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 2009  maggio 05 Martedì calendario

PECCATO, L’OSPEDALE DI DR HOUSE ESISTE SOLO IN TV


Cento di questi House. Anzi di questi episodi. Il 2 febbraio negli Usa, l’11 di giugno su Joi, e qualche settimana prima al Telefilm Festival di Milano (7-10 maggio) dove verrà proiettato in anteprima per l’Italia, la serie Dr. House M.D. tocca quota 100. Titolo dell’episodio, il 14° della stagione 5, The Greater Good, storia di straordinaria lotta contro la malattia - un ex medico che ha lasciato la professione per realizzare il suo sogno, diventare cuoco, e che improvvisamente diventa un paziente a rischio. Una puntata nella norma, quindi. E nella vita di Hugh Laurie, il flemmatico attore inglese che lo interpreta, cosa è cambiato, a questo punto?
Radici
«Finalmente mi sono comprato una casa a Los Angeles. Non ho messo radici nella terra, piuttosto in qualcosa di simile a un vaso da fiori. La mia famiglia continua a vivere a Londra. Ma House ha bisogno di stabilità. All’inizio, per una semplice questione statistica su come vanno in genere le cose in tv, non ci credevo. Ma invece, eccoci qui».
Paure
«Divento sospettoso quando le cose vanno troppo bene. una specie di superstizione. Non rifiuto il successo. Ma, onestamente, appena mi sembra di avere raggiunto quello per cui ho lottato nella vita, preferisco dubitare. Non perché sono lunatico o depresso. Anzi lo sono molto meno che in passato».
Io & House
«Tutti e due guardiamo il mondo con il sopracciglio inarcato. Siamo due eterni adolescenti, cosa che ammorbidisce la nostra serietà di fondo».
Lo humour
«Penso che House abbia un carattere buffo. Gli piacciono i giochi di parole. Sia io che lui crediamo nel potere dell’ironia. In un mondo dove tutto è morte e miseria, in cui il destino è spesso crudele, l’umorismo è il solo modo significativo per sentirsi vivo, di reagire».
Ipocondriaco
«Anche se la serie ti fa capire da quante malattie gravi e devastanti siamo circondati, non sono diventato ipocondriaco. Finora, e tocco legno, sono stato estremamente fortunato».
Realismo
«Non abbiamo quasi mai a che fare con problemi comuni nelle nostre storie, ci muoviamo nel campo della fantasia più che della realtà. Facciamo milioni di errori, portiamo alla salute in 42 minuti casi che non si risolverebbero in 8 mesi. E nessun medico potrebbe mai effettuare tante procedure quanto noi. Ma è uno show. E poi ci sono i costi: nessuno si è mai posto il problema di chi sostiene i costi delle indagini mediche di House?»
Chi paga?
«Io vengo dall’Inghilterra, dove esiste un sistema sanitario (statale) completamente diverso da quello americano, che è a pagamento. E invece, in House, il problema delle assicurazioni sanitarie non viene quasi mai affrontato. Ma la questione resta: chi paga tutte quelle cure? Davvero tutta quella gente ha un’assicurazione che copre ogni procedura? Farsi curare da House non è poco caro. Solo in tv penso possa accadere di trovarsi di fronte a questa specie di pozzo senza fondo di risorse a disposizione del paziente».
Mio padre
«Mio padre era medico. E mi pare davvero tanto strano che per fare il suo lavoro per finta io guadagni quanto a lui non è accaduto in tutta una vita. Era un uomo cortese, gentile, per niente arrogante. Molto inglese. Riservato. Ricordo l’imbarazzo che provò quando gli dedicai il mio romanzo The Gun Seller. Sarebbe inorridito a doversi comportare anche solo occasionalmente come House. Tuttavia penso che non gli sarebbe dispiaciuto vedermelo interpretare».
Epilogo
«Spero che l’ultima puntata veda un House felice, insieme a uno spirito affine. Ma ho una mia teoria circa i personaggi della tv: non crescono e non cambiano. Quindi è più facile che House continui a essere separato dalla felicità fino alla fine».