replicarsi, in varianti e riedizioni, per tutti gli anni novanta e nei primi duemila, con un tentativo di intercettare la domanda e l’opportunità di tecnologie verdi che culmina nel successo della Zafira.
Raccontata così quella di Opel sembra una storia di successi ininterrotti che non spiega perché oggi General Motors sia disposta a darla via gratis, pur di liberarsene. La crisi delle finanze aziendali (troppi debiti) diventa evidente nel 2004, quando il management tenta un piano disperato di risanamento: delisting, l’azienda viene tolta dalla Borsa e diventa una srl, tagli di personale e di costi. Sembra che ce l’abbia fatta. Poi arriva la crisi, le vendite crollano e si teme il fallimento. Con un unico colpo di fortuna: il disastro scoppia nell’anno elettorale. E con la grande coalizione al governo, nessuno può permettersi di lasciarla affondare.