Paolo Madron, Il Sole 24 Ore 19/4/2009, 19 aprile 2009
Sostiene Francesco Micheli che il comunismo è fallito, il capitalismo come l’abbiamo fin qui conosciuto pure, ma c’è ancora trippa per gatti
Sostiene Francesco Micheli che il comunismo è fallito, il capitalismo come l’abbiamo fin qui conosciuto pure, ma c’è ancora trippa per gatti. E anche acqua per il suo che, mentre stiamo parlando seduti nel salotto di casa, con elegante nonchalance immerge il muso e poi la zampa nella caraffa di minerale. Quello che fu lo scalatore di Montedison, crocedelizia cui pur avendo fatto molto altro nella vita deve la sua fama imperitura, è appena tornato dalla Micronesia, in uno dei frequenti viaggi che lo tengono lontano dagli affanni della piccola Milano, della quale è cittadino acquisito ma benemerito. Micheli spiega così la sua teoria nautico-copernicana: non è lui che si muove, ma la barca che gli gira intorno andando senza posa per quei mari esotici dove la raggiunge. Chissà perché, ma quando parte si ha sempre il sospetto che non ritorni, che qualcosa lo tenga lontano. Da che cosa scappa, dottor Micheli? Da nulla. Giro il mondo su una barca a vela, che per me è il sostituto della casa al mare. Siccome è attrezzata con tutti i giocattoli che mi servono, non mi sento isolato. Perciò non ho mai fretta di tornare. Si vede che può permetterselo... Ho sempre lavorato molto in proprio, senza grandi strutture, diciamo sul modello Guido Rossi, da solista. Aggiungo che i miei figli sono cresciuti, sono bravi e non mi par vero di scaricare molte rogne sulle loro spalle. Dalla barca la crisi si vede di meno? Si vede che non è una crisi finanziaria, come tutti dicono, ma economica. Che nasce dal deficit commerciale americano. Per compensarlo sì è dovuta mettere in campo un’enorme contropartita di denaro che ha avvelenato i pozzi e gonfiato in modo scellerato la bolla immobiliare. Nauticamente parlando, avremo un’ondata d’inflazione che ci seppellirà. Avremo una grande, inevitabile inflazione che dimezzerà i buchi del sistema bancario internazionale scaricando su Pantalone i costi dell’operazione. Come se ne esce? Con la condivisione di un nuovo modello che sostituisca il vecchio New Deal rooseveltiano. Dopo sessant’anni portati magnificamente è diventato obsoleto. Qualcosa di meno generico? Mah, tanto per cominciare gli americani potrebbero abbandonare le loro basi in Europa e farle gestire ai singoli Paesi. Gli Stati Uniti risparmierebbero molti mezzi da dedicare alla cura della loro crisi, noi ci troveremmo con qualche responsabilità in più e una maggiore spinta a creare finalmente gli Stati Uniti d’Europa che presuppongono un sistema militare e di polizia comune. Comunismo morto, capitalismo fallito. Tertium datur? Proverei una sorta di M&A concettuale unendo la parte buona dei due sistemi che hanno fallito. Ma il capitalismo è come il suo gatto, ha sette vite. Questo non ne ha più. Quando in America saltano la più grande assicurazione, la più grande banca d’affari e il colosso dell’auto vuol dire che le ha esaurite... Si porta addosso l’etichetta di scalatore della Montedison, anche se ormai sono passati più di trent’anni. Le scoccia? No. Più passa il tempo e più quell’esperienza mi sembra positiva. Mi pesava di più all’epoca, quando i miei amici della sinistra credevano che stessi aiutando Eugenio Cefis a fare il colpo di Stato. Come, scusi? Subito dopo le sue clamorose dimissioni da Montedison, un Cefis sbalordito mi raccontò a caldo la reazione di Cuccia che gli disse: «Ma dottore, io ero convinto che lei avrebbe fatto il colpo di Stato...». Lei ha finanziato il Manifesto e ha rapporti con Berlusconi. Ecumenismo o furbizia? Privilegio la qualità del rapporto, non il colore politico. Non ho mai avuto favori o vantaggi da nessuno, quindi l’accusa cade da sola. Se fossi stato compiacente mi avrebbero dato tanti trenini con cui giocare. Un’altra conseguenza dell’alone Montedison è che da lei ci si aspetta sempre il colpo guascone. Ci sono età della vita in cui si fanno certe cose. Allora in un Paese bigotto come il nostro la mia scalata alla Bi Invest dei Bonomi creò scandalo e meraviglia. Ha rotto il bon ton dei salotti. Ho rotto lo schema di Cuccia che contemplava la totale protezione dei suoi adepti. Ironia della sorte, tutti i gruppi italiani che hanno resistito nel tempo sono quelli che non si sono affidati alle cure del fondatore di Mediobanca. Ha cercato di fargliela pagare? Ha fatto del suo meglio. Ma nel mondo finanziario non si uccide mai, ci sono metodi collaterali molto più efficaci. Calvi