Andrea Scanzi, La Stampa 1/5/2009, 1 maggio 2009
ANDREA SCANZI
ROMA
Doveva essere l’evento televisivo dell’anno, ma già a Sky mugugnano. Tom Mockridge minimizza, però gli ascolti franano. Dal milione iniziale ai due-trecentomila attuali. Flop è (per ora) una parola grossa, ma il Fiorello Show non decolla. Vivacchia nella terra di nessuno. Eppure la campagna promozionale era stata senza precedenti. «Abbiamo inventato Skrai7set - diceva un oltremodo ilare Fiorello a marzo -. Un pochino la testa me la sono montata. Mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto l’autografo. E non me lo sono fatto».
Ora la situazione è cambiata. E non tanto per i numeri Auditel, giocoforza non paragonabili con la tivù generalista, quanto per l’incapacità di far parlare di sé (se non quando si infortuna giocando a calcetto). Neanche tre anni fa, presentando il suo Caimano, l’elitarissimo Nanni Moretti accettava di presenziare a Viva Radio 2 sostenendo che «ormai Fiorello è l’unico in grado di unire l’Italia». Persino l’ex Presidente della Repubblica Ciampi chiamava in diretta per complimentarsi. Prodi si improvvisava autoironico, con scarsi risultati; Silvio Berlusconi si spacciava per simpaticone, coi soliti risultati. Un plebiscito.
Tale trasversalità di consensi, derivante da un indubbio talento e un ancor più innegabile situazionismo, fatto di parodie bipartisan e comicità edulcorata (tutto è ameno nel Fiorellosciò, da Moccia a La Russa), pareva averlo reso intoccabile. Anche troppo. Daniele Luttazzi gli ha dato del «paraculo», Fulvio Abbate sul Foglio ha sostenuto che «rappresenta il giusto mezzo del qualunquismo endemicamente italico: è perfetto per Berlusconi ma è altrettanto ottimale per l’ex di se stesso Veltroni».
Oggi qualcosa si è rotto. Eppure gli ospiti illustri abbondano, da Giorgia a Yuri Chechi. Questa settimana c’era Novak Djokovic, tennista numero 3 al mondo, peraltro non dissimile da Fiorello per propensione alla simpatia furbetta. Lunedì, agli Internazionali di Roma, è entrato in campo con parrucca e stampelle, per onorare una scommessa con il presentatore siciliano. Un gesto non comune nel panorama sportivo, eppure lo hanno notato in pochi.
I colleghi preferiscono non esporsi. Non ancora. Ilaria D’Amico ammette che forse le cifre non sono straordinarie, ma che «modernizzare la tivù significa rischiare e dover aspettare prima di raccogliere tutti i frutti. Ogni rivoluzione, grande e piccola, è così». La spiegazione più gettonata è che il Fiorello Show sia un programma teatrale e non televisivo, che tre serate a settimana (più il best of) siano troppe e che gli australiani di Sky non abbiano ancora capito come funzioni il piccolo schermo. Può essere. Oppure la cifra di Fiorello, il suo essere fieramente nazionalpopolare, cozza con la realtà - di nicchia - della tivù a pagamento. «Il pubblico di Sky è particolare - spiega Flavia Cercato, voce di Radio Capital -. Paradossalmente Fiorello soffrirebbe di meno in prima serata su RaiUno. Rosario è ancora nervoso, un diesel. Il suo successo dipende dalla fidelizzazione, anche Viva Radio 2 partì piano. Gli va dato tempo, ma già così è una delle cose più decenti della tivù. Cosa manca? Una spalla. Fiorello fa intrattenimento come nei villaggi turistici. Ha bisogno di un contrappunto, di un Marco Baldini che lo indirizzi con discrezione». Baldini ha però declinato l’invito: «Ho già pronto un programma tutto mio».
Il più tagliente è Edmondo Berselli, che pure negli anni non ha lesinato complimenti allo showman: «Il programma non sfonda perché Fiorello sa fare tutto, ma sempre in maniera approssimativa. Non è perfetto mai. Il lato del dilettante è sempre incombente, con l’effetto caciara e villaggio turistico, famiglie in festa e risultati di intrattenimento molto televisivi. Cioè da platea volgaruccia».
Un mese fa Fiorello interruppe la prima puntata perché inchiodato dalla tensione. Non gli uscivano le parole, non era naturale: non era come in radio. Siamo a maggio e non molto è cambiato. Azienda e diretto interessato non nascondono i timori. Sanno che gli uomini per tutte le stagioni, ancor più se anzitempo divinizzati, quando cadono fanno molto più rumore. E in tanti sghignazzano.