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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

ORA DI PIETRO CANDIDA LA DONNA CHE LO DENUNCIO’


Che c’azzecca Antonio Di Pietro con l’omicidio del giornalista Beppe Alfano assassinato da Cosa nostra nel 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto? Ovviamente, nulla. Eppure c’è da chiedersi perché, in una memoria di 75 pagine presentata il 2 aprile 2004 alla Dda di Messina dalla figlia del collaboratore del quotidiano La Sicilia, Sonia Alfano - oggi candidata di punta in tutte e cinque le circoscrizioni nel partito di Tonino - si tiri in ballo proprio l’attuale leader dell’Italia dei valori. E lo si fa accostando il nome dell’ex magistrato molisano a un giro di presunte coperture istituzionali e giudiziarie di cui avrebbero goduto personaggi mafiosi e paramafiosi, come Rosario Cattafi, il cui nome venne alla ribalta con la nota inchiesta sull’Autoparco di Milano, poi con una doppia storia di traffico d’armi, e infine con la divulgazione del cosiddetto «memoriale Cerciello» redatto dal generale della Guardia di finanza, grande accusatore dell’ex pm ai tempi di Mani pulite.

I riferimenti a Cattafi crearono qualche grattacapo a Tonino nel giugno del ”95 quando si sparse la notizia (poi risultata infondata) di una sua iscrizione sul registro degli indagati della procura di Reggio Calabria per aver rallentato, insieme al magistrato Giorgianni, alcune indagini su un traffico d’armi che riguardavano proprio questo Cattafi. Veleni, anonimi e corvi fecero da sfondo alle denunce dell’avvocato Carlo Taormina, difensore del generale Cerciello, che chiese alla procura di Brescia di ascoltare Di Pietro in merito ai suoi rapporti con Cattafi. Non se ne fece nulla. Di Pietro annunciò, e inoltrò, querele. La cosa morì lì. Adesso dai cassetti esce questa memoria nella quale l’attuale candidata dell’Idv, nel 2004, chiese alla procura di Messina di fare luce su una serie di indiscrezioni stampa che parlavano di Cattafi e anche di Tonino.

Ma andiamo per gradi. L’8 gennaio del ”93 Beppe Alfano viene ucciso nella sua auto da sicari di Cosa nostra. Per l’omicidio finiscono condannati, quale mandante, il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti, e come killer, Antonino Merlino. Le indagini sono affidate al pm Olindo Canali, magistrato per bene trapiantato in Sicilia dalla Brianza, una toga considerata molto vicina al giornalista ammazzato al punto da essere considerato suo confidente, e soprattutto suo amico. La famiglia Alfano continua a intrattenere buonissimi rapporti col pm almeno fino all’anno 2001, quando Sonia Alfano non decide di cambiare strategia e di affidarsi al battagliero avvocato Fabio Repici. Da quel momento, nonostante le condanne incassate al processo per la morte del papà, la giovane Alfano comincia a sostenere che l’inchiesta presenta evidenti lacune, che non si è toccato il terzo livello, che vi sarebbero stati depistaggi istituzionali. Da parte dei carabinieri, che avrebbero chiuso un occhio sulla presenza in zona del latitante capomafia catanese Benedetto ”Nitto” Santapaola. Da parte, soprattutto, del pm non più amico di famiglia, Olindo Canali, ”eterodiretto” dal defunto magistrato Francesco Di Maggio, un tempo magistrato inquirente a Milano, per anni trapiantato proprio a Barcellona Pozzo di Gotto.

Secondo le ricostruzioni giornalistiche (e difensive) riprese e rilanciate nel 2004 da Sonia Alfano, il giudice Di Maggio avrebbe intrecciato rapporti proprio con il noto Rosario Cattafi. Nell’ambito del procedimento poi avviato presso la Dda di Messina (numero 2886/02) utilizzando, e facendo proprie, con forma retorica, le considerazioni espresse il 2 marzo 1998 dal settimanale locale Centonove, Sonia Alfano richiamava l’attenzione della procura di Messina sui rapporti tra il mafioso Cattafi e Antonio Di Pietro, e tra quest’ultimo e tale Francesco Molino, altro mafioso barcellonese.