però è stato suicidato. Sì, è stato ucciso, ma perché era entrato in mondi diversi da quelli della finanza. Sono l’ultima persona che l’ha visto a cena nella foresteria dell’Ambrosiano prima della sua fuga. Accompagnavo un finanziere austriaco, Karl Kahane, che incauto voleva comprare tutta la parte estera del Banco. L’ultima cena. Alle 23 si alzò di scatto dicendo che lo aspettava l’aereo per Roma. Ci avviammo all’ascensore e improvvisamente ci accorgemmo che era sparito. Kahane, che parlava francese, mi disse: «Où est-il allé?» Dov’è andato?. E io gli risposi con una battuta che poi avrebbe assunto un rilievo agghiacciante. Cioè? «Comme le diable il est disparu vers l’enfer». Come il diavolo è scomparso verso l’Inferno. Invece come si uccide metaforicamente? Togliendo il credito, manovrando i media. Insomma, creando terra bruciata intorno. Vedi i Ferruzzi, a cui è stato cancellato persino il nome. O la grande Comit, annientata da Cuccia per gli antichi rancori con Raffaele Mattioli. Cattiverie sublimi, almeno quanto il suo sense of humour nel privato. Peccato, se non fosse stato così riservato, lo si sarebbe apprezzato di più. Sì, peccato, perché Cuccia aveva degli aspetti umani deliziosi. Che una volta le racconterò, comprese le sue giovanili avventure galanti in Polonia, di cui mi testimoniò Carlo Bombieri, che guidò la Comit fino ai primi anni 70. Geronzi l’erede di Cuccia? Sì, nel senso che possiede l’intelligenza, la spregiudicatezza e il cinismo di Cuccia. Con in più l’acume politico e un disegno che il grande vecchio non aveva. Cambiano i tempi: oggi si clicca www.cesaregeronzi.it, e si sa tutto sull’attuale presidente di Mediobanca. Peccato che Roland Barthes non ci sia più. Altrimenti, dopo avere analizzato miti e riti, avrebbe scritto Miti e Siti... Un romano a Milano. Passaggio fino a poco tempo fa inimmaginabile. Per Maranghi fu una botta letale veder spazzato via il suo coerente ruolo di vestale dell’eredità cucciana. Lei ha anche attraversato indenne quella tragedia finanziar-shakespeariana che è stata il crollo dei Ferruzzi. Quando arrivano gli uragani si rischia molto. Quella era una storia che si legava con la mia avventura in Montedison. Con Gardini sono passato dall’odio all’amore. Mi vedeva come nemico, poi viceversa ci trovammo bene. Raul pensava fossi contro di lui, vedeva il sospetto dappertutto. Suo è anche l’ultimo colpaccio della New Economy, quello di Fastweb. Ne è uscito ricco come un Creso. Si, erano molti soldi, almeno sulla carta. Ma preferisco ricordarla come l’unica operazione in quel settore che ha portato a compimento il modello di business per cui era stata concepita. Con Silvio Scaglia, suo socio in quell’impresa, ha poi litigato. Non ho litigato ma, come diceva Cuccia, apparteniamo a giardini zoologici diversi. Lui ha lasciato il Paese e si è trasferito in Inghilterra. Ha fame di essere una sorta di vestale della milanesità, anche se milanese non è. Di milanesi a Milano ce ne sono pochi, come di americani a New York. Il fatto di andare spesso in barca non le avrà impedito di vedere questo tiro al piccione sull’Expo. Purtroppo sull’Expo c’è stato un difetto di comunicazione, è mancata un’azione che contrastasse tutti gli elementi negativi che nascevano dalle contraddizioni interne alla compagine cui appartiene la Moratti. Un sindaco vittima del fuoco amico. Esatto. Poi c’è stato il tormentone su Paolo Glisenti il quale, malgrado la buona volontà, non ha mai legato con Milano. Tanto che l’ambiente gli ha sparato addosso, facendone il parafulmine di tutto. Ma il problema vero è che l’Expo non è sentita dalla gente. Vittorio Gregotti dice che è fuori moda, Marco Vitale che sarà la sentina del malaffare. Meglio rinunciare? Ma no, c’è ancora tutto il tempo per preparare un’eccellente manifestazione. In fondo Torino ha realizzato in due anni delle ottime Olimpiadi. Ora l’importante è scaldare gli animi dei milanesi. Qualcuno pensa che ora Milano abbia un sindaco politicamente troppo debole per spuntarla. Fare il sindaco a Milano è un mestiere difficilissimo. Più di 700 anni fa Bonvesin de la Riva scriveva che la caratteristica dei milanesi è quella di sbranarsi tra di loro. Da allora l’andazzo non è cambiato. Però Milano è l’unica metropoli europea che, invece che migliorare, imbruttisce. Non è Milano, è il Paese che imbruttisce. Siamo stati colpiti dalla crisi in una fase di declino accentuato, perché su troppi fronti siamo perdenti: in Europa cresciamo meno degli altri e le università hanno perso il contatto con il gruppo di testa di quelle americane