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 2009  maggio 05 Martedì calendario

Due ore di intervista si concludono con una domanda di Massimo Cacciari che dice tutto del personaggio: «Vabbe’, ma io per che giornale ho fatto ’sta roba?»

Due ore di intervista si concludono con una domanda di Massimo Cacciari che dice tutto del personaggio: «Vabbe’, ma io per che giornale ho fatto ’sta roba?». Il Barbasindaco di Venezia è filosofo dentro: spiccato spirito critico, senso pratico zero. un ossimoro vivente: uno snob alla mano, socio fondatore di un partito che detesta (il Pd), un antiberlusconiano che strizza l’occhio al governo (vedi piano casa), un ateo appassionato di Cristo. Manna e Cacciari Perché non ha voluto candidarsi alle Europee? «A parte che nessuno me l’ha proposto, non ne avevo nessuna intenzione». Perché? «Perché, finito di fare il sindaco, voglio riprendere la ricerca all’università». Lei ha già criticato la scelta di Luigi Berlinguer capolista del Pd nel Nord-Est. Cosa pensa dei sindaci che si sono candidati alle Europee? «C’è una regola del Pd secondo la quale non potrebbero candidarsi. Non capisco per quale motivo ci siano state queste eccezioni». Manna e Cacciari Perché non vuole ricandidarsi nemmeno a Venezia? «Nemmeno l’ultima volta era nei miei progetti». E allora perché si ricandidò? «Fu una decisione improvvisa, dovuta al fatto che mi ero incazzato per il modo in cui erano state gestite le liste per il rinnovo del Consiglio comunale. Ma non mi aspettavo assolutamente di essere rieletto. Fu più che altro un gesto di rivolta, che poi ho pagato caro». Perché? «Perché ero in tutt’altre faccende affaccendato a Milano, dove avevo fondato una facoltà di Filosofia al San Raffaele, in totale autonomia. Un’esperienza nuova e molto divertente che mi pento di aver interrotto e che spero di riprendere il prossimo anno con lo stesso entusiasmo». Il Pd, però, pare sia a corto di candidati per Venezia. Se il prossimo anno dovesse supplicarla in ginocchio? «Direi no. Nel modo più assoluto. Loro lo sanno e nemmeno me lo chiedono». Non vuole ricandidarsi perché sa che il suo gradimento è crollato ai minimi storici a Venezia? «Non ho mai guardato un sondaggio». Mille cittadini l’anno scappano dalla "Serenissima" perché si sentono assediati dai turisti, dal campo nomadi di Mestre e dai "vu’ cumprà". «Non è un campo nomadi. un villaggio per stranieri che hanno la cittadinanza veneziana, mandano i figli a scuola a Venezia e vivono in determinate condizioni, oggi del tutto incivili, domani civilissime». Oltre 12.000 cittadini avevano sottoscritto un referendum per abolire il campo nomadi. Ma lei l’ha dichiarato inammissibile. Bella democrazia... «Non sono stato io, è stato il Consiglio comunale che democraticamente ha votato perché non si tenesse quel referendum». I veneziani detestano il "suo" ponte di Calatrava: 11 anni per costruirlo, 18 milioni spesi sui 4 preventivati e non ci sono nemmeno le passerelle per i disabili. «Non è vero, è costato 9 milioni. I cantieri sono stati aperti nel 2001: l’idea tra me e Santiago Calatrava è nata 11 anni fa. E adesso sarà sistemato anche per i disabili. un ponte la cui utilità è visibile a tutti». Cosa sognava di fare da bimbo: il sindaco o il filosofo? «Ho fatto il sindaco pro tempore. Il mio mestiere è studiare, ricercare, scrivere, cose che ho cominciato a fare fin da ragazzino». E quando ha iniziato a farsi crescere la barba? «A 16 anni». Mai rasata? «Mai». Cos’è la barba per lei, un imperativo categorico o semplice sindrome di Sansone? «Pura comodità. Quando iniziai a radermi era una tale sofferenza, perché mi tagliavo dappertutto, che decisi di lasciarla lunga». E il suo loden che archetipo rappresenta? « il cappotto che mi piace di più. Pura comodità». Lei è un esteta con fama di seduttore. Il suo look non sarà più una tattica per far colpo sulle donne? «Se vedesse il mio guardaroba capirebbe che non c’è nulla di studiato». Quanti amori ha avuto? «Non li ho mai contati». Gliene