Alessandro Penati, la Repubblica 1/5/2009, 1 maggio 2009
Il rialzo delle borse (+25%) è stato trainato dai titoli bancari (in media + 75%). Tanto entusiasmo è in parte frutto di un´illusione ottica: guadagnare il 75%, dopo aver perso l´80%, significa solo aver ridotto la perdita al 65%
Il rialzo delle borse (+25%) è stato trainato dai titoli bancari (in media + 75%). Tanto entusiasmo è in parte frutto di un´illusione ottica: guadagnare il 75%, dopo aver perso l´80%, significa solo aver ridotto la perdita al 65%. Non è il miglioramento delle prospettive la principale ragione della rinascita delle banche in Borsa, ma l´esplicita garanzia che nessuna istituzione finanziaria potrà più fallire, e il conseguente massiccio flusso di risorse che Stati e banche centrali hanno riversato nei sistemi bancari. L´intervento pubblico ha voluto garantire i creditori delle banche: ma poiché ovunque si è intervenuto senza diluire i vecchi azionisti (con garanzie, prestiti subordinati, azioni senza diritti di voto), il salvataggio ha beneficiato anche loro. Questa esplosione dei corsi azionari è la prova di un ingente trasferimento di ricchezza a favore degli azionisti delle banche: avevano perso tanto, ma hanno evitato di perdere ulteriormente; e beneficeranno di un eventuale risanamento fatto coi soldi dei contribuenti. I bilanci non sono risanati. Ma è chiaro che in futuro gli Stati si faranno carico dei rischi e della necessità di reperire nuovi capitali, senza pretendere di comandare. Europa e Usa hanno emendato le regole contabili: con il pretesto che i titoli tossici non hanno mercato, permettono alle banche di rinviare a tempi migliori svalutazioni e accantonamenti. Come in Giappone 20 anni fa: si incentivano le banche a immobilizzare capitali per anni a fronte di attività a valori gonfiati. Le banche che hanno comunicato le trimestrali mostrano utili in gran parte dovuti alla cosmesi contabile e al trading su tassi e cambi: i banchieri hanno dunque usato la garanzia pubblica per giocarsela con attività rischiose. Già visto in Germania, il paese con, in proporzione, il maggior ammontare di titoli tossici: molte banche, con le spalle coperte dagli enti locali proprietari, avevano pensato di gonfiare gli utili in questo modo. E in Italia le banche lucrano sui mutui erogati, poi cartolarizzati per essere finanziati a tassi risibili dalla Bce, che si accolla anche i rischi: un gioco da 80 miliardi nel 2008. O investono in obbligazioni di un´altra banca, emesse a condizioni che spiazzano i titoli di Stato, ma garantiscono un grasso margine, e laute commissioni se collocate presso il pubblico: Unicredit ha appena emesso un bond a 3 anni con rendimento quasi doppio rispetto al Btp, per metà sottoscritto da altre banche. I bilanci fotografano il passato: ma il vero scoglio sono le future sofferenze, inevitabili data la recessione. Per questo il Tesoro americano sta concludendo uno stress test dei bilanci delle maggiori 19 banche: quelle che non hanno capitali sufficienti a fronteggiare uno scenario pessimista avranno pochi mesi per raccoglierli, o interviene lo Stato. Eppure queste banche Usa hanno una patrimonializzazione media Tier 1 superiore di quasi 3 punti percentuali a quella delle banche italiane! Lo stress test del Fondo Monetario ha mostrato che il rischio delle sofferenze è più grave proprio in Europa: 737 miliardi. Da noi tutto tace. Uno studio di Prometeia stima in circa 2,6% il tasso di decadimento annuo dei prestiti (nuove sofferenze): circa 122 miliardi di nuove sofferenze nel triennio 2009-11. Ipotizzando accantonamenti per il 60%, un quarto del capitale del sistema bancario nostrano rischia di andare in fumo. Un dato in linea con le stime del Fondo e quelle già pubblicate in questa rubrica. E poi c´è il capitale necessario a ridurre la leva, gli avviamenti gonfiati. Sono solo stime: ma il problema esiste. Invece si preferisce non "spaventare" la gente, pretendere che un ottimismo di facciata ristabilisca la fiducia, in attesa che l´inevitabile ripresa spazzi via i problemi. Ma se in autunno l´economia non dovesse ripartire alla grande, allora sì che ricomincerebbe a grandinare per davvero.