2 maggio 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 4 MAGGIO 2009
Il 30 aprile del 2009 finirà sui libri di storia della Fiat, dell’industria automobilistica mondiale e dell’Italia. «Ho il piacere di annunciare che Chrysler e Fiat hanno raggiunto un accordo di partnership», ha detto a mezzogiorno in punto di giovedì scorso nel Grand Foyer della Casa Bianca Barack Obama elogiando l’industria italiana, «capace di produrre le auto del futuro, pulite ed efficienti». [1] Quattro anni fa il Lingotto era dato per spacciato, la Fiat era la preda di cui spartirsi le spoglie, ora tenta la conquista dell’America chiamata a salvare l’auto nel Paese che l’ha inventata. Raffaella Polato: «La Fiat che a un certo punto la famiglia ha pensato di vendere, l’auto che pareva un peso morto, fonte solo di perdite a voragine, ora può puntare a giocare da big player sulla scacchiera mondiale. Fin qui, oltretutto, tirando fuori tecnologia e lavoro ma non un centesimo cash». [2]
L’operazione messa a punto da Washington prevede un primo finanziamento americano del valore di 3,3 miliardi di dollari, cui se ne dovrebbero aggiungere altri 4,7, l’amministrazione federale del Canada e quella statale dell’Ontario daranno 2,4 miliardi. [3] Prima che l’alleanza con Fiat possa entrare nel vivo, Chrysler dovrà passare attraverso una ”bancarotta chirurgica” nota negli Stati Uniti come ”chapter 11” (in genere dura anni, in questo caso sperano di farcela in pochi mesi). La nuova società sarà posseduta per il 20% per cento dal Lingotto, per il 55% dal Veba, il fondo pensioni dei sindacati americani (Uaw) e canadesi (Caw), per l’8% dal governo Usa, per il 2% da quello di Ottawa. Salvatore Tropea: «Il restante 15 per cento per il momento verrà parcheggiato sotto l’ombrello del Tesoro americano ma è previsto che poi venga ceduto alla Fiat in tre step, ognuno dei quali equivale a un 5 per cento: il primo alla introduzione in Usa del motore superecologico Fiat ”Multiair”, il secondo con l’espansione della rete Chrysler fuori dall’area Nafta (Usa, Canada e Messico), il terzo al lancio della prima vettura con tecnologia Fiat e in grado di fare 40 miglia con un gallone di carburante (15-16 chilometri con un litro)». [4]
La posta del ”grande gioco” che Fiat-Chrysler dovrà affrontare è niente meno che l’automobile del futuro. Mario Deaglio: «Un’automobile poco inquinante, poco ingombrante poco costosa». [5] Stefano Agnoli: «Quello dell’efficienza delle auto americane è sempre stato un pallino di Barack Obama. E i tre ”big” Usa Ford, GM e Chrysler - lo hanno sempre saputo. Ben prima che nel 2007, da senatore dell’Illinois ma già candidato presidente, Obama si recasse a Detroit per spiegarglielo direttamente. A luglio del 2006, con il senatore repubblicano Richard Lugar, aveva presentato un progetto di legge con obiettivi assai chiari: ridurre drasticamente i consumi delle vetture ”made in Usa”, tagliare la dipendenza petrolifera del Paese, ripulire l’ambiente. Con una contropartita a base di lauti incentivi». [6]
Automobili e ”light trucks” americani sono responsabili del consumo di un decimo del petrolio che serve al mondo. Agnoli: «E gli States, diceva Obama, potrebbero risparmiare ogni giorno un terzo di quanto importano se i veicoli in circolazione avessero la stessa efficienza di quelli giapponesi, 45 miglia per gallone contro 30. Ford, GM e Chrysler non hanno dato retta al senatore». [6] La peculiarità del mercato italiano è l’alto costo dei prodotti energetici, a cominciare dai carburanti. Per fronteggiare questo svantaggio di mercato, Fiat ha sviluppato prima dei suoi concorrenti motori a basso consumo e basse emissioni. Marco Sodano: «Lo sviluppo dei nuovi motori, più piccoli di cilindrata e più ecologici - secondo i desideri del presidente Obama - e la loro installazione su vetture più piccole, partendo da zero richiederebbe quattro o cinque anni di lavoro. Basandosi sulle piattaforme fornite da Fiat, gli americani possono mettere in produzione la nuova generazione nel giro di un paio di anni». [7]
A un Obama che dice di vedere nel business ”verde” il catalizzatore ideale per uscire dalla crisi, Marchionne ha portato la terza rivoluzione motoristica del Lingotto, dopo il diesel common rail (malauguratamente ceduto a Bosch per l’ingegnerizzazione e l’industrializzazione) e il Multijet. Giampiero Bottino: «La new entry capace di garantire un futuro sereno sia a Torino sia ad Auburn Hills si chiama Multiair, è stata presentata ufficialmente due mesi fa al salone di Ginevra ed è ormai pronta al decollo commerciale che avverrà entro l’anno con un 1.4 a benzina, sia aspirato sia turbo destinato all’Alfa MiTo e alla Fiat Grande Punto, che sarà seguito a breve dall’atteso bicilindrico da 900 cc aspirato, turbo e bi-fuel benzina e metano che promette di arrivare a emissioni di CO 2 nell’ordine di 80 g/km. Certo sono motori troppo piccoli per le esigenze e le abitudini americane». [8]