attribuiscono due ufficiali: Monica Zecchi, cugina di Stefano, e la pittrice Serena Nono. «Non parlo di amori». Ultimamente è stato "paparazzato" per le calli veneziane a braccetto con Evelina Manna, l’attrice sfiorata dall’inchiesta di Vallettopoli perché segnalata ad Agostino Saccà da Silvio Berlusconi. «Purtroppo vengo paparazzato del tutto a vanvera, perché c’è qualche testa di cazzo che non ha di meglio da fare nella vita. E mi fotografa anche quando mi vede passeggiare del tutto occasionalmente». Del tutto occasionalmente? «Evelina è un’amica. Ma qualche poverino si ostina a voler immortalare ogni mio singolo passo. Pazienza, pace all’anima sua. Lo compiango veramente, perché fa il mestiere più di merda del mondo». Lei ha gli stessi gusti del Cavaliere? «Non so assolutamente che gusti abbia Berlusconi in fatto di donne». Qualche anno fa si vociferava di una sua liaison con Veronica Lario... «Ho cercato di spiegare, come ha cercato di fare la signora Berlusconi, che era un gossip del tutto privo di fondamento. Non conosco Veronica Lario, manco l’ho mai incontrata». veronica enrico maria salerno Non fu lei a spiegare alla Lario la filosofia di Rudolf Stenier che ispirò l’educazione scolastica dei figli? «Ripeto, non sono mai stato insieme alla signora. Manco ci hanno mai presentato. Sua figlia Barbara è stata mia allieva al San Raffaele ed era molto molto brava, sveglia, attentissima e curiosa. Ha fatto due esami con me, con esito pienamente soddisfacente». Che opinione ha della signora Berlusconi? «Mi sembra una donna molto composta e riservata. Non mi è piaciuta tanto quella lettera che mandò al marito via Repubblica. Non la trovai molto di buon gusto. Se io ho qualcosa da dire a mio marito gli scrivo privatamente, non tramite un giornale». Nei giorni scorsi la Lario ha definito le candidature femminili del PdL per le Europee «ciarpame senza pudore». Ha fatto bene? « un giudizio molto ovvio. Oserei dire banale. Le candidature dovrebbero essere fondate sulla qualità, sull’esperienza, sull’affidabilità politica. Ma in Italia, purtroppo, va così. Basti vedere anche certe candidature europee del Pd...». La "signora" ha criticato in pubblico il marito perché ha partecipato alla festa di 18 anni di una ragazza a Napoli, ma «non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato». «Premesso che i panni sporchi si lavano in casa, a me pare che uno dovrebbe essere libero di andare alle feste che vuole senza subìre il rompimento di coglioni di nessuno, tanto meno dei fotografi. Che poi un premier di 70 anni e passa si faccia chiamare "papi" da una biondina di 18 anni mi pare una roba lunare. Berlusconi, sul piano del gusto, è una vera catastrofe». Il Cav, paragonandola al premier danese, mise a tema la sua bellezza. Lei si considera un uomo bello? «Non mi sono mai guardato allo specchio se non per spuntarmi la barba». Ha mai avuto una storia con una sua allieva? «Attiene alla mia sfera deontologica non avere mai nessuna storia con un’allieva». Chissà quante ci avranno provato... «Può anche darsi, ma assolutamente non corrisposte. Sul lavoro, mai». Di fronte a un’avance fa lo gnorri o risponde picche? «Neanche mi seduce l’idea, perché è talmente evidente che nel rapporto con un’allieva scattano meccanismi di plagio che bisogna starci attentissimi. E poi sono cavoli miei». Perché non si è mai sposato? «Perché ho fatto una vita che mi ha reso estremamente difficile assumere con responsabilità un impegno di questo tipo. Il matrimonio è una cosa seria. Sposarsi vuol dire vivere con una persona ed esserle fedele». Lei non è un uomo fedele? «Essere fedele non vuol dire solo non andare a scopare altrove, ma essere in relazione stretta, continua con un’altra persona, prendersene cura, seguirla, ascoltarla. Io, avendo sempre fatto 4-5 mestieri contemporaneamente, non me la sono mai sentita». Non le manca un figlio? «No». Sarà perché suo nipote no global le ha dato parecchi pensieri occupando il Mose, i Magazzini del Sale... «Tommaso