Sergio Romano, Corriere della Sera 1/5/2009, 1 maggio 2009
Vorrei un suo commento sul «nuovo» 25 aprile. A me sembra francamente, fin dai tempi della Democrazia cristiana al governo, che questa data rappresentasse già una festa «nazionale»
Vorrei un suo commento sul «nuovo» 25 aprile. A me sembra francamente, fin dai tempi della Democrazia cristiana al governo, che questa data rappresentasse già una festa «nazionale». Forse se non ci fossero gli eredi del post-fascismo al governo tutte queste polemiche non ci sarebbero. Paolo Pacchetti pacpao@tiscali.it Caro Pacchetti, Passata la festa con risultati molto migliori del previsto, proverò a dirle quali siano state in questi giorni le mie riflessioni. Il 25 aprile ha avuto, sin dagli inizi, una esistenza difficile e contestata. Il suo decollo come festa nazionale è stato complicato da alcuni handicap. In primo luogo conclude una guerra civile ed è quindi, inevitabilmente, la festa dei vincitori, gradita a coloro che fecero la Resistenza o la sostennero moralmente, sgradita a quella componente del Paese che combatté dall’altra parte o fu preoccupata dall’importanza che il Pci aveva assunto nella evoluzione del movimento. In secondo luogo la festa ebbe subito un alto contenuto retorico. I partigiani che insorsero al nord non potevano sapere quali sarebbero state le reazioni dei tedeschi e delle formazioni fasciste che sembravano pronte a combattere sino all’ultimo sangue. Chi ordinò l’insurrezione senza attendere l’arrivo degli Alleati dette quindi certamente una dimostrazione di audacia. L’insurrezione fu un rischio, un audace calcolo politico e una innegabile manifestazione di coraggio. Come il generale de Gaulle volle che Parigi, nell’agosto del 1944, venisse liberata da truppe francesi, così tutti gli italiani dovrebbero essere contenti che i partigiani e la Guardia di Finanza abbiano preso possesso della città prima degli anglo-americani. Ma sarebbe assurdo negare che i tedeschi, nel momento in cui il Cln insorse, avevano già deciso di sgombrare il campo, che le forze alleate erano già entrate nella Valle padana e che il cuore del Terzo Reich era ormai minacciato dall’Armata Rossa. questa la ragione per cui il 25 aprile non può avere il valore internazionale di altre grandi feste nazionali. Quando uno straniero mi chiede che cosa sia veramente accaduto in quella giornata del 1945 e io cerco di rispondergli, le mie parole suscitano quasi sempre in lui una certa incredula ironia. In terzo luogo il Pci finì per impadronirsi dell’avvenimento e imporre le sue liturgie. Le cose sarebbero andate diversamente, forse, se la guerra fredda non avesse diviso, sin dal 1947, i partiti del Cln e se non fosse divenuto impossibile da allora ricostruire sulle tribune e nelle piazze del 25 aprile la solidarietà degli anni in cui i partiti antifascisti, pur con molti screzi e sanguinosi regolamenti di conti, avevano combattuto insieme. Di questa appropriazione la sinistra finì per fare un uso improprio. Fu un errore, ad esempio, trasformare il 25 aprile 1994 e alcune delle ricorrenze successive in altrettante manifestazioni anti-berlusconiane. Per essere davvero nazionale una festa deve prescindere dalla congiuntura politica, deve creare uno spazio di neutralità e imparzialità. possibile sperare che questo accada d’ora in poi? Credo di sì. Ciampi e Napolitano hanno dato alla festa una innegabile dignità nazionale. Berlusconi ha capito che la sua ostentata indifferenza all’avvenimento avrebbe finito per pregiudicare l’unità del Paese e il ruolo nazionale che gli piacerebbe recitare. Mi conforta inoltre il pensiero che vi sono stati altri casi in cui una data ha fatto fatica a imporsi come festa della nazione. Ci volle poco meno di un secolo perché il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia, diventasse la festa di tutti i francesi. Fu necessario attendere la scomparsa di tre generazioni e l’avvento di una repubblica borghese. Potrebbe accadere nei prossimi anni anche in Italia. Ma la vittoria del 25 aprile potrà considerarsi definitiva soltanto quando i cittadini italiani ne approfitteranno per andare in piazza a ballare o concedersi una festosa giornata di riposo. Le buone feste nazionali sono quelle in cui ci si diverte, non quelle in cui si esce di casa per ascoltare discorsi politici.