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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

IL QUARTO CAPITALISMO ALLA SFIDA D’OLTREOCEANO


"Se vogliamo fissare una data di inizio del fenomeno – spiega uno dei migliori banchieri d´affari di Milano – possiamo parlare di inizio gennaio".
Il fenomeno è quello di medie aziende italiane che vanno dal loro consulente di fiducia con una richiesta precisa: scovare un´aziendina americana da portare a casa con pochi soldi.
Varie fonti bancarie confermano che il fenomeno comincia a prendere piede. E, aggiungono, non è nemmeno difficile capire perché. La prima spiegazione che viene fornita è che verso gennaio si è capito che il mondo non sarebbe finito, che la Grande Depressione non ci sarebbe stata, e che nel giro di qualche mese la ripresa, forte o discreta, sarebbe arrivata. Ma non solo. Già a gennaio, sulla base di moltissime proiezioni, si era anche capita un´altra cosa fondamentale: la ripresa sarebbe arrivata prima in America e solo più tardi in Europa. Quella americana, inoltre, sarebbe stata più forte e più intensa.
«A questo punto – commenta un consulente d´affari – comprarsi un´aziendina in America significa, di fatto, prenotarsi un posto in prima fila per l´arrivo della ripresa. E questo molti medi imprenditori italiani lo hanno capito subito. Mentre sui giornali e nelle sedi politiche si facevano grandi dibattiti sull´entità della crisi, lungo l´asse Milano-Venezia si stava studiando la strada migliore per arrivare in America, per sedersi là dove succederanno tante cose».
E in effetti, mano a mano che si va avanti, si vede che quel calcolo non era affatto sbagliato. Ormai è abbastanza chiaro che la ripresa italiana e quella europea saranno fenomeni quasi di sopravvivenza, cioè appena sufficienti per non collassare. In America, e in Asia, le cose dovrebbero muoversi invece un po´ più in fretta. Contro un´Europa che non andrà più su del 2 per cento all´anno, e contro un´Italia che starà sotto l´1,5 per cento, avremo il 7-8 per cento (o anche di più) in Estremo Oriente e un buon 3 per cento negli Stati Uniti.
Come si vede, la lotteria si vince su quei mercati più che in Europa. Però su quei mercati bisogna esserci, e non è affatto facile. Soprattutto se magari si parte da Treviso o da Bergamo.
«Qui arriva una considerazione interessante – spiega un banchiere d´affari – sulla quale finora avevamo fermato poco la nostra attenzione. Le aziende italiane e europee sono un po´ più conservatrici di quelle americane, meno avventurose, meno proiettate in avanti. Ma proprio per questo sono anche meno indebitate di quelle americane».
In termini più chiari negli Stati Uniti ci sarebbero moltissime aziende medie (meccanica, alimentari e hi-tech) che hanno picchiato male sulla crisi perché ci sono arrivate coperte da debiti che si sono rivelati quasi mortali nell´impatto con la stretta del credito operata dalle banche. Molte di queste – si dice – sarebbero con l´acqua alla gola. Si usa il condizionale perché si tratta di imprese magari con 500-600-1000 dipendenti, e quindi fuori dai grandi circuiti finanziari e i cui dossier non si trovano presso le banche d´affari (che peraltro in questi mesi hanno avuto ben altro di cui occuparsi).
Però, si ritiene che esistano. E si pensa che possano venire via per pochi soldi. In qualche caso addirittura per niente. Basta rilevare impianti e dipendenti. Ma non sono pessimi affari?
«No – spiega un consulente aziendale – perché queste imprese, di solito, dispongono di buona tecnologia, di buoni marchi e anche di buone quote di mercato negli Stati Uniti e all´estero. E quindi chi le compra, di fatto compra un mercato, e si piazza in modo strategico per la ripresa».
Per di più, si può aggiungere, si trova a lavorare sul mercato americano con un´etichetta già nota e che risulta familiare al pubblico di quel paese. In molti casi, poi, dentro l´azienda "made in Usa" si trova anche un po´ di tecnologia migliore di quella che abbiamo noi. E questa cosa non va trascurata perché è destinata a crescere. La nuova presidenza è molto interessata a far crescere un´area innovativa, ad esempio nel settore dell´energia. E non mancheranno i finanziamenti. Chi si troverà, quindi, in America dentro a un´impresa americana, è probabile che venga trascinato in avanti da una corrente di innovazioni molto importante e che, poi, dagli Stati Uniti dilagherà nel resto del mondo.
