Lorenzo Cremonesi, Corriere della sera 4/5/2009, 4 maggio 2009
BAGDAD RITROVA LA VITA NORMALE LOCALI APERTI, FOLLA PER LE STRADA
Non occorre molto per cogliere un cambiamento fondamentale, specie se si manca dal Paese da qualche tempo. E’ evidente: soldati e poliziotti di pattuglia per le strade non hanno più paura. Non si coprono il volto con kefiah o passamontagna come ancora usavano fare in massa solo un anno fa per evitare di essere riconosciuti e uccisi dalle milizie sciite o sunnite. Ora se ne stanno ai posti di blocco, chiedono i documenti, mostrano il viso con la sicurezza dell’autorità cosciente di controllare il territorio. Gli iracheni ormai ci sono abituati, circa un milione di uomini delle loro nuove forze di sicurezza, tra agenti e soldati, sono massicciamente dispiegati in tutto il Paese. A Bagdad li incontri ogni poche centinaia di metri. Sui circa 400 chilometri per Erbil abbiamo contato almeno una trentina di check post fissi, oltre a decine e decine di pattuglie mobili.
Sessanta giorni
Ma questo è soltanto uno tra i più palesi mutamenti a oltre sei anni dalla guerra e a meno di 60 giorni dall’attuazione del piano di ritiro militare americano dalle città, in vista dell’evacuazione generale prevista per la fine del 2011. I soldati Usa non ci sono già quasi più. Persino gli accessi alla «zona verde», nel cuore protetto della capitale dove restano acquartierati gli stranieri, risultano quasi totalmente sorvegliati da soldati iracheni. E sono praticamente spariti i convogli di contractors occidentali. Una sorpresa ancora più grande è però la scoperta della rinata vita notturna a Bagdad. Luci dove prima c’era il buio, grazie ai nuovi lampioni alimentati da pannelli solari. E soprattutto traffico, locali aperti, folla per le vie. Occorre tornare alle memorie degli ultimi mesi del regime di Saddam Hussein per ritrovare immagini simili. Alla guerra seguì, tra il 2004 e il 2007, il periodo della grande paura: la capitale si rintanava in casa già prima delle quattro del pomeriggio, spaventata, dolente, arresa al terrorismo qaedista, al disgregarsi della società civile nella criminalità diffusa, ai fondamentalisti sciiti.
Danza del ventre
Adesso Karrada e Arrasat, le due arterie più chic, sono frequentate sin ben dopo la mezzanotte. Da fine gennaio sono cresciuti tra gli altri i night club che accompagnano alla cena la danza del ventre. La prostituzione è in crescita. Allo Qamar al Zaman (La luna del tempo) una settimana fa quasi ottanta clienti, tutti rigorosamente uomini, all’una di notte bevevano a suon di musica assordante birra e whisky infilando manciate di banconote, equivalenti ciascuna a circa centinaia di euro, nei corpetti attillati di nove flessuose ballerine scalze meno che ventenni. Fuori le guardie del corpo armate sorvegliavano decine di Mercedes e Suv giapponesi nuovi fiammanti. Ha riaperto Finjan, uno dei ristoranti una volta più frequentati dalla Bagdad benestante.
E così funziona anche a pieno ritmo lo Alalwiyah, il club affacciato su Furdus Square fondato dalla esploratrice-orientalista britannica Gertrude Bell nel 1924. «Da gennaio sono tornati molti dei nostri soci che costituivano la classe dirigente baathista. Nel 2002 gli iscritti erano quasi 30.000. Ora ne ho visti almeno 2.000. Chi può tiene le famiglie ancora in Siria o Giordania», sostiene il direttore Kadim al-Mukdadi (54 anni), che da buon sunnita non fa che prendersela con gli iraniani. «Le bombe arrivano da Teheran. Il nostro problema è che stiamo ancora pagando sulla nostra terra le conseguenze del braccio di ferro violento tra Usa e Iran».
