Gian Antonio Stella, Corriere della sera 6/5/2009, 6 maggio 2009
«AMATE I PADRONI»: E IL PCR SCARICO’ GLI OPERAI
Uffa, gli operai! A leggere Liberazione di ieri, pare proprio che a Rifondazione comunista non ne possano più di questi Cipputi che si sono messi a votare a destra. Non li riconoscono.
E restano inorriditi come gli abitanti di Santa Mira nel vecchio film di fantascienza L’invasione degli ultracorpi, quando assistono con ribrezzo allo schiudersi di enormi baccelli dai quali escono esseri identici ad amici, parenti e compaesani. Ma mostruosamente irriconoscibili dentro.
Così è stato vissuto, l’ultimo sondaggio del Sole 24 Ore, con quel 43,4% di operai decisi a votare Pdl, percentuale che con la Lega Nord salirebbe a uno stratosferico 58,2%: come una specie di invasione di ultra- operai. Tanto da spingere il quotidiano comunista a pubblicare un reportage da Torino di Maurizio Pagliassotti che, sotto il titolo Se lo straniero fa paura più del licenziamento,
manifesta tutto lo sgomento di un naufrago alla deriva tra i flutti di un mare improvvisamente ignoto.
«La generazione di operai che arriva intorno ai 30-35 anni è in larga parte persa. Sono rimbambiti dalla televisione, dei deficienti», si sfoga la Rosina, operaia Riv-Skf di Airasca, «Hanno il mito dell’uomo forte, di quello che risolve problemi. Senza tener conto dell’immagine da galletto tra le donne che Berlusconi continua a propagandare. C’è da mettersi le mani nei capelli».
Una voce estemporanea? Per niente. Basti leggere il quadro d’insieme, venato di sarcasmo: « vero amore ormai tra gli operai italiani e gli imprenditori che li licenziano e li mandano a morire sul posto di lavoro. La classe operaia apprezza con crescente entusiasmo che i poveracci paghino una crisi con i licenziamenti e i manager ingrassino sempre di più. La politica del governo che esclude, anche durante questa catastrofica crisi, ogni minima redistribuzione della ricchezza dopo che la forchetta salari- rendite è di fatto sfondata, è gradita ». Gli operai italiani, prosegue l’articolo, «amano il brivido, quindi, pollice alzato anche per la ’norma salva manager’, bollata dal presidente della Repubblica come ’da riscrivere’, che di fatto allenta le responsabilità di chi per puro profitto condanna a morte i lavoratori. Molto bene anche l’inesistente lotta all’evasione fiscale verso chi non paga le tasse perché non ha ritenute alla fonte. L’imprenditore che licenzia al primo calo del fatturato, non paga le tasse e manda al rogo i suoi dipendenti sta dalla stessa parte del suo operaio, ovvero con Silvio Berlusconi».
Un’invettiva. Lo sfogo di un innamorato ferito dal più inaspettato dei tradimenti. Eppure, senza farla troppo grossa recuperando George Orwell e le sue parole sulla difficoltà di tanti intellettuali ad accettare la «puzza del proletariato» tra gli odori della tripperia ne La strada di Wigan Pier, è sufficiente rileggere quanto diceva otto anni fa lo straordinario fondatore del manifesto Luigi Pintor: «Qualsiasi sommossa di schiavi, da Spartaco in poi, ha il potere di sedurmi malgrado il costo e la vanità dell’impresa. Rivoluzionario nella vita pubblica, sono tuttavia rimasto profondamente borghese nel privato, senza trovare un’armonia tra comportamenti intimi e ideali pubblici. Io non c’entro niente con il mondo di cui ho parlato per una vita. Un po’ come molti intellettuali di sinistra».
«In che senso?», gli chiese Simonetta Fiori. E lui: «Non sanno niente della realtà di cui si occupano. I vecchi comunisti cercavano di porre rimedio alla scissione, invitando noi giovani borghesi a mescolarci nelle mense con gli operai. Era un rimedio ingenuo, illusorio. La sinistra è rimasta quanto di più lontano dalle pulsioni degli uomini. La destra vincerà le elezioni proprio perché intercetta i bisogni reali degli individui». O almeno non irride a certe paure.
Era già chiara allora, la tendenza. Anzi, già nel ”97 (dodici anni fa!) Gianfranco Pasquino aveva messo in guardia contro il modo con cui certi ministri ulivisti stavano al potere: «Questi qui si sentono assai migliori del Paese che governano, dell’opinione pubblica, delle cosiddette parti sociali e, se mi posso permettere, degli intellettuali e dei professori». E all’inizio di questo decennio Ilvo Diamanti spiegava già che nel Veneto e nel Friuli (bollati da certa gauche come modelli repellenti perché il tornitore puntava a metter su una sua fabbrichetta accettando l’«auto-sfruttamento ») il centro-destra mieteva tra gli operai il 66%.
Macché: tutto inutile. Come inutile fu la lezione delle «presidenziali» francesi col ballottaggio tra Chirac e Le Pen e il crollo socialista salutato da Liberazione con funesta esultanza: «Arlette Laguillere, candidata di Lutte Ouvrière, con quasi il 6%, arriva a picchi del dieci-quindici per cento tra il voto operaio!».
E inutili gli avvisi ai naviganti della «sinistra antipatica» da parte del mal sopportato Luca Ricolfi. E inutile la batosta dell’anno scorso, con la Lega che (a dispetto di quel Bertinotti che aveva dedicato la presidenza della Camera «alle operaie e agli operai ») umiliava la Sinistra Arcobaleno in storiche roccaforti operaie come Valdagno (30% contro 2,1), Arzignano (37 contro 1,5), Chiampo (41 contro 0,9) o San Pietro Mussolino: 49,8 contro 0,6%. Tutto inutile.
Fosse ancora vivo Lucio Colletti, uno cresciuto tutto dentro la gauche, avrebbe gioco facile a ripetere la sua rasoiata: «Questi intellettuali sono così boriosi da disprezzare il popolo quando non gli permette di conseguire la vittoria elettorale». Non sarebbe ora, per la sinistra tutta, e non solo quella rifondarola, di uscire dai vecchi schemi per tornare a parlarci, con gli operai?