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 2009  maggio 04 Lunedì calendario

Ognuno per sé. Ogni amministrazione locale deve essere in grado di badare economicamente a sé stessa

Ognuno per sé. Ogni amministrazione locale deve essere in grado di badare economicamente a sé stessa. il principio del federalismo fiscale divenuto legge il 30 aprile con l’approvazione del ddl 1117-B, collegato alla finanziaria, che attua l’articolo 119 della Costituzione. Tradotto in concreto: Regioni, Province e Comuni dal 2016 non incasseranno più soldi dallo Stato centrale, ma avranno a disposizione una parte molto più consistente del gettito fiscale generato dal loro territorio. Con questi soldi potranno provvedere al pagamento di servizi ritenuti essenziali. Trasferimenti. Fino ad oggi funzionava così: lo Stato centrale incassa il grosso di quello che paghiamo in tasse (372 miliardi di euro nel 2007) e ne gira una parte a Regioni (90 miliardi), Province e Comuni (altri 17 miliardi) perché possano offrire ai cittadini alcuni servizi (sanità, istruzione, assistenza sociale etc.). Parte di quella cifra è denaro che lo Stato ha incassato per conto degli enti locali (come i soldi delle addizionali sull’Irpef) ma la quota maggiore (79 miliardi) è trasferimento diretto di denaro da un livello all’altro dello Stato. Un trasferimento che il federalismo fiscale abolirà. Entrate e uscite. Oltre ai 107 miliardi arrivati dallo Stato, gli enti locali (con questa espressione si indicano Regioni, Province e Comuni) nel 2007 potevano contare sul gettito delle loro imposte (102 miliardi) e su altri 22 miliardi derivati da fonti diverse: ritorni sugli investimenti, aiuti internazionali, contributi vari. Messi assieme 231 miliardi di euro, due anni fa gli enti locali ne hanno spesi 232. andata anche bene: di regola le amministrazioni locali fanno segnare passivi più pesanti. Il 2005, per esempio, si era chiuso con un rosso di 12 miliardi. Il 2006 con un disavanzo di 16 miliardi. Autonomie. In media i conti di un comune, in entrata, si dividono così: da tasse e tributi il 64%, dal governo centrale il 36%. Casi limite: i Comuni lombardi (77,6% da tasse e tributi, 22,4% dallo Stato); quelli siciliani (37% da tasse e tributi, 63% dallo Stato). Regioni dove i trasferimenti ai Comuni superano il 50% delle loro entrate: Valle d’Aosta e Sardegna (54%), Basilicata (52%), Calabria (50,7%). Regioni dove tasse e tributi garantiscono ai Comuni più del 70% delle entrate: Emilia (77%), Veneto (71%), Toscana (74%), Liguria (73%). Iva e Irpef. Abolito il trasferimento diretto di denaro, il governo mette a disposizione delle amministrazioni locali l’Iva e l’Irpef generate sul territorio fino a coprire la spesa per i servizi ritenuti essenziali. Potenzialmente sono tanti soldi: l’Iva nel 2008 ha fatto incassare 118 miliardi di euro, l’Irpef (senza considerare le addizionali) 50 miliardi. Secondo le prime stime il governo centrale sposterebbe sulle amministrazioni locali circa 170 miliardi di euro di gettito fiscale. Disuguaglianze. Nel Lazio c’è un gettito Iva di 3.160 euro per abitante, in Lombardia di 2.365 euro. In Calabria il gettito Iva pro capite è di soli 100 euro, in Friuli di 770 euro. L’Irpef in Liguria vale 133 euro per abitante, nelle Marche e nel Lazio 126, in Trentino 49 euro, in Valle d’Aosta 66. Ci sono città come Roma che con il federalismo fiscale avrebbero a disposizione 18 miliardi di euro. Milano avrebbe una cassa da 10 miliardi, Torino di 3, Genova di 2,5. Reggio Calabria non avrebbe che 100 milioni per finanziare i servizi comunali. Standard. Prima lo Stato distribuiva i soldi tra gli enti locali in base al principio del costo storico: il fabbisogno di un’amministrazione si calcolava guardando la spesa dell’anno precedente. Principio sostituito da quello del costo standard: si guarda qual è l’ente locale più efficiente, cioè quello in grado di offrire quel servizio in maniera adeguata spendendo il meno possibile per ogni abitante. La spesa di quella amministrazione è il costo standard. Rapportato al numero dei cittadini il costo standard determina il fabbisogno standard di un ente locale per quel servizio. Sette su venti. In base ai calcoli fatti fino a questo momento solo sette Regioni su venti sarebbero in grado di pagare i servizi che