Senza scorta
Ancora nel 2007 sarebbe stato quasi impensabile per un giornalista straniero girare senza scorta per la città e sulle grandi arterie provinciali. La prova più cruda della diminuzione esponenziale della violenze si trova agli obitori. Il pomeriggio del 29 aprile abbiamo visto quelli dei due ospedali maggiori, Yarmuk e Al Kindi, oltre che quello centrale di Hallage. In tutto abbiamo contato 17 cadaveri, di cui 5 per incidenti d’auto, 4 fulminati sul lavoro e alcuni anziani deceduti per cause naturali.
Solo un corpo era colpito da proiettili. «E’ un giovane ucciso per una lite tribale. Due anni fa, quando i decessi mensili nel Paese superavano quota 3.000, avremmo potuto ricevere quotidianamente sino a 70 morti solo per gli attentati. Ora è infinitamente meglio», ci ha detto Abdel Hussein Anbari, responsabile allo Al Kindi. Gli agenti delle milizie li sorvegliano in disparte, gestiscono i funerali. Anche l’economia migliora. Non ci sono più code ai distributori. L’Iraq estrae al momento quasi 2,5 milioni di barili di greggio al giorno. I mercati appaiono ben forniti. Gli stipendi medi mensili si aggirano sui 350 euro. Un poliziotto di prima nomina ne guadagna circa 550, quasi come un medico neo-laureato e assunto nelle strutture pubbliche. L’energia elettrica sfiora le 20 ore quotidiane, il doppio degli ultimi tempi del regime di Saddam. Il cauto ottimismo che si va diffondendo nella capitale esplode nel mercato immobiliare. I prezzi delle ville nei quartieri alti come Gasiliah sono lievitati in un anno da circa 450 euro il metro quadro a 800. Le superstrade per il sud e il nord sono tutte transitabili e per lo più sicure, almeno di giorno. Hanno riaperto le rivendite di alcoolici.
Birre straniere
«Nella primavera 2006 avevamo praticamente tutti chiuso. Io stesso ero stato oggetto di una paio di attentati. Ma dall’ottobre 2008 ci siamo sentiti più protetti e abbiamo ripreso », dichiara tra i tanti Salam Habib (70 anni), proprietario dello Al Haman (Piccioni) specializzato in birre straniere e whisky pregiati. Muthanabbi, la via dei librai e dei caffè più antichi, devastata da un’autobomba che uccise una ventina di persone il 5 marzo 2007, è stata totalmente ricostruita. Quasi lo stesso vale per il Museo Archeologico. Saccheggiato nelle settimane seguenti l’arrivo degli americani, il 9 aprile 2003, al momento ha rimesso in funzione 8 delle sue 24 sale, anche grazie all’aiuto fornito dall’Italia. Il pubblico iracheno però non può ancora veramente accedervi, se non con speciale autorizzazione. «Ancora temiamo i ladri. Anche il famoso tesoro di Nimrud, con i suoi manufatti d’oro antichi quattro millenni, resta nei forzieri della Banca Centrale. Qui abbiamo solo le foto», confessa il direttore del dipartimento scavi archeologici, Qais Hussein Rasheed.
Al Teatro Nazionale sono programmati due festival e diversi spettacoli, alcuni anche di satira politica. Nella grande hall in marmo grigio si tiene un’esposizione di quadri di artisti che furono perseguitati dalla polizia di Saddam. «Tra le tante accuse che faccio agli americani per gli errori commessi nel dopoguerra c’è quella di aver fatto dimenticare al mondo i crimini baathisti nel carcere di Abu Ghraib», protesta mostrando i suoi dipinti di sofferenza un militante comunista, Mohammed Naji Bagdfhdad. «Vi morirono decine di migliaia di persone. Molte torturate. Però non c’erano video e giornalisti a raccontarlo. E adesso si ricordano solo gli abusi americani, che furono infinitamente meno gravi».