Fabrizio Dragosei, Corriere della sera 27/4/2009, 27 aprile 2009
«LI POLVERIZZAVAMO» LE CONFESSIONI-CHOC DEI RUSSI IN CECENIA
La documentazione sulle atrocità commesse in Cecenia dalle truppe speciali russe e dalle forze locali fedeli a Mosca è abbondante, ma proviene quasi interamente dai racconti delle vittime. Adesso per la prima volta abbiamo le ammissioni dei carnefici. Due componenti delle truppe speciali russe che hanno raccontato al settimanale britannico Sunday Times come in dieci anni di «sporca guerra» hanno torturato, ucciso e fatto sparire i corpi polverizzandoli con l’esplosivo. Il tutto in una lotta senza esclusione di colpi contro «terroristi disumani» che rapivano, stupravano a loro volta gli ostaggi, torturavano con le motoseghe i soldati russi catturati e filmavano il tutto.
Una guerra che si è trascinata dal 1999 e che il Cremlino ha appena dichiarato conclusa (vittoriosamente) ordinando il ritiro delle truppe federali e lasciando il territorio nelle mani delle milizie locali guidate dal presidente Ramzan Kadyrov, un ex guerrigliero diventato alleato dei russi. Una guerra non paragonabile a eventi che hanno coinvolto in questi anni soldati europei o americani. Afghanistan, Iraq, la prigione di Abu Ghraib sono un altro mondo rispetto a Grozny e ai centri nei quali operavano gli spetsnaz del ministero dell’Interno russo e quelli dell’Fsb, il successore del Kgb.
Due ex agenti speciali hanno accettato di parlare della loro esperienza con il corrispondente del Sunday Times Mark Franchetti, spiegando che le loro erano azioni compiute «per amor di patria » allo scopo di sradicare un terrorismo colpevole di delitti atroci, come i sequestri di ostaggi nel teatro Dubrovka di Mosca e nella scuola di Beslan, dove morirono 334 ostaggi, in buona parte bambini.
Andrej, dieci anni di Cecenia, ha raccontato di quando con i suoi ha fatto irruzione in una casa dove era stata segnalata la presenza di una donna che istruiva le «shakidka», ragazze- kamikaze da spedire in giro per la Russia (su aerei, nei mercati, alle stazioni del metrò). Grazie all’elettroshock, la donna confessò. Dopo averle sparato in testa, i soldati portarono il corpo in un campo, dove lo polverizzarono letteralmente con una forte carica di esplosivo: «Niente corpo, niente prove, nessun problema». La questione importante, hanno raccontato gli agenti, «era di agire secondo la volontà implicita dei superiori ma senza farsi beccare: sapevamo che se ci fosse stato uno scandalo ci avrebbero abbandonato al nostro destino».
I sospetti venivano interrogati senza troppi complimenti. E non con il waterboarding di dubbia efficacia. «Uno dei metodi migliori è quello del pianoforte – ha raccontato Vladimir, l’altro spetsnaz ”. Con un martello si procede con il soggetto dito dopo dito, fino a che non parla. Si possono anche rompere le ginocchia, altra parte molto sensibile».
Una volta quattro agenti russi furono ammazzati e gli agenti speciali risalirono a duecento persone che avevano, secondo loro, collaborato al rapimento e all’uccisione degli uomini. Uno a uno furono trovati, catturati ed eliminati.
Una donna cecchino una volta venne eliminata facendole passare sopra un carro armato. In un’operazione, Andrej incappò in una specie di ospedale da campo in una grotta, con dozzine di terroristi feriti e alcune donne che li curavano.
Quelli in buone condizioni furono portati via per essere interrogati, gli altri furono eliminati sul posto assieme ad alcune delle infermiere. A volte le torture venivano filmate, anche in risposta ai video che i ceceni facevano pervenire alle tv russe. «Ne trovammo uno che aveva vari filmati di ostaggi russi torturati. Militari decapitati, uno sul quale avevano infierito con una motosega. E poi una bambina di dodici anni alla quale avevano staccato tre dita dopo averla stuprata. Eravamo fuori di noi. Un mio uomo non riusciva a togliergli le manette per farlo alzare in piedi. Allora ha preso un’ascia e gli ha staccato una mano».