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 2009  maggio 01 Venerdì calendario

WASHINGTON

L’indiano Anil Ambani ha avuto fortu­na e fatto fortuna. E’ al 34˚ po­sto nella classifica degli uomi­ni più ricchi sulla Terra con un patrimonio di 42 miliardi di dollari.

Guadagna gestendo il se­condo gruppo telefonico del suo paese e con grossi affari nel settore immobiliare. Si di­verte investendo a Hollywo­od - nel mondo del cinema ­insieme alla DreamWorks di Steve Spielberg. Dunque ha tanti ammiratori ma anche qualche nemico. Che potreb­be aver deciso di eliminarlo sabotando uno dei suoi elicot­teri.

Il complotto – vero o pre­sunto – è emerso una settima­na fa a Mumbai quando un tecnico aeronautico, Bharat Borge, impegnato nella manu­tenzione del Bell 412 di Amba­ni, ha riscontrato qualcosa di anomalo: sabbia e ghiaia nel serbatoio del velivolo. Una quantità sufficiente a provo­care un’avaria fatale per l’eli­cottero.

La scoperta è seguita da una doppia inchiesta. La pri­ma della polizia e l’altra inter­na. Si muovono i funzionari della compagnia di volo, inda­gano quelli della «Reliance», la società di Ambani.

Si ipotizza un sabotaggio messo in atto da «qualcuno all’interno». Un paio di fun­zionari dell’Ada si recano a ca­sa di Borge, il tecnico che ha impedito il disastro. Voglio­no sapere di più. L’uomo è sottoposto a un lungo interro­gatorio anche da parte della polizia.

Non passa neppure una set­timana e il povero Borge fa una brutta fine. Lo trovano ca­davere lungo i binari della fer­rovia a Mumbai, sembra sia stato investito da un treno. In una tasca del vestito c’è un bi­glietto dove la vittima espri­me il timore di essere accusa­to di aver sabotato l’elicotte­ro.

Elementi che fanno pensa­re a un suicidio. Ma la fami­glia di Borge respinge questa ricostruzione, parla di pres­sioni, non esclude che abbia­no voluto far sparire il testi­mone- chiave. Forse temeva­no che avesse degli indizi per poter arrivare ai responsabili della manovra.

Gli amici di Borge ricorda­no che il tecnico sembrava sotto stress, era inquieto. Una condizione psicologica resa ancora più difficile – aggiun­gono i parenti – dal comporta­mento degli agenti, forse insi­stenti e aggressivi nella loro azione.

Girano voci che, durante un interrogatorio, l’uomo sa­rebbe stato malmenato. La po­lizia replica: «Se è stato pic­chiato perché non lo ha de­nunciato? ». Per noi, sottoline­ano, era soltanto un teste.

Chi non crede alla teoria del suicidio, ritiene che Bor­ge con i suoi controlli abbia sventato un piano organizza­to dai rivali in affari di Amba­ni. Altre compagnie che si contendono il mercato india­no.

E poi c’è la «questione in­terna ». Una vera battaglia. Il miliardario, 49 anni, è impe­gnato in duro contrasto con il fratello Mukesh, l’uomo più ricco dell’India e al setti­mo posto nella lista di For­bes. I due sono in lotta dal 2002 quando alla morte del padre si trovano tra le mani l’impero di famiglia raccolto attorno alla compagnia telefo­nica Reliance. Litigano di brutto, non trovano l’intesa e l’unica strada resta la separa­zione, raggiunta nel 2005 gra­zie alla paziente mediazione della madre.

Con il passare del tempo la frattura personale si è trasfor­mata in duello legale. Con ac­cuse reciproche, dispetti, col­pi bassi. Una saga che, a giudi­zio di molti osservatori, po­trebbe avere ripercussioni non solo sul gruppo indu­striale ma persino sull’intera economia indiana.

Un motivo in più per gli in­vestigatori indiani per scopri­re se davvero si è trattato di un complotto. Perché, a sen­tir loro, non vi sono prove di manovre occulte degli avver­sari del miliardario. E sono convinti che il caso sarà risol­to abbastanza rapidamente.

Non sembra della stessa idea Anil Ambani. Un portavo­ce dell’azienda ha spiegato che, per il momento, l’im­prenditore si muoverà soltan­to in auto e lascerà l’elicotte­ro nell’hangar.

G. O.