può occupare quello che vuole, non mi impensierisce per niente». ASOR ROSA Fu lui a convincerla a finanziare il centro sociale Rivolta con 4.000 euro nel 2005 e 4.500 nel 2006? «No, il Comune aveva già deciso di affidare un’area ad attività ricreative per i giovani di Marghera e Mestre». Alla faccia dell’attività ricreativa: il ristorante del Rivolta si chiama "Lo sbirro morto". «Quel centro non dà fastidio a nessuno. Anzi, offre assistenza e ospitalità a persone in grave disagio. Comunque, mio nipote non c’entra niente. Tommaso è una suffragetta rispetto a me da ragazzo...». Lei cosa combinava? «Facevo politica militante». Ad esempio? «Occupai con gli operai della Montedison la stazione di Mestre». Parliamo della sua militanza in Potere operaio. «Aderii negli anni ”60, quando il movimento operaista veneto-emiliano lavorava con il sindacato. Ma lasciai Toni Negri e gli altri prima dell’inizio degli anni ”70, quando Potere operaio cambiò pelle». Che rapporto aveva con Toni Negri? «Per tutti gli anni ’60, un rapporto quotidiano. Toni Negri fu un incontro essenziale nella mia formazione: è uno dei più importanti filosofi italiani ed europei. Tra i 16 e i 18 mi fece leggere i libri fondamentali e nel ’68 fondammo una rivista: "Contropiano". Subito dopo le nostre strade si divisero e io mi iscrissi al Pci». Perché lasciò Potere operaio? «Nel ’69 lui decise di entrare nel movimento studentesco su posizioni di aperta rottura col sindacato e col Pci, che io, Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e altri consideravamo sbagliate, perché non ritenevamo che fossimo in un’epoca prerivoluzionaria, ma che si dovesse portare avanti una politica di riforme». All’epoca militava con suo fratello Paolo? «Certo. Fu lui a seguire me e si iscrisse al Pci. Ma lui ci rimase come funzionario». Massimo e Paolo, i «fratelli coltelli della Laguna». «Il nostro rapporto non è idilliaco perché c’è un dissenso politico profondo. Quando si archiviò il Pci per fondare il Pds, lui si schierò con Rifondazione».  vero che lei trascorreva il Natale con sua mamma e suo fratello il Capodanno? «Semplicemente perché io non ho mai trascorso il Capodanno in famiglia». Chi erano i suoi genitori? «Mio padre faceva il pediatra ed era tutto dedito alla sua missione. Mia madre era casalinga». Mario Tronti Che rapporto aveva con loro? «Con mio padre abbiamo parlato assai poco, per non dire niente, perché lavorava sempre. Con mia madre né io né mio fratello abbiamo avuto un rapporto semplice, essendo lei una donna molto chiusa e dal carattere difficile, perché duramente segnata dalla vita a causa della guerra e della scomparsa prematura di mio padre, morto a 50 anni. Io ne avevo 26...». A cosa giocava da bambino? «A pallone nei campielli, agli indiani, al "tacco", ai "cimboli" con i tappi della Coca Cola o saltando al "campanun"». E come si divertiva da adolescente? «Qualche festina c’era pure, ma a 13-14 anni mi sono messo a leggere». Nella sua famiglia c’erano un paio di fascisti. «Sì, il cugino di mio padre, Piero Buscaroli, e il fratello di mia madre, Cesare Momo, che aveva aderito alla Repubblica di Salò. L’orologio che porto è il suo. Fu fucilato dai partigiani durante la guerra e fu quello uno dei più grandi dolori di mia madre». Da lì deriva il suo approdo nel Pci o la sua capacità di apprezzare fin da ragazzo la cultura della destra? « un fatto prettamente culturale. Sono sempre stato attratto da Pound, Heidegger, Jünger, Schmitt...». Veltroni e D’Alema a confronto Quando approdò in Parlamento col Pci nel ’76, raccontano che Nilde Jotti perse la testa per lei. «Boh... Con la Jotti avevamo rapporti buoni, ma molto formali. Nel Pci c’era un’amicizia molto stretta con Pietro Ingrao e Giorgio Napolitano». In che rapporti era con Massimo D’Alema? «Di stima reciproca, ma non ci siamo mai stati molto simpatici». Di lui nel 2002 disse: «Ne ha fatte più di Bertoldo». Lo stima ancora così? «D’Alema è una persona di grande qualità, uno dei pochi politici che