e asiatiche. Per rendersi conto del declino italiano basta mettere il naso oltre le Alpi. Perché ha presentato a Milano il Cafonal di Dagospia? Ha voluto scandalizzare i benpensanti della sua città con un libro poco ortodosso? L’ho fatto perché stimo molto il fenomeno D’Agostino, che bisognerebbe studiare con il piglio dell’entomologo. Per capire come uno, da solo, abbia costruito un sito d’informazione che è un quotidiano punto di riferimento sui computer della classe dirigente. Milano però è molto meno Cafonal. Rispetto a Roma quello di Milano è oscurantismo cantonale. La sera della presentazione alla cena in casa sua, tra tanti giovani, c’era un tavolo che raggruppava alcuni dei più bei nomi dell’intellighenzia milanese. Sembravano pensionati di villa Arzilla. Anche qui il problema non è di Milano, ma generale. Il nostro Paese soffre di gerontocrazia. Non a caso, per tornare a Cuccia, il circolo ristretto in cui ha confinato la finanza e l’industria italiana obbediva a un sistema di conservazione assoluta. Maranghi diceva dopo Montedison: bisogna tornare alla Restaurazione. E in buona fede pensava al Regno di Sardegna dopo il 1815, tutti con parrucchino e livrea. Con questa crisi anche i nuovi dèi del capitalismo sono caduti. I banchieri vanno ad Arcore a baciare la pantofola. Cuccia ripeteva una grande battuta: si gioca con le carte di cui si dispone. In una crisi del genere si va dal presidente del Consiglio, quindi da Berlusconi. Se in questa crisi anche le banche centrali si sono fatte prendere dal panico, figurarsi i banchieri. Lei che è mezzo veneto sa che un proverbio dice: chi sputa alto si sputa addosso. Qualcuno dei nostri banchieri aveva sputato troppo alto? Però se si guardano le cose in modo meno emotivo ci si accorge che le banche italiane vanno benissimo, anzi perfino il sistema creditizio mondiale non va così male. Ma se le hanno nazionalizzate... Parlo di prospettiva, e vedo. Primo: che tutto finirà in inflazione, cosa che darà loro un enorme beneficio. Secondo, che in questo momento le banche guadagnano a bocca di barile perché si avvantaggiano di uno spread straordinario. Terzo, che non dando il dividendo mettono molto fieno in cascina. Quindi lei ha cominciato a ricomprare. Io ho detto che in Borsa i minimi sarebbero stati toccati tra marzo e aprile. Un rimbalzo così violento come l’attuale, visto che non sono ancora uscite le trimestrali, forse è eccessivo. Così come erano stati smodatamente eccessivi certi ribassi. Alessandro Profumo è uscito indebolito da queste vicende? Profumo è una roccia, nel senso che ha superato una tale serie di attacchi ai quali solo una roccia può resistere. Anzi, uscirne rafforzata. E Corrado Passera che si accredita a banchiere di sistema? La complementarità tra Bazoli e Passera e la dimensione di Intesa pone la banca ad aver assunto una configurazione di centralità che ricorda, nel senso migliore, l’Iri. L’appassiona la sfida Ponzellini-Mazzotta sulla Popolare di Milano? Mi diverte molto che in un’istituzione medioevale com’è quella delle banche popolari si finisca per combattersi su YouTube. Lo trovo un grande passo avanti. Perché si è defilato dall’operazione Alitalia? Per un privato, o almeno per me, l’assunzione del rischio era troppo pesante. Da quando il salvataggio era partito, troppe cose a livello mondiale si erano modificate. ancora di sinistra? Mai stato di sinistra nel senso barricadiero. Ho sempre avuto senso critico, non so se questo voglia dire oggi essere di sinistra. Se Claudio Abbado per tornare alla Scala vuole che a Milano si piantino 90mila alberi, Muti ne chiederà 120mila. Speriamo che l’arrivo benemerito di Abbado possa far da scia anche a quello di Muti. Milano ha avuto due dei più grandi direttori d’orchestra del mondo. Ed è un delitto che ne sia stata privata da beghe che la gente non capisce. Quanto l’ha aiutata il lato B nella vita? Aiuta. Ma, come nel calcio, se non continui a tirare in porta non fai gol. Da due anni organizza MiTo, il festival musicale che rispolvera l’inesausta ambizione di chi vuol fare di Torino e Milano una cosa sola. Siccome la mia è sempre stata una vita di start up: da Finarte a Fastweb, da Sviluppo a Genextra, mi ha divertito molto farne una in campo culturale. Volevo dimostrare come si può fare uscire la cultura dal penoso piagnisteo della beneficenza, svecchiandola. Un gran successo, non lo dico io ma le 170mila persone che all’ultima edizione hanno frequentato i suoi appuntamenti. Se permette Montedison, più che una start up, è stata una catch up. Bella battuta, me la segno.