Marco Damilano, L’Espresso, 7 maggio 2009, 7 maggio 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 7 MAGGIO 2009
Compagno Tonino Di Pietro raccoglie molti consensi trasversali, soprattutto tra i delusi del Pd. Con un partito che vuole duro e puro. Stile Berlinguer. E così punta a raddoppiare i voti
All’ultimo esecutivo del partito prima dell’inizio della campagna elettorale qualcuno, vincendo la timidezza, ha osato dare voce al dubbio di tanti: "Ma non è che con tutte queste candidature ci stiamo sbilanciando un po’ troppo a sinistra?". Antonio Di Pietro si è fermato un istante a riflettere, una rarità, poi finalmente ha risposto: "Un elettore mi ha detto: ’Lei è sempre stato comunista e non lo sapeva’. Io ho risposto: se è così, non mi dispiace".
Operai, intellettuali, magistrati, giornalisti, donne e giovani, insegnanti. Domanda: quale partito nella Prima Repubblica si presentava alle elezioni riempendo le sue liste di candidature capaci di parlare a questi mondi? Il glorioso Pci, certo. Quello di cui Pier Paolo Pasolini scriveva: "Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto...". Era il 1975, per la campagna elettorale il partito di Enrico Berlinguer aveva scelto uno slogan destinato a una certa fortuna: ’Abbiamo le mani pulite’. Oggi, elezioni europee 2009, a sfogliare l’elenco dei candidati, si direbbe che il suo posto sia stato preso da Italia dei Valori. Sindacalisti come Maurizio Zipponi, ex leader Fiom-Cgil ed ex deputato di Rifondazione. Intellettuali raffinati come Gianni Vattimo, Giorgio Pressburger e Luisa Capelli, editrice della Meltemi. Magistrati come Luigi De Magistris. In più, un leader che decide, centralismo democratico rivisto e corretto. E pazienza se vedere nel ruolo che fu di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer un ex pubblico ministero legge e ordine con fama di destra e pure sgrammaticato farà inorridire qualche erede del Pci.
Il dipietrismo è il fenomeno in crescita di questa campagna elettorale e pesca nei tradizionali ambienti di sinistra. Nelle fabbriche e nelle scuole. "Gli operai sanno che Di Pietro non è dei ’nostri’, ma lo votano lo stesso", racconta Zipponi, a caccia di voti davanti ai cancelli del Nord. E la settimana scorsa Di Pietro si è presentato al convegno sulla scuola dei duri dell’Unicobas. Tonino versione leninista non si tira indietro. "In tanti si lamentano: siamo delusi, la sinistra si è incravattata, si è messa il vestito della festa. è diventata salottiera. Poi aggiungono: Di Pietro, mannaggia, devo votare a te!". E attacca: "D’Alema sta in barca, io sono in campagna elettorale già da mesi". La rivoluzione non è un pranzo di gala, e neppure una regata. "Populista? Il Pci aveva il monopolio del populismo, non è un aggettivo repellente. La verità è che Di Pietro è molto più vicino a ’l’elettrificazione più i soviet’ di tanti che ostentano la falce e il martello", osserva il professor Vattimo, candidato al Parlamento europeo. Il maestro del pensiero debole non si scandalizza di andare a braccetto con il celodurista di Tangentopoli. "Nessun problema: oggi è di sinistra chi si oppone a Berlusconi. E Di Pietro è l’unico che lo fa".
I sondaggi danno Italia dei Valori al raddoppio rispetto al risultato delle elezioni politiche di un anno fa, 4,3 per cento e un milione e 593.532 elettori. L’ultimo, arrivato sul tavolo di Di Pietro il 28 aprile e curato da Ipr Marketing, dà Idv al 9,3, con percentuali sopra il 10 per cento nelle Isole, al Sud e nella circoscrizione Nord-Est (Veneto e Emilia). Un pericoloso concorrente elettorale non solo a sinistra, a giudicare dagli attacchi e insulti che riceve quotidianamente da tutte le parti. Il ’Giornale’ di casa Berlusconi non fa mai mancare un paio di pagine di parole gentili: ’Nel partito di Di Pietro il confronto si fa a pugni’. ’L’immunità dei Disvalori. Di Pietro a Strasburgo si incorona re della casta’. E una mitica inchiesta: ’Nessuno vuole Tonino a tavola. Ecco perché’.