offrono contando sul proprio gettito fiscale: la Lombardia (incassa 13.700 euro pro capite e ne spende 8.850), l’Emilia (saldo positivo di 3.450 euro), il Veneto (2.900 euro), il Piemonte (1.900 euro), le Marche (1.150 euro), il Lazio (1.500) e il Friuli (300 euro). Tutti in rosso gli altri (e sono 32 milioni di italiani). Record valdostano: per ogni abitante la Regione spende tremila euro più di quelli che incassa. Passivo di 600 euro pro capite per la Liguria, la Regione che spende di più (11.300 euro per abitante). Pesanti anche Abruzzo (-750 euro) e Calabria (-2.750), giustificata però dall’incasso pro capite minore d’Italia (solo 5.250 euro). Essenziali e non. Le Regioni devono assicurare le spese per l’assistenza, quelle per l’amministrazione dell’istruzione, per i trasporti regionali e per tutta la sanità. Alle Province spetta la gestione del territorio, l’amministrazione generale (sarà essenziale il 70% dell’ultimo bilancio), l’edilizia scolastica, i servizi per il mercato del lavoro. Ai Comuni la tutela dell’ambiente, le spese per i trasporti locali e la viabilità, l’amministrazione essenziale (sempre al 70%), i servizi sociali, asili nido, mense scolastiche, insegnanti di sostegno. Solidarietà. O perequazione. Per compensare le disuguaglianze di gettito, il federalismo fiscale prevede che parte delle entrate Iva e Irpef delle amministrazioni locali vada a finanziare un fondo di perequazione, che servirà ad aiutare Regioni, Province e Comuni più poveri di entrate. Ma non all’infinito. Il fondo di perequazione consentirà a ogni amministrazione di avere a disposizione solo il 100% del suo fabbisogno standard. Sanità/1. Si sa che quello che più interessa è la sanità: pagata per il 98,5% dalle Regioni, nel 2006 è costata 102 miliardi di euro, il 45% delle uscite degli enti locali. Più di cinque volte la spesa delle amministrazioni locali per l’istruzione (18 miliardi) più di dieci volte tutto il costo dei sistemi locali di protezione sociale (10 miliardi). Le altre uscite principali delle amministrazioni locali sono gli aiuti al sistema produttivo (il 15% delle uscite) e la gestione del territorio (il 4,9%). Sanità/2. Il sistema sanitario nazionale vive in deficit perenne. Tra il 1981 e il 2001 ha accumulato un passivo totale di 76,4 miliardi di euro, sempre ripianato dallo Stato. Il tutto fino al 2001, quando sono state le Regioni stesse a doversi accollare i debiti. Tra il 2003 e il 2005 il passivo accumulato ha raggiunto i 13 miliardi: il 30% nel Lazio, il 25% in Campania, il 13% in Sicilia, l’8% in Piemonte e il 5% in Sardegna. Il governo Prodi è intervenuto con 12 miliardi per rimettere a posto i loro conti. Laziali e lombardi. Il Lazio è un caso limite: la sua spesa sanitaria (dati 2007) è di 2.022 euro pro capite, contro una media nazionale di 1.703 euro e i soli 1.542 euro di spesa sanitaria per abitante della Sicilia. La Regione più virtuosa, considerata anche la soddisfazione degli abitanti e la qualità del servizio, è la Lombardia: 1.603 euro per abitante. Standard lombardi. Se, come chiedono le Regioni che spendono di meno, si prendessero i 1.603 euro della Lombardia come costo sanitario standard − e così, probabilmente, sarà, ma tutte queste decisioni spetteranno alla ”Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale”, composta da tecnici statali e rappresentanti delle amministrazioni locali − nel complesso le Regioni italiane dovrebbero spendere 6,5 miliardi di euro in meno all’anno. E al Sud si troverebbero a dover tagliare 1,5 miliardi di costi Standard toscani. Se, come chiedono le Regioni che spendono di più, si scegliesse un’amministrazione sempre efficiente, ma meno rigida rispetto alla Lombardia, come la Toscana (1.687 euro all’anno), la spesa sanitaria nazionale crescerebbe di 650 milioni di euro. Solo undici Regioni su venti, infatti, spendono meno della Toscana. In particolare al Sud solo Molise e Abruzzo dovrebbero tagliare qualcosa, mentre Regioni come Sicilia e Puglia incasserebbero oltre 250 milioni in più a testa. Tasse. Ogni tipo di ente locale ha la sua tassa di riferimento. Per le Regioni è l’Irap, che vale 39 miliardi sui 54 che incassano (dati 2007). Seguono l’addizionale Irpef (7 miliardi) e le tasse automobilistiche (5 miliardi). L’accisa sulla benzina dà alle regioni 