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 2009  maggio 06 Mercoledì calendario

IL FANTASMA DELL’OPEL SUL VOTO DEI TEDESCHI - A

Rüsselsheim c’è tutto, solo che nulla è al suo posto. Il teatro, la biblioteca comunale, la scuola pubblica non sono nel cuore della cittadina, ma nel tempo ne sono scivo-lati lontani, al bordo di una fredda "cintura delle infrastrutture". Al centro di Rüsselsheim non può che esserci das Werk, l’impianto storico e la sede di Opel. Non c’è vita cittadina, né «urbanità nel senso di un consapevole rapporto sociale», spiegano i sociologi. Al posto di tutto ciò, ancora una volta, la fabbrica e i suoi abitanti. Per quasi metà dei 16mila lavoratori, i non pendolari, nascita e sviluppo si sovrappongono così fedelmente all’impianto da sottoporsi a un volontario battesimo collettivo: essi stessi si chiamano infatti «gli Opelaner».
Più ancora di Alitalia, il caso Opel è carico di un’emotività profonda che coinvolge il paese nei destini della sua avventura industriale fino a poter influenzare le elezioni federali di settembre. La cancelliera Angela Merkel se ne è accorta a marzo dopo aver visto i sondaggi peggiorare per aver definito Opel un’azienda «non di sistema» e in quanto tale non avente diritto al salvataggio pubblico. Opel è da sempre uno dei teatri della politica tedesca, dalla peggiore, testimoniata dall’accoglienza tributata al Führer, fino alla più anticonformista con il giovane Joschka Fischer che davanti ai cancelli si nominava "Spontifex Maximum" guidando le proteste spontanee del ’68. Fino a oggi quando, sul caso OpelFiat, Cdu e Spd stanno spaccando la Grande coalizione come una mela.
Se a Sindelfingen, la città della Porsche, le strisce stradali sono riccamente piastrellate, a Rüsselsheim case e fabbrica sono fatte con gli stessi mattoni rossi in Backsteinstil. A pochi chilometri dall’aeroporto di Francoforte, la cittadina porta su di sé la trasformazione, a cavallo del ’900, del mondo delle grandi fattorie agrarie dell’Assia in centro industriale. Adam Opel produceva macchine da cucire il cui uso era esploso con la necessità di uniformi per l’esercito prussiano, solo più tardi l’impianto estese la meccanica alle biciclette e ai motori. Attorno al 1900 Opel costruì i primi quartieri operai con le casette rosse a un piano, due camere e cucina. I contadini vi si spostarono in massa sfruttando il giardinetto retrostante per orti e animali e affittando gli abbaini. Le case venivano cedute a credito alle famiglie, che si trovavano così legate mani e piedi al futuro della fabbrica. I figli subentravano ai padri e ai padri dei padri nelle stesse mansioni, affinando anno dopo anno la qualità e l’orgoglio e quindi creando un’ulteriore identificazione.
L’arrivo di General Motors nel 1924 segna una rivoluzione tecnica. Arriva la catena di montaggio, la "banda", che gli operai di Rüsselsheim chiamano la "jazzband". Chi viene assunto racconta un libro sulla "Memoria di un Opelaner" - è accolto al motto «domani arrivi in America!». «Opel non è un’assicurazione sulla vita» spiega all’assemblea dei lavoratori il 17 marzo ’29 un rappresentante della proprietà americana, ma la cultura degli Opelaner era - e in parte è rimasta - esattamente quella di un rapporto inscindibile con la fabbrica: un rapporto familiare, nient’affatto americano.
Un quotidiano di Monaco ha definito Rüsselsheim «la capitale delle ambizioni della classe media tedesca» perché dagli impianti venivano sfornati modelli che scandivano geometricamente la scalata sociale del proletariato, dalla Kadett (spostata infatti nell’impianto meno nobile di Bochum) alla Diplomat, fino all’Admiral. Organizzati secondo una precisa ideologia produttiva (lo sloanismo). L’intero paese così attendeva i nuovi modelli come un termometro sociale di un popolo che nel dopoguerra si è risollevato non solo economicamente attraverso la qualità della meccanica.
L’identificazione dei lavoratori della Opel ha preso la forma di un livello di sindacalizzazione tra i più elevati del mondo, con aneddoti che descrivono un rapporto tuttora asfissiante di cogestione della vita di fabbrica. Altrettanto elevati sono diventati i costi salariali. Dopo l’unificazione tedesca, Opel aveva aggiunto un quarto impianto ad Eisenach in Turingia nella storica fabbrica della Wartburg, la sorella lussuosa della Trabant, dove un analogo orgoglio era stato travolto dalla prima produzione snella europea su modello giapponese per la Corsa. Anche in Turingia le elezioni regionali precederanno quelle federali e saranno un test della sensibilità dell’elettorato tedesco al caso Opel.
Il crinale della campagna elettorale federale si trova ora esattamente alle porte del "Werk" ed è sull’orlo di scaricarsi in un furioso scontro sul futuro degli Opelaner. L’Spd sa che le sue chance di recuperare voti sulla Merkel dipendono dalla mobilitazione dei sindacati. A sua volta la cancelliera subisce da un lato la pressione solidaristica dei suoi colleghi di partito a capo dei Länder dove hanno sede gli impianti e dall’altro lato la potente crescita dei liberali partita proprio dall’Assia.
Ma nei colloqui delle ultime settimane perfino il consiglio di fabbrica di Rüsselsheim, benché molto vicino all’Spd, ha chiesto a tutti i politici di non strumentalizzare le sorti della Opel per fini elettorali: non si litiga sulla propria famiglia. Ma l’auspicio ha poche possibilità di essere accolto.