Nel paese passato alla storia per le sue macchinone tutte pinne, borchie e luminarie, la 500 è un’eresia. [4] Giuseppe Magone, 74 anni, per trentadue manutentore alle Ferriere: «Come l’America sia disastrata a questo punto è una cosa che uno come me non riesce a credere. Oddio, che facessero bidoni di macchine, questo si sapeva. Tutte grosse, che costavano e inquinavano. E adesso si adattano a guidare una macchinetta?». [9] Vittorio Zucconi: «Con la benzina arrivata lo scorso anno alla cifra di 70 centesimi al litro, mostruosa per chi ancora si crede una nazione autosufficiente e si illude di avere ancora gigantesche riserve sotto i piedi, la speranza di Marchionne, di chi guiderà il guscio della Chrysler, dei creditori, dei sindacati spremuti e di Barack Obama è che il richiamo del portafoglio si sposi alla seduzione del glamour italiano in quella ”city car”, una sorta di Prada su gomma. E aiuti gli automobilisti, soprattutto le mamme SUV che circondano le creaturine con corazzate da guerra in Iraq a vincere il terrore di sfidare a duello, come nel bel film di Spielberg, i mostri del trasporto commerciale». [10]
Il Multiair ha un’estrema flessibilità d’impiego. Bottino: «Può essere applicato anche a propulsori di cilindrata più elevata, come quelli cari alla clientela Usa, senza perdere una virgola delle proprie potenzialità, riassumibili in alcune cifre davvero significative: aumento della potenza del 10% rispetto a un analogo motore di concezione convenzionale; miglioramento del 15% della coppia a basso regime; eliminazione delle perdite di pompaggio con riduzione di consumi ed emissioni del 10%, percentuale che può arrivare addirittura al 25% se alla tecnologia Multiair si accoppia la filosofia del downsizing, basata su motori di cilindrata più ridotta implementati con il ricorso al turbocompressore; riduzione delle emissioni inquinanti fino al 40% nel caso degli idrocarburi incombusti (HC) e del monossido di carbonio (CO) e fino al 60% per gli ossidi di azoto (NOx). Senza contare che il sistema è utilizzabile a posteriori anche su motori preesistenti». [8]
Solo chi è presente negli Usa può definirsi un competitor mondiale. Con l’intesa con Chrysler, Fiat lo diventa. Giuseppe Volpato, docente alla Ca’ Foscari di Venezia, dice che è come conseguire una laurea: «Un mercato come quello Usa, in tempi di crisi vale pur sempre oltre 10 milioni di vetture vendute ogni anno e 15 milioni in periodi normali. Chi pianifica una strategia decennale deve mettere in conto di essere lì: sarà il mercato d’avanguardia per le auto ibride e, in futuro, per quelle a idrogeno». [11] L’operazione ha però molte incognite. Oreste Pivetta: «Quanto vorranno spendere gli americani per rinnovare il loro parco macchine e, poi, continuerà la corsa alla vettura ”risparmiosa” (dopo che il prezzo della benzina s’è ridotto)?». [12] Francesco Paternò: «È prevedibile che il regolatore finale sarà ancora la politica, con l’imposizione di leggi sempre più restrittive in campo ambientale, a favore di una produzione di modelli meno inquinanti». [13] Quante 500 dovrà vendere Fiat per poter considerare l’alleanza un successo? Volpato: «Ventimila sarebbe un ottimo risultato». [11] Molte di più dovrebbe venderne la 500 a stelle e strisce che potrebbe essere prodotta negli impianti messicani di Toluca col marchio Dodge. [14]
Sebbene sia prevista la possibilità di salire oltre il 35%, Fiat non potrà acquisire la maggioranza della Chrysler se prima non saranno restituiti i miliardi di dollari anticipati dai contribuenti americani. Marco D’Eramo: «Eventualità assai improbabile». [15] Comunque vada, l’innesto della tecnologia di Torino con le strutture produttive di Detroit consente alla Fiat di candidarsi al ruolo di player mondiale, tra i 5 o 6 che resteranno in piedi di qui al 2013, secondo la profezia di Marchionne. [16] Da tempo l’ad del Lingotto spiega che l’industria dell’auto ”di massa” ha un problema di costi fissi che può essere risolto solo con volumi di produzione enormi: almeno 5,5-6 milioni di vetture all’anno. Pietro Saccò: «Oggi sono sopra quella soglia Toyota, Volkswagen, Renault-Nissan, General Motors e Ford. Ma le ultime due sono in pessima forma. Marchionne pensa che alla fine sopravviveranno sei grandi gruppi: quei primi tre, uno tra Gm e Ford, una casa cinese e ”un altro potenziale giocatore europeo”. Quest’ultima sarebbe Fiat, al centro di un gruppo che il manager le sta costruendo attorno». [17]
Chrysler lo scorso anno ha venduto poco meno di 2 milioni di vetture, Fiat un po’ più di 2 milioni. Saccò: «Assieme si avvicinano alla soglia di sopravvivenza a cui pensa Marchionne, ma servirà almeno un terzo alleato per creare un volume di produzione che assicuri la stabilità. Per questo a Torino sperano di riuscire a inglobare anche Opel». [16] quella che Marchionne chiama «operazione mostro» (nel senso di colosso che mira a spaventare i concorrenti). [2] Gianluca Paolucci: «Con Chrysler Marchionne potrà mettersi al lavoro per convincere i tedeschi che da Torino può arrivare anche la soluzione ai problemi della Opel, controllata da General Motors in cerca di un salvatore. E farsi avanti anche per le attività della stessa General Motors in Sud America, dove Gm è ben radicata e è il terzo produttore in Brasile, paese chiave della regione il cui mercato dell’auto è fatto dal testa a testa tra Volkswagen e la stessa Fiat. Per arrivare così a superare la soglia dei 6 milioni di auto prodotte per guardare al ruolo di secondo produttore globale dietro Toyota. Raccontandolo, sembra quasi facile». [18]