Mario Pirani, la Repubblica 04/05/2009, 4 maggio 2009
CHI PUO’ AIUTARCI SE CALA IL DEBITO USA?
«Per noi, forse più che per ogni altro Paese avanzato, la crisi potrebbe essere il momento, certo non voluto ma inaspettatamente utile, per sistemare tante cose» Lo sostiene in un agile discorso di poco più di cento pagine – "Costruire una cattedrale", ed. Mondadori – Enrico Letta, uno dei più giovani e intellettualmente spregiudicati dirigenti del Pd. Il suo saggio, che costituisce la prima risposta a "La speranza e la paura", il libro manifesto di Giulio Tremonti sui guai della globalizzazione, ha un approccio al tema assai meno ideologico e più pragmatico di quello che anima il ministro del Tesoro. Più che dar voce alle paure, ad esempio, Letta vede il pericolo nelle carenze della politica internazionale e degli Stati che non sono ancora riusciti a conseguire la globalizzazione delle istituzioni di regolazione e controllo, rischiando di ingigantire ancor più «la più eclatante contraddizione del nostro tempo: da un lato il volto positivo della globalizzazione, che ha indotto una quantità di effetti benefici prima sconosciuti e ha letteralmente trascinato un decennio circa di crescita economica mondiale; dall´altro una reazione diffusa di paura e di incertezza».
Sull´argomento hanno cominciato ad impegnarsi anche altri politici-economisti. il caso di Marco Causi, deputato Pd, nonché docente a Roma III, con cui ho discusso un suo saggio, non ancora ultimato, sulla crisi. La tesi di Causi, da me pienamente condivisa, è che se gli eccessi sfrenati di una liberalizzazione ad oltranza sono imputabili all´era Bush, la spinta ad una finanza espansiva è precedente, culminando nell´era di Clinton e di Blair. Questa spinta corrispondeva a precisi interessi sulle due sponde dell´Atlantico: negli Stati Uniti alla sostenibilità del crescente deficit della bilancia dei pagamenti e in Inghilterra al ruolo mondiale assunto dalla City, mentre veniva meno il peso dell´industria manifatturiera britannica.
Il risvolto del deficit della bilancia Usa, pari all´incirca a 80-100 miliardi di dollari per una ventina d´anni, ha costituito, peraltro, il motore dello sviluppo economico in tutto il mondo, mentre il debito si consolidava in strumenti di credito detenuti dalla Cina e dagli altri paesi produttori.
Questa era la base finanziaria che serviva ad alimentare il boom industriale della Cina, dell´India e di altri paesi del Terzo mondo, come anche la tenuta delle esportazioni europee, comprese quelle italiane. In quest´epoca la sinistra, inoltrandosi sulla via delle privatizzazioni, dell´euro, del mercato unico europeo non svendette se stessa al dio-mercato ma perseguì gli interessi nazionali ed europei. L´equilibrio viene meno con gli eccessi della deregolazione impressi dall´amministrazione Bush e dalla Fed che drogano la domanda interna Usa e gli effetti vengono resi ancor più devastanti dai conflitti di interesse e nel loro accavallarsi nel sistema bancario Usa e nelle società di rating. Come si evince da quanto detto, questa è una analisi fattuale e non ideologica, che conferma come non vi siano ricette economiche valide per ogni tempo e situazione. Di conseguenza non è affatto incongruo chiedersi chi farà da sprint dell´economia mondiale una volta venuto meno il motore turbo rappresentato per un ventennio dal debito estero americano. La Cina? Le regole uscite da una nuova Bretton Wood? E in Europa non è giunto il momento di far meno conto sulle esportazioni per assicurare un forte rilancio del mercato interno? Non sarebbe utile pensare a una riedizione del piano Delors, con un grande progetto di investimenti infrastrutturali finanziati con eurobond, in sostituzione della affievolita domanda americana? Se nelle ultime settimane di campagna elettorale per le europee qualcuno ricordasse questi temi agli elettori, forse ne trarrebbe qualche merito.