2 miliardi, i rifiuti 233 milioni. Le province incassano con l’imposta sulla Rc auto (2 miliardi), con quella sul registro automobilistico (1,3 miliardi), l’addizionale sull’elettricità (1,5 miliardi). I Comuni sfruttano l’Ici (11,5 miliardi nel 2007, ma con l’abolizione di quella sulla prima casa sono 2 miliardi in meno), le concessioni edilizie (3,5 miliardi), l’addizionale Irpef (2,3 miliardi), l’imposta su pubblicità e affissioni (500 milioni). Iva e Irpef/2. Secondo l’Isae se si eliminassero tutti i trasferimenti oggi in atto ma si concedessero direttamente alle amministrazioni locali una serie di tributi erariali (le accise energetiche, le imposte sui tabacchi, quelle sui giochi, sul patrimonio immobiliare, le imposte di bollo, in tutto 48 miliardi) si creerebbe un buco di 121 miliardi di euro nei conti delle amministrazioni locali. La Regione a maggiore capacità fiscale (la Lombardia) avrebbe bisogno del 66% della sua Iva per bilanciare il bilancio, mentre il fondo perequativo dovrebbe finanziare le altre Regioni e quindi avrebbe bisogno di tutta l’Iva e del 55% dell’Irpef media. Tasse/2. Gli italiani non pagheranno più tasse con questo nuovo sistema, dice la ”clausola di salvaguardia” inclusa nel testo del disegno di legge. La pressione fiscale non potrà superare una certa quota del Pil stabilita periodicamente dal governo (il 43%, fino al 2011). Costi. Fino al 2010 non ci saranno cifre su quanto costi il passaggio al federalismo fiscale. C’è un problema di difficile compatibilità tra le basi contabili di Regioni, Provincie e Comuni che non permette alla Ragioneria generale dello Stato di fare simulazioni, ha spiegato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Le stime indicano costi compresi tra i 70 e i 100 miliardi, spalmati sui cinque anni di fase provvisoria della legge (che scatteranno quando saranno pronti tutti i decreti attuativi, promessi entro il 2011). Tedeschi. In Germania vige un sistema federale che prevede anche il federalismo fiscale. La Costituzione stabilisce che il gettito fiscale venga rigidamente ripartito tra Stato centrale (Bund), Regioni (Länder), Comuni (Gemeinde): ad esempio l’incasso dell’Irpef tedesca va per il 42,5% al Bund, per il 42,5% al Land di provenienza, per il 15% al relativo Gemeinde. Solo la spartizione del’Iva (oggi il 50,5% al Bund e il 49,5% al Land) può essere modificata dalla Camera. Comunque quasi ogni effetto di federalismo fiscale viene azzerato dal meccanismo del Finanzbedarf: si calcola il fabbisogno finanziario di un Land o di un Gemeinde in proporzione al gettito fiscale medio pro capite nazionale. Stabilito quanto serve a ogni Land, ogni amministrazione locale in surplus cede la sua eccedenza a un fondo che viene redistribuito per riportare in pari le amministrazioni in deficit. Americani. Negli Stati Uniti ci sono: 50 Stati, 3mila contee, 18mila municipalità, 17.000 township, 13mila distretti scolastici, 35mila distretti speciali. Lo Stato federale si occupa di difesa, assistenza sociale, interessi sul debito pubblico (in tutto l’80% della spesa pubblica. Il resto va alle amministrazioni locali, che hanno altissimi livelli di autonomia: possono anche decidere di sovrappore una loro tassa a una già applicata dallo Stato centrale. Ci sono fondi di equalizzazione interni ai singoli Stati (per bilanciare i conti di contee o distretti scolastici), ma non c’è un fondo unico nazionale. Gli Usa hanno una lunga tradizione di fallimenti degli enti locali: tra il 1937 e il 1993 se ne contano 362 per un totale di 217 milioni di dollari di perdite. Nel 1994 fallisce Orange, quinta contea maggiore degli Usa: perdita di 1,7 miliardi causata da utilizzo di derivati finanziari. Adesso è a rischio la California. Svizzeri. I 27 Cantoni che formano il governo federale hanno sovranità fiscale. La confederazione può imporre un’aliquota massima dell’11,5% sui redditi delle persone fisiche, del 9,8% su quello delle aziende, dello 0,82% sui capitali. Ai 26 Cantoni spettano 3 decimi del gettito fiscale lordo e almeno un sesto del totale serve a bilanciare le entrate dei diversi cantoni. La disparità tra un cangtone e l’altro è enorme: posta a 100 la capacità fiscale media per abitante, nel 2001 il Canton Zugo incassava 218, mentre Valais (il Cantone più povero) solo 26.