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 2009  maggio 06 Mercoledì calendario

LA DISPARITA DEL TEMPO LIBERO LUI HA 83 MINUTI IN PIU’


Lui legge il gior­nale, lei intanto prepara la ce­na. Dopo l’ufficio lui beve una birra con gli amici, lei affretta il passo perché la lavanderia chiu­de alle sette e mezza. La dome­nica c’è la partita in tv, e meno male che i bimbi sono al parco con la mamma. Scene di vita quotidiana e di iniqua distribu­zione di un bene preziosissimo: il tempo libero. In Italia più ini­qua che mai, visto che gli uomi­ni ne hanno 83 minuti in più al giorno rispetto alle donne. Più dei maschi messicani (80 minu­­ti), dei polacchi (62) o degli spa­gnoli (33). Più di tutti i loro col­leghi dei 19 Paesi passati sotto la lente d’ingrandimento del­l’Organizzazione per la Coopera­zione e lo Sviluppo Economico. Le donne sorridono solo in Nuova Zelanda (dove sono in vantaggio di 2 minuti), in Sve­zia (+6) e in Norvegia (+16). Lo studio dell’Ocse dice anche che noi italiani non siamo dormi­glioni e passiamo tanto tempo a tavola riuscendo a non ingras­sare troppo. Magra consolazio­ne per chi poi deve rifare i letti e sparecchiare mentre la sua dolce metà si dedica tranquilla­mente agli affari suoi.

Il tempo libero come luogo privilegiato per osservare una società e la disparità tra i sessi. Lo sa benissimo Domenico De Masi, docente di Sociologia del Lavoro alla Sapienza di Roma che al tema ha dedicato un sag­gio, Ozio creativo: «Quell’ora e venti che solo noi uomini pos­siamo goderci è qualcosa di cui vergognarsi. Questo gap ha ra­gioni culturali: il maschio lati­no soffre la famiglia e odia la ca­sa, le considera secondarie e ac­cessorie, solo il lavoro è vissuto come l’ambito dell’espressione e della realizzazione di se stes­si ». E non è un caso che l’Italia si sia conquistata una simile maglia nera: «Siamo usciti tardi dalla ruralità rispetto ad altri Pa­esi e la visione cattolica ha per­petrato l’immagine della donna come regina del focolare. Sono certo che nella Germania calvi­nista le cose vadano assai diver­samente ». L’Ocse conferma: tra i tedeschi la clessidra del tem­po libero segna soltanto cinque minuti di privilegio in più per gli uomini.

«Siamo nella stessa situazio­ne degli anni Cinquanta, solo che allora le donne lavoravano esclusivamente in casa», com­menta Lidia Ravera. Altro che tempo per svagarsi, afferma la scrittrice, oggi ogni lavoratrice deve farsi in tre: «Solo gli uomi­ni possono permettersi il lusso di essere monomaniacali dedi­candosi alla carriera. Le donne lavorano prima per uno stipen­dio, poi per la famiglia e, alla fi­ne, i minuti e le energie che re­stano li devono spendere per mantenersi belle. Un impegno imprescindibile: essere carine è un obbligo sociale. E se a 19 an­ni si fa piuttosto in fretta, dopo la trentina i tempi cominciano ad allungarsi...».

Ma la coppia che lavora non dovrebbe fondarsi sul mutuo soccorso? «Gli uomini, al massi­mo, portano fuori il pattume», scherza amaro Maria Cristina Bombelli, docente di Organizza­zione del lavoro all’Università Bicocca di Milano e autrice del saggio Alice in business land. Diventare leader rimanendo

donne. Un titolo, un problema: «L’organizzazione del lavoro in Italia sembra fatta apposta per non lasciare spazio alla fami­glia ». E visto che la famiglia pe­sa quasi tutta sulle spalle delle donne, il risultato è che, quan­do non sono addirittura costret­te a lasciare il lavoro, il tempo libero resta un miraggio. E quel­le che riescono a ritagliarsene un po’, lo usano in modo diver­so dai loro colleghi? «Assoluta­mente sì – dice Bombelli ”. I maschi preferiscono stare con gli amici, il calcio, la palestra. Le donne, e le statistiche lo con­fermano, hanno un approccio più colto: leggono, vanno al ci­nema, frequentano il teatro».

Ultimo tentativo di difesa: ma non sarà che gli uomini han­no più bisogno di evasione? «Macché, questa è solo una bu­gia di comodo che ci raccontia­mo, guarda un po’, proprio noi uomini», dice lo psichiatra Gia­como Dacquino, autore del sag­gio Sesso soldi e sentimenti.

No, la natura non c’entra: la col­pa è delle «madri latine» che «trattano i figli maschi come dei sultani: loro poi, una volta sposati, finiscono con il consi­derare le mogli completamente al loro servizio». Non tutto è perduto, però: «Se­condo la mia esperienza di terapeuta di coppia questo maschilismo è imperante nelle coppie dai 35 anni in su, mentre i più gio­vani dimostrano di avere un atteggiamento diverso: il primo che arriva a casa met­te su la pasta, svuota la lava­trice, va a prendere il bimbo dalla nonna». Le nuove genera­zioni sembrano insomma aver­lo capito: dividersi stress, oneri e tempo libero possibilmente in parti uguali è il miglior mo­do di amarsi per davvero.