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 2009  aprile 27 Lunedì calendario

UN MISTERO DA OSCAR


Ecco finalmente l’og­getto misterioso, il film sorpresa che ha sbaragliato tutti i favoriti e ha soffiato l’Oscar del miglior film straniero al favoritissimo Valzer con Bashir. Verrà proiettato marte­dì 28 al Far East Film di Udine, or­mai diventato, alla sua undicesima edizione, l’appuntamento interna­zionale più importante per fare il punto sul cinema che si produce nell’Estremo oriente: non più solo ipercinetici film di arti marziali o rarefatte letture «d’autore», ma un vero e proprio universo di generi, registi e produzioni, che premono sui mercati occidentali con la forza di un’industria che resiste bene ai colpi della crisi e si sente autorizza­ta a puntare in alto.

Per questo la visione di Departu­res (Partenze), il film premiato dal­l’Academy, può spiegare molte co­se. Per esempio che i riconoscimen­ti internazionali, di cui è testimone il premio ricevuto nel febbraio scor­so a Los Angeles, non devono pas­sare per forza attraverso l’omologa­zione e la standardizzazione delle storie e degli stili, ma possono inve­ce rivendicare le proprie specificità culturali e narrative. Come aveva fatto l’Italia del Neorealismo, come aveva fatto la Francia della Nouvel­le Vague e come sembra voler fare ora il Sud-Est asiatico.

Il film di Yojiro Takita, che in ori­ginale si intitola Okuribito, raccon­ta le disavventure professional-fa­miliari di un giovane suonatore di violoncello, Daigo Kobayashi: l’or­chestra in cui suona viene sciolta e lui si ritrova disoccupato e con mo­glie a carico. Meglio allora abban­donare una Tokyo troppo cara e tor­nare nella casa che la madre, morta da poco, gli ha lasciato in provin­cia. E mettersi subito a cercare un nuovo lavoro.

Per un involontario errore tipo­grafico nell’annuncio letto su un giornale, Daigo pensa di presentar­si a un’agenzia di viaggio o di turi­smo e invece le «partenze» a cui fa riferimento l’inserzione sono più esattamente le «dipartite» che chiu­dono la vita: il nome dell’agenzia, NK, sta infatti per nokanshi, lette­ralmente «maestro di deposizione nella bara», un professionista che lava e riveste il corpo del defunto per l’estremo saluto. Il titolare da solo non ce la fa più e decide di in­gaggiare l’ex violoncellista. Che sco­prirà subito a proprie spese i lati peggiori della professione.

All’inizio il film, che pure è rac­contato con lo stile un po’ solenne e cadenzato della più classica tradi­zione nipponica, innesca più di una risata. Anche se decisamente a denti stretti. Essere costretti a fare da «cadavere dimostrativo» per un video che decanta le qualità del­l’agenzia NK, mentre il boss spiega ai possibili clienti dove si deve infi­lare il tampone per pulire perfetta­mente il corpo, non è certo l’ideale di ogni lavoratore. Oppure scoprire che un cadavere, morto con i vesti­ti di una donna, è in realtà quello di un uomo, che la famiglia non ha avuto il tempo di rimettere nei suoi abiti. Tanto che prima un amico di gioventù e poi la stessa moglie non si spiegano perché Daigo non cer­chi un altro impiego.

Ma scena dopo scena, prepara­zione dopo preparazione anche lo spettatore capisce l’importanza (e il fascino) di quel lavoro, che diven­ta un rituale di gesti e attenzioni de­gno della più elegante tradizione nipponica e che aiuta i parenti a onorare per l’ultima volta il loro de­funto. Così un film che poteva sem­brare una commedia macabra e un po’ surreale diventa una toccante e commovente riflessione sulla mor­te, vista nel modo più laico e «rassi­curante » possibile, non solo come momento di separazione ma come ultima possibilità di riconoscere le qualità di un defunto, che per que­sto deve essere vestito e truccato nel migliore dei modi possibili.

Cresciuto alla scuola della fioren­te industria del cinema erotico, il cinquantenne Yojiro Takita ha di­retto finora film di generi diversi, dal fantasy in costume alla comme­dia, dal film di cappa, spada e sa­murai al dramma giovanile, ma con Partenze ha trovato un equili­brio quasi magico tra lettura dissa­crante della realtà (in fondo il pro­tagonista è uno dei tanti che pati­scono le conseguenze della crisi economica) e recupero della tradi­zione, tra ironia surreale e commo­zione vera. E dopo averlo visto, il premio Oscar non sembra per nien­te un azzardo.