ha letto e studiato. Il suo difetto fondamentale è una presunzione che a volte lo rende miope. La sua idea di poter costruire una socialdemocrazia normale in Italia si è rivelata irrealizzabile, ma lui ha continuato a puntarci e non ha creduto mai fino in fondo nel Pd. E i suoi difetti li paghiamo». Con Veltroni che rapporto aveva? «Lui era segretario della Fgci quando io ero già deputato. C’era un rapporto di simpatia, a differenza che con D’Alema, ma non di amicizia». Che giudizio dà di lui oggi? «Ha cominciato bene al Lingotto, poi ha gestito come peggio non poteva, chiudendosi dentro i giochi delle oligarchie e non sfruttando le potenzialità locali. Ora tutto dipenderà dalle Europee». Baget Bozzo Come andranno? «Non faccio previsioni sennò D’Alema dice che sono l’uccello del malaugurio. Franceschini sta facendo una politica di movimento, speriamo dia risultati». Quando Franceschini fu eletto segretario, lei disse: « peggio il tacon del buso». «In parte ho cambiato idea, perché sta facendo l’unica politica che forse potrà salvare la baracca. A differenza di Veltroni, che aveva una buona strategia gestita male, Franceschini non ha chiara la strategia, ma la sta gestendo bene». Che giudizio dà del governo Berlusconi? «Tanti annunci. Alcuni buoni, altri meno. Percorso obbligato sull’economia dettato dall’Europa: che ci sia Tremonti o Visco è uguale. Pesta sugli enti locali come tutti i governi degli ultimi 20 anni. Ma è un governo con cui la collaborazione è certamente possibile da parte di uno come me, anche grazie all’ottimo rapporto che ho con Letta, La Russa e Scajola». Quando lasciò l’università per la politica, con gran dolore di don Verzè, gli disse: «L’ho fatto per fermare i comunisti». Lo stesso motivo che spinse Berlusconi. «Fu una battuta che feci a don Verzè per tirargli su il morale, perché lui ne fece una tragedia. Tanto poco ho fermato i comunisti che sono in giunta con me». Tra i suoi più grandi estimatori c’è un altro prete, il berlusconiano don Gianni Baget Bozzo: «Le capacità di Massimo di sedurre i preti sono infinite e credo di essere stato uno dei primi sedotti». «Anche lui mi ha sedotto, Baget è una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto». Sarà per la sua aria ascetica. Ci va ancora a fare i suoi ritiri sul Monte Athos? «Magari! E chi ha più il tempo... che da filosofo mi sono interessato molto anche di teologia». ingnazio la russa Lei è da anni in odore di conversione. Crede in Dio? «Non sono credente, ma come fa un filosofo a non porsi il problema della cosa ultima?». Lei ha detto di vedere il volto di Gesù nel bambino immigrato che muore a Lampedusa, ha difeso Benedetto XVI contro i docenti della Sapienza, è stato uno dei più duri fustigatori di Adel Smith, l’imam nemico del crocifisso. Dà l’idea di essere ossessionato da Cristo. «Gesù è sicuramente la figura storica che più mi colpisce. La sua straordinarietà non ha comparazione con altre testimonianze in altre religioni. Quello che dice Gesù è qualcosa di divino, anche per me». Lei è tra i fondatori del Pd, ma è sempre stato il suo più grande critico. Ambizioni represse? «No, è che non è il partito che avevo in mente io: davvero federale, con una grande presenza al Nord e organizzato su battaglie tematiche». Lei è passato per tutti i partiti del centrosinistra bastonando i capi. Perché ha questo istinto leadericida? «Sarà un vizio degli intellettuali. Io svolgo un lavoro critico, ma la mia è una critica che si basa su proposte che non vedo realizzate. Poi le cose vanno sempre esattamente come avevo previsto». Si è spesso parlato di lei come possibile leader della nuova sinistra, nei sondaggi era sempre contrapposto a D’Alema e Veltroni. Perché non è arrivato al vertice? «Perché sono fatto così. Dopo un po’ mi rompo le palle. Un leader deve essere armato di tanta pazienza e deve avere volontà di potenza. A me il potere fa ridere. Non ho proprio vocazione politica. Potrei essere un buon consulente per un leader, oppure fare il servo».