Marco Del Corona, Corriere economia 4/5/2009, 4 maggio 2009
VIA ALLA CORSA SU PECHINO
Le immagini della Detroit spolpata dalla crisi, le strade desolate e le fabbriche di automobili in apnea, i quartieri operai senza vita e le erbacce sui marciapiedi, sono arrivate anche in Cina. Sono state osservate con un po’ di «Schadenfreude », all’inizio, con il piacere di vedere la superpotenza affannata. Ma poi quei fotogrammi restituiti da giornali e tv si sono rivelati, anche nelle stanze che contano, le immagini di un vuoto. Un vuoto che le industrie automobilistiche cinesi sono ansiose di provare a riempire. Se sul mercato globale arretra l’armata dei colossi americani – e giapponesi, e coreani, e tedeschi – allora c’è terreno da conquistare, e anche i parvenu , i produttori della Repubblica Popolare, hanno davanti a loro una stagione promettente.
Il salone di Shanghai di due settimane fa ha sancito il cambio di vento. I dati diffusi durante l’evento hanno confermato che il mercato dell’auto in Cina è in pratica il solo in crescita e ha superato quello americano. Una rivoluzione. Nel primo trimestre del 2009 le vendite di auto sono aumentate del 3,8% sullo stesso periodo dell’anno scorso. Le previsioni sull’annata in corso sono che il mercato potrà assorbire 10 milioni 200 mila veicoli, contro i 9.380.00 del 2008 e i quasi 8.800.000 del 2007. Se le proiezioni saranno rispettate, l’incremento toccherà il 9%. E le analisi del mercato indicano che, addirittura, il settore del lusso potrebbe crescere del doppio rispetto al mercato nel suo complesso. Sempre per restare tra gli scenari, di questo passo il giro di auto vendute in Cina dovrebbe sopravanzare di un milione la realtà americana.
Parte della tenuta delle vendite in Cina è merito della mano pubblica, attraverso le misure di stimolo del governo varate in autunno per contrastare la crisi e rilanciare il mercato interno.
Non solo per il ricco menu di infrastrutture e grandi opere, che includono l’ampliamento della rete stradale e autostradale. Il consiglio di Stato ha messo a disposizione l’equivalente di oltre 730 milioni di dollari per incentivare nelle campagne l’acquisto di utilitarie e mezzi agricoli, ha lanciato sgravi fiscali per chi compra macchine di bassa cilindrata e ha stanziato altri 220 milioni di dollari per sostenere tecnologie eco-compatibili.
Ciò che resta da vedere è se e come i produttori cinesi potranno approfittare davvero su scala globale dell’arretramento dei grandi marchi.
Per il momento, entro i confini della Repubblica Popolare le quote di mercato più significative sono in mano a blasonati produttori stranieri, in joint-venture con aziende di Stato: nel primo bimestre la fetta di vendite più importante (13,1%, per 130.710 veicoli) è della Volkswagen, seguono Hyundai (7,6%), Toyota (7,1%), Honda (7%) e, quinta, Nissan (5,9%). Capofila delle case cinesi è la Chery, sesta col 5,6%, ma quinta tra i produttori. «Le ditte cinesi – ha sostenuto Michael Robinet, analista per la società di consulenze americana Csm Worldwide – sapevano da tempo che, al di là delle fruttuose collaborazioni con aziende globali per capire come progettare e costruire una macchina, la chiave per il successo all’estero sarebbe stata una tecnologia aggiornatissima, attraverso fornitori di componentistica occidentali».
Secondo Rubinet, «due o tre case cinesi avranno successo su scala globale entro la metà del prossimo decennio ». Tra i 20 produttori cinesi più forti, il governo ha già selezionato i 10 prescelti per dare l’assalto ai mercati stranieri. Territorio sconosciuto. Che, ancora, si combina con gli appetiti dei capitali di Pechino per le aziende europee e americane, ma non solo loro. In marzo, per rendere l’idea, durante i lavori della sessione annuale dell’Assemblea nazionale del popolo (il parlamento) aveva tenuto banco l’interesse di Changan, Chery e Dongfeng per la Volvo, e Li Shufu, presidente di un’altra azienda automobilistica, Geely, e membro dell’Assemblea consultiva, aveva ammesso la «viva attenzione » per la storica casa svedese e la «strategia delle collaborazioni » scelta come stella polare.
una partita aperta e piena di incognite, in trasferta.
Le case cinesi in patria possono godere di un regime in cui le forme del lavoro, nonostante le recenti leggi, comprimono i diritti dei dipendenti, almeno più che in molti Paesi dell’Occidente (e dell’Oriente, se si pensa alla resistenza dei sudcoreani di fronte all’ipotesi di ristrutturazione avanzata dalla cinese Saic dopo l’acquisizione di quasi metà di Sangyong). E c’è anche la questione degli adempimenti tecnico-normativi per rientrare nei requisiti che l’Unione Europea esige, il cui esito non è scontato. Quel che è certo, per ora, è che le auto in Cina si vendono, e bene, e che Detroit, con le foto del suo declino, resta molto lontana.