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 2009  maggio 01 Venerdì calendario

Davvero Fiat ha comprato Chrysler a costo zero? Non è proprio a costo zero: Fiat, in cambio del 20% della casa americana fornirà tecnologie e progetti, non denaro

Davvero Fiat ha comprato Chrysler a costo zero? Non è proprio a costo zero: Fiat, in cambio del 20% della casa americana fornirà tecnologie e progetti, non denaro. Anche le tecnologie rappresentano un valore. E poi Fiat non ha ancora comprato: l’iniziale 20%, per esempio, potrà essere trasformato nel 35% solo se si raggiungeranno determinati obiettivi, e per salire al 51% bisognerà aver restituito tutti gli aiuti di Stato. I singoli passaggi saranno discussi uno per uno. Che cosa ci guadagna Chrysler? Anzitutto, un grosso risparmio sui tempi. Lo sviluppo dei nuovi motori, più piccoli di cilindrata e più ecologici - secondo i desideri del presidente Obama - e la loro installazione su vetture più piccole, partendo da zero richiederebbe quattro o cinque anni di lavoro. Basandosi sulle piattaforme fornite da Fiat, gli americani possono mettere in produzione la nuova generazione nel giro di un paio di anni: per sviluppare i modelli avranno spese molto più basse del previsto, basandosi sulla Mito, sulla Grande Punto e sul telaio della Panda. E Fiat? Quali vantaggi avrà da questa intesa? In primo luogo guadagna uno sbocco sul mercato americano immediato, grazie alle reti di vendita Chrysler. Secondo, può progettare la produzione di modelli da vendere sul mercato Usa direttamente negli Stati Uniti, in stabilimenti - o parte di stabilimenti - che potrebbe «ereditare» da Chrysler. I costi di trasporto - specie con prodotti delicati, voluminosi e pesanti come le auto - incidono molto sul prezzo finale. Producendo negli Usa potrà vendere le sue auto a prezzi molto concorrenziali. Perché Detroit ha scelto il Lingotto? In Europa ci sono produttori più grossi. La peculiarità del mercato italiano è l’alto costo dei prodotti energetici, a cominciare dai carburanti che costano più che negli altri Paesi europei. Per fronteggiare questo svantaggio di mercato, Fiat ha sviluppato prima dei suoi concorrenti europei motori a basso consumo e basse emissioni, anche per approfittare della politica degli incentivi degli anni passati. Inoltre, gli altri europei (Renault-Nissan e Volkswagen) hanno già quote significative del mercato negli Stati Uniti. Con un accordo simile rischiavano di farsi concorrenza da soli aggiungendo, in dimensioni, molto poco alla loro capacità produttiva. Il mercato americano è pronto per le auto italiane? Difficile prevedere come un mercato reagisce a un prodotto: la novità, finché non la si sperimenta, resta una questione di previsioni. Ma il vero nodo dell’alleanza non sta nel vendere le auto italiane in America o viceversa. Si tratta di raggiungere numeri abbastanza grossi per stare in piedi. Sergio Marchionne ha detto che servono sei milioni di vetture l’anno. Chrysler e Fiat, insieme, arrivano più o meno a quattro. Importa poco dove si vendono: l’essenziale è realizzare le economie di scala che rendono redditizia l’attività del gruppo. La bancarotta controllata di Chrysler cambia le cose? Nella sostanza no. Il Lingotto acquisirà la sua quota dal «fallimento» anziché direttamente da Chrysler. Qualche complicazione potrebbe nascere sui tempi, che si allungheranno di un mese e mezzo almeno. Passato questo periodo, si costituirà una nuova società in partnership con Fiat. Se i tempi saranno rispettati, più o meno negli stessi giorni dovrebbe arrivare anche la «soluzione» per General Motors, l’altra grande malata di Detroit. L’opzione Opel resta aperta? L’accordo con Chrysler, dal punto di vista del Lingotto, per il momento è a costo zero. Dunque non pregiudica ulteriori alleanze, anche se dovessero richiedere investimenti. Ma è una partita del tutto indipendente. Rispetto ai concorrenti di Magna - i canadesi interessati a loro volta ad Opel - Fiat è in vantaggio perché produce già auto, mentre i canadesi sono un big della componentistica. Viceversa, Magna è in vantaggio sul piano della liquidità: sarebbe pronta a investire cinque miliardi di dollari, anche se il punto per il momento resta ancora controverso. Il governo tedesco preferisce Magna. Perché la grande crisi ha pesato sull’auto Usa più che su quella europea? In primo luogo perché i consumi americani si sono ridotti molto più di quelli europei. In secondo luogo perché le case americane si sono esposte moltissimo sui mercati finanziari per finanziare i prestiti ai loro clienti. Negli Usa si dice - una battuta che spiega bene il meccanismo di quel mercato - che l’attività principale dei produttori è quella dei prestiti, non più la produzione di vetture. E il sistema dei prestiti ha sofferto la crisi di liquidità della finanza. In Europa l’auto paga solo la riduzione - pesante - del mercato. Tra i creditori Chrysler c’è anche il sindacato. Perché? Il sistema di previdenza e pensioni americano è diverso. Negli Stati Uniti sono aziende e sindacati che pagano pensioni e cure sanitarie, raccogliendo i contributi. Le società dell’auto, in condizioni normali, disponevano dunque di un’enorme liquidità che veniva investita sui mercati finanziari. La grande crisi ha eroso quei capitali, facendo crollare la liquidità delle case di Detroit e mettendole in serie difficoltà. A quel punto il sindacato - e indirettamente i lavoratori - sono finiti nella lista dei creditori in attesa di denaro. SI’ Due società, due mercati, due linee di prodotto, due paesi estremamente diversi: metterli insieme - e far funzionare l’intesa - è tutt’altro che semplice. Alcuni analisti Usa dicono che l’operazione è «un grande azzardo» e che gestire il gruppo sarà «estremamente difficile». La liquidità di Chrysler è quasi azzerata, e neppure Fiat può reggere, per ora, grandi investimenti. NO Unendo la forza di Fiat in Europa e Sudamerica con quella di Chrysler nell’America del Nord, entrambi i gruppi conquistano rapidamente nuovi spazi sul mercato mondiale. Fiat potrà portare alcuni dei suoi modelli negli Stati Uniti, affiancati ad altre piccole col marchio Chrysler ma basate su modelli di Torino. Detroit spenderà meno per sviluppare le piccole.