Non solo da quelle parti la ripresa arriverà prima e sarà più forte, ma quasi certamente avrà al suo interno anche tanta "nuova" tecnologia. Niente di paragonabile alla "new economy", probabilmente, ma il fenomeno potrebbe essere anche molto simile. «La cosa buffa – spiega un banchiere d´affari – è che quando riusciamo a individuare una di queste aziende e chiediamo notizie, il più delle volte scopriamo che sono girà arrivate (con il nostro stesso progetto) medie aziende francesi e tedesche. Di fatto c´è una sorta di onda che porta queste imprese al di là dell´Atlantico. Siamo di fronte a tanti casi Fiat-Chrysler, ma molto più piccoli e ignoti quindi al grande pubblico e al mondo della finanza».
E un po´ tutti quelli che si stanno occupando di questa "emigrazione" imprenditoriale spiegano un´altra cosa. A causa della crisi di questi mesi l´America si trova a avere serissimi problemi di occupazione e la Casa Bianca è inevitabile che finisca con il favorire chi fa le cose in America piuttosto che chi sbarca prodotti da una nave container e poi cerca di venderli su quel mercato. E questa, se si vuole, è un´altra ragione strategica per avere una media impresa americana. D´altra parte, a suo tempo la Beretta vinse un gara per una quantità enorme di pistole all´esercito americano non solo per la bontà del prodotto, ma anche perché disponeva di un´azienda Usa, localizzata là da tempo e operativa. Lo schema che oggi si cerca di seguire è appunto quello: avere una base produttiva negli Stati Uniti per poter partecipare a quella che molti già intravedono come una sorta di grande festa: buona ripresa più buona ricerca tecnologica (da rivendere poi anche in Europa).
Infine, c´è ancora un elemento che non va sottovalutato. Oggi l´euro è forte rispetto al dollaro e, secondo le previsioni, lo sarà ancora di più in futuro. In queste condizioni comprare in America (per un´azienda che ha i suoi conti nella valuta europea) può essere molto vantaggioso. Con questo cambio dollaro-euro è un po´ complicato vendere prodotti italiani e europei negli Stati Uniti, ma lo stesso cambio si trasforma in un vantaggio se bisogna comperare azioni.
Insomma, se molti anni fa le aziende americane erano partite alla conquista di quelle europee, cogliendo grossi risultati, oggi ci sono tutte le condizioni per fare il percorso inverso. E la Casa Bianca non è affatto contraria all´arrivo delle imprese europee e italiane se questo sbarco serve a risolvere un po´ di guai e a mantenere posti di lavoro. Solo così, ad esempio, si spiega il favore con cui Obama ha salutato l´avvio dell´operazione Fiat-Chrysler.
L´invasione europea, a parte l´operazione Torino-Detroit, è guidata, curiosamente, dalle medie imprese italiane (e europee) perché oggi di questo disponiamo. Non abbiamo certo i mezzi per andarci a prendere la Ibm o la Microsoft, ma qualche buona aziendina di motorini elettrici o di congegni indispensabili per la produzione di energie rinnovabili, ce la possiamo permettere. E è esattamente quello che sta avvenendo.
D´altra parte, qualcosa del genere si era già visto mesi fa nel settore dei lettori dei codici a barre o dei freni per auto. Si tratta, in gran parte, di imprese di nicchia, ma questo è appunto dove noi siamo forti e dove disponiamo di qualche buon imprenditore coraggioso e da tempo proiettato su scala non più nazionale. Insomma, le nostre "multinazionali tascabili", che fino a ieri avevamo guardato soprattutto a Est e nei paesi dell´ex-Urss, adesso stanno cambiando rotta e fanno vela verso gli Stati Uniti. La corsa è appena cominciata e non si sa come finirà. Ma intanto le navi sono in mare i nostri capitani coraggiosi sono al timone.