Gian Antonio Orighi, La stampa 5/5/2009, 5 maggio 2009
UN TYCOON ITALIANO ALLA GUIDA DI PANAMA
Buona la seconda. A cinque anni dal suo primo debutto nell’arena elettorale, quando aveva riscosso un misero 5 per cento, l’oriundo italiano Ricardo Martinelli, leader del cartello conservatore Alianza por el Cambio (Ac) e principale imprenditore di Panama, ha stravinto le elezioni presidenziali dell’altro ieri con più del 60 per cento dei voti, contro il 36 per cento del progressista e governante Partido Revolucionario Democrático (Prd). Un trionfo superiore persino ai sondaggi, che già gli davano 16 punti di vantaggio. «Martinelli stravince», sintetizzava ieri «La Prensa», il principale giornale del Paese centroamericano, che conta poco più di tre milioni di abitanti.
Il neo-eletto entrerà in carica il prossimo 1 luglio. Sposato e padre di 3 figli, cattolico, 57 anni, il primo discendente di immigrati del Belpaese a raggiungere la stanza dei bottoni nel Cono Sud ha festeggiato a suo modo, intonando a pieni polmoni, davanti ai fan che lo acclamavano, la popolare canzone «El Rey». Sempre in maglietta, vulcanico, con una pancia nemica delle palestre, e i capelli bianchi spettinati che cominciano a diradarsi, Martinelli ha promesso: «Ci sarà più lavoro e più equità, più sicurezza e finalmente un metrò nella capitale», sconvolta dal traffico e dove vive un terzo della popolazione: costo previsto 900 milioni di dollari.
Il magnate, padrone di una serie infinita di aziende, tra cui la più importante catena di supermercati, direttore di due tv e di una banca, si è pagato di tasca sua la campagna elettorale ed i dilaganti spot. Il Prd l’aveva ribattezzato il «Berlusconi di Panamá». Ma questo populista e conservatore doc (patrimonio stimato in 400 milioni di dollari) che odia Chávez e i fratelli Castro, amico di Washington, e che ha promesso mari e monti in un Paese ribattezzato il «dragón centro-americano», che anche quest’anno dovrebbe crescere di oltre il tre per cento. Il drago però comincia a perdere qualche colpo nel mezzo della crisi finanziaria mondiale e il 41 per cento della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà.
Nato nella capitale, liceo negli Usa, dove poi si è laureato in amministrazione di impresa con master in marketing, Martinelli si è costruito un impero da solo. Il Paperone è stato anche ministro del Canale dal 1999, quando gli Stati Uniti hanno restituito la proprietà della via tra l’Atlantico e il Pacifico ai panamensi, al 2004: un incarico strategico perché il Canale è l’industria più importante del Paese. Ed è stato anche tra i propulsori del suo raddoppio, un investimento di 5 miliardi di dollari che dovrà culminare proprio lui nel 2014.
Comunicatore nato (il suo slogan: «Tu mi dai il voto, io ti dò il cambiamento»), estroverso, il miliardario ha promesso più investimenti esteri, una pensione di 100 dollari agli anziani oltre i 75 anni, case popolari. E, soprattutto, ha convinto le classi popolari che lui era il modello. Predicava nella campagna elettorale in cui ha percorso letteralmente il Paese, apparendo davanti alle telecamere persino tagliando banane insieme ai contadini. «L’imprenditore è una persona che sa fare tutto - spiegava -. Il politico è una persona che fa una sola cosa alla volta: o parla o cammina, o pensa o rutta. Io sono la novità». La sinistra? «Vende sogni d’oppio».
Nel 1990 Martinelli ha fondato il suo partito, Cambio democratíco, perno di Ac. E dal 2004 è entrato in campagna, aiutato anche dalla moglie, presidentessa della Fundación Ricardo Martinelli, che ha distribuito a man bassa borse di studio agli studenti poveri. Gli avversari lo chiamavano «El Loco» (il pazzo) per una sua presunta malattia psichiatrica che curerebbe con pillole. «Noi pazzi siamo maggioranza», gongolava domenica notte, dopo che le urne gli hanno dato ragione.
Il magnate che guiderà uno dei più fiorenti paradisi fiscali del mondo giura di lottare contro corruzione e criminalità. E tuona: «Me ne frego di essere definito di destra. Il mio obbiettivo è risolvere gli annosi problemi del Paese mai risolti dai politici tradizionali, che ci hanno lasciato miseria e fame».
José Antonio Urritikoitxea Bengochea, 58 anni, capo politico dei terroristi baschi dell’Eta e ricercato per strage dal 2002, si nasconderebbe dal giugno 2007 in un paesino di 10 mila abitanti in provincia di Pordenone. Lo assicura il settimanale conservatore madrileno poca, secondo cui l’intelligence di Madrid lo controlla e non lo fa arrestare perchè Ternera, «falco» favorevole all’ultima tregua rotta poi 2 anni fa, è un asso nella manica che il governo Zapatero vuole preservare per ipotetici futuri negoziati.