Sul fronte opposto, il segretario del Pd Dario Franceschini denuncia l’ex alleato sulla scelta di correre da solo in alcune province (Potenza, Matera, Barletta) e comuni (Modena): "Di Pietro fa vincere la destra". Replica (in apparenza) mansueta dell’interessato: "Io faccio sette-otto comizi al giorno accanto ai candidati sindaci e presidenti di Provincia del Pd, in 300 città stiamo insieme per fermare i berluschini, i nuovi potestà, i ducetti locali. Se anche dal Pd mi attaccano, pazienza, porgo l’altra guancia". Poi però restituisce i ceffoni: "Berlusconi vuole il controllo totale della democrazia, la soluzione finale". Giusto, ma perché allora non votare il partito più forte, il Pd? "Perché quel partito si è addormentato sulla grossezza e si è dimenticato della grandezza, fino a diventare il ventre flaccido dell’opposizione. Bisogna votare il partito che resiste di più". E così si spiega la solitudine dell’ex magistrato: nello stesso sondaggio il Pd sprofonda al 23 per cento.
In questa campagna elettorale Di Pietro punta a raddoppiare i voti. E costruire un nuovo partito, il più simile possibile a come se lo immaginano i suoi elettori: intransigente, incorruttibile, duro e puro. "Siamo come un prato di campo: tante margherite e qualche cardone", sospira Tonino pensando al vasto elenco di riciclati mastelliani, berlusconiani, leghisti imbarcati in Parlamento. Gli stessi che tre settimane fa hanno rischiato di far deragliare il treno di Idv alla Camera astenendosi sul pacchetto sicurezza del governo. L’ex pm li ha strigliati con una mail che doveva restare riservata. I ribelli, però, l’hanno consegnata alla stampa. Allora Di Pietro è tornato al suo antico mestiere, indagando sui colpevoli. E ha spedito un’altra mail minacciosa: "Finalmente conosco i vostri nomi, grazie a Dio. Me me ricorderò".
Cardoni da estirpare, margherite da seminare. Nelle ultime settimane il leader di Idv è andato due volte dal notaio. La prima, per cancellare dallo statuto del partito il famigerato articolo 16 che a lui, Antonio Di Pietro, affidava poteri di vita e di morte sul partito. Sostituito dalla più democratica figura del presidente del partito, che sarà eletto ogni tre anni. La seconda visita dal notaio è di pochi giorni fa, per depositare lo statuto dell’ultima creatura dipietresca. Si chiama Folder, che sta per Forum liberal democratico economia e riforme, richiama la cartella che contiene i file nei computer. il pensatoio di Tonino, diretto dal capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi, il think tank con cui il leader vuole far dimenticare la sua immagine tutta manette per sconfinare in terreni finora meno frequentati, l’economia, il lavoro, l’ambiente. A giudicare dal primo lavoro prodotto, un libro bianco su un anno di economia del governo Berlusconi, affidato una gruppo di 15 giovani ricercatori universitari, potrebbe diventare qualcosa di più: il governo ombra di Di Pietro. In vista del secondo round che si giocherà subito dopo le elezioni europee e amministrative.
"Non siamo il gruppo di esaltati che seguono un ex pm, come ci dipingono gli avversari. In questa campagna elettorale faremo il salto: dai valori al territorio. E dopo costruiremo il vero Partito democratico, non quello attuale che è fallito perché parla solo agli apparati", profetizza il portavoce del partito Leoluca Orlando. "L’obiettivo è il bipolarismo: costruire in tre anni l’alternativa di governo al berlusconismo", si esalta il neofita Zipponi. la partita di Di Pietro: il 7 giugno è una data che in un modo o nell’altro segnerà la chiusura di una fase per il leader di Idv e l’inizio di una nuova stagione. Per ora ha fatto il pieno degli scontenti e dei delusi (come la hostess dell’Alitalia Maruska Piredda, candidata alle europee, ex elettrice del Cavaliere), dopo il voto dovrà rimettersi in gioco.
La prima mossa sarà votare sì al referendum sulla legge elettorale, per eliminare il Porcellum. E poi c’è il progetto più ambizioso: "Vogliamo diventare co-fondatori e co-promotori di una nuova coalizione di centrosinistra, plurale e riformista. Se fossimo entrati nel Partito democratico un anno fa, oggi saremmo il niente in mezzo al niente. Ma ora le cose sono cambiate", ragiona Di Pietro.
Un posto da protagonista e non più di comprimario, un ruolo di leader nel futuro schieramento che uscirà dalle elezioni europee: quel che resta del Pd e il ciclone dipietrista. "Senza il Pci non si governa", cantavano nei cortei i compagni negli anni Settanta. Già: difficile immaginare dopo il 7 giugno un centrosinistra senza Tonino.