Mario Margiocco, ཿIl Sole-24 Ore 6/5/2009;, 6 maggio 2009
WALL STREET CONTRO WALL STREET
Chi paga il conto del crack? Una battaglia all’ultimo sangue, su un voto che il Senato di Washington potrebbe esprimere già oggi, sta mettendo Wall Street contro Wall Street e indica bene la posta in gioco nel mondo finanziario - e nella politica - americana: come distribuire le perdite del fatidico 2008-2009.
Su come arginare la débâcle immobiliare le grandi banche sono in guerra con assicurazioni, hedge fund, gestori di capitale di ogni genere, tra cui fondi pensione, gestori dei patrimoni di università grandi e piccole, fondazioni e altro. Tutto dipende dal fatto che chi ha concesso i mutui, e continua a riscuotere le rate - le grandi banche dominano il mercato - , ha da tempo venduti i mutui stessi, cartolarizzati, impegnandosi a garantire un certo rendimento. Il mercato dei mutui immobiliari cartolarizzati è di 6.700 miliardi di dollari su un totale di mutui emessi per oltre 11mila miliardi, circa il 64% del totale. E sono oltre 4 milioni le famiglie che si vuole aiutare a non perdere la proprietà.
Ma a spese di chi?
Sulla difensiva sono i bondholders, gli obbligazionisti, nel caso specifico chiunque abbia acquistato un titolo a reddito fisso legato ai mutui. Una storia americana ma che interessa quindi chiunque in Europa, o in Italia, assicurazioni, banche, fondi comuni o anche semplici privati, abbia acquistato Rmbs (Residential mortgage backed securities) e titoli analoghi legati ai mutui, l’80% del debito delle famiglie americane. Se il Senato approva così com’è un passaggio della legge in esame, saranno i bondholders alla fine a vedersi imporre le perdite maggiori. Il conto del crack, immobiliare e non, qualcuno lo deve pagare, e non può essere né tutto a carico del contribuente, né affidato a una possibile, probabile secondo molti, inflazione futura.
Tutto incomincia il 18 febbraio quando l’amministrazione Obama annuncia il suo piano da 75 miliardi per frenare i pignoramenti. Il nocciolo è portare la rata del mutuo a non oltre il 31% del reddito del mutuatario. Interessate 4 milioni di famiglie che rispondono ai criteri previsti. Chiaramente una perdita per chi ha emesso il mutuo, o lo ha acquistato con i titoli cartolarizzati.
Alla Camera, su iniziativa fra gli altri del leader della maggioranza democratica Barney Frank, veniva aggiunto un passaggio cruciale. La cram down provision,
che avrebbe autorizzato il giudice fallimentare a modificare i termini del mutuo prima casa a danno dei creditori. Obama non era contrario. Ma tutto il mondo finanziario si è ribellato e la norma, approvata alla Camera, è stata respinta nei giorni scorsi al Senato (45 voti contro 51), con Wall Street che ha fatto fronte comune. Anche le quattro maggiori banche Citigroup, Bank of America, JPMorgan e Wells Fargo - che da sole gestiscono il 63% dei mutui americani (spesso venduti ad altri, le banche incassano le rate) sono state decise contro il cram dawn. Che avrebbe potuto colpire anche i secondi mutui e altre forme di finanziamento che spesso restano fra gli asset delle banche.
Le stesse grandi banche sostenevano però, da sole e con forza, un’altra clausola, quella in votazione questi giorni, e qui il fronte si è rotto. Il servicer safe harbor
prevede infatti che fino al 2012 (finirà solo allora l’emoraggia immobiliare Usa, si veda Il Sole 24 Ore del 12 aprile 2009 a pagina 21), gli obbligazionisti che si vedranno versare per i titoli cartolarizzati acquistati interessi inferiori non potranno fare causa. Di quanto inferiori? Secondo un’analisi di Barclays Capital,a metà aprile obbligazioni emesse su mutui alt-A a rata fissa, una categoria a rischio minore rispetto ai subprime a rata variabile, venivano scambiati a 52 cents per dollaro. La banca che assicura il service potrà decidere di quanto abbassare il costo del mutuo, per i 4 milioni di famiglie circa che rientrano nei criteri dello Helping families save their homes act e del precedente e analogo programma Hope for homeowners. Le perdite possibili per gli obbligazionisti sono quindi notevoli, nell’ordine delle centinaia di miliardi.
Le grandi banche sono da anni la colonna del lobbismo a Washington e nei giorni scorsi Jamie Dimon in persona, il numero 1 di JP Morgan, si aggirava al Congresso, secondo alcuni testimoni. Sul fronte opposto, quattro diversi gruppi di obbligazionisti hanno ingaggiato professionisti del settore per bloccare il safe harbor. Quello che preoccupa è che le norme offrono incentivi alle banche - potrebbero arrivare a 10 miliardi di dollari - se riescono a evitare un pignoramento della casa e a mantenervi gli occupanti, e quindi incentivano il trasferimento delle perdite il più possibile sugli obbligazionisti.
Molto dipenderà da come sono scritte le norme sull’immunità delle banche, se il safe harbor come sembra rimarrà. «Più ampio sarà il safe harbor, più mutui potranno essere rivisti e più gente potrà restare nelle case», ha detto Joseph Pigg, vicepresidente dell’American bankers association, cui fanno capo i grandi istituti. «Purtroppo non c’è nulla che impedisca a un server di modificare quei mutui in base al proprio interesse», osserva Micah Green, ex presidente della Bondmarket association e ora avvocato presso Patton Boggs, una delle più potenti agenzie di lobbismo di Washington. Green guida la battaglia per un gruppo di quattro investitori istituzionali, la Mortgage investors coalition, che si è formato in tutta fretta. Green si riferisce al fatto che i titoli supportati dai mutui cartolarizzati sono divisi in tranche, alcune privilegiate che sono state vendute e altre più a rischio che le banche hanno in parte trattenuto (le quattro citate ne hanno per 440 miliardi). Ora, accusano gli obbligazionisti, cercheranno di scaricare tutti i costi sulle prime tranche, per salvare le seconde.
Un compromesso su quest’ultimo aspetto è possibile, ed è l’amministrazione Obama che sta cercando di raggiungerlo. L’importante è che più famiglie possibile restino nelle case, e quindi più mutui possibile vengano rivisti al ribasso. Il crollo dei prezzi medi immobiliari, rispetto al picco di due mesi fa, sta marciando verso il 35% e non sarà semplice trattenere le famiglie, perché molti mutui sono più alti ormai del valore della casa. Comunque Washington deve poter offrire risultati. Per questo le obbligazioni non sono